di Annamaria Pisapia
“Le Royaume d’Italie est aujourd’hui un fait. le Roi, notre auguste souverain prend lui-meme et pour ses succeseurs le titre de Roi d’Italie” Per chi non conoscesse il francese: “Il Regno d’Italia oggi è un dato di fatto. Il Re, nostro augusto sovrano si assume per sé e per i suoi successori il titolo di Re d’Italia”).
Era il 17 marzo del 1861 e Cavour in perfetto francese proclamava al Senato di Torino la nascita del regno d’Italia. Il Regno d’Italia? Una contraddizione in termini!
Dunque, 162 anni fa nasceva lo Stato unitario d’Italia, così è scritto, che andava sotto il nome di Regno d’Italia. Ad assumersi il compito di guidarlo Vittorio Emanuele II, già monarca del Regno di Sardegna (la regina Vittoria lo definì “ignorante, rozzo, mal vestito, mal lavato e puzzolente di sigaro”).
Il neo eletto reggente sentì a tal punto questa “unione” che, fin da subito, volle stabilire come la intendesse, mantenendo la medesima numerazione, quale segno inequivocabile dell’espansione del Piemonte nei nuovi territori annessi. Di fatto, una conquista.
Una marcazione dei territori annessi con la violenza, che da più parti veniva definita come “piemontesizzazione”. A legittimare l’atto di forza operato dal Piemonte, così da dargli parvenza di una “grazia” che avrebbe toccato il Sud della penisola italica, furono chiamati ad esprimersi proprio gli abitanti di quest’area, mediante un voto farsa definito plebiscitario. Il popolo, solo la parte maschile (perchè le donne non votavano), avrebbe dovuto apporre una X sul Si o sul No al quesito proposto “Il popolo vuole l’Italia una e indivisibile con Vittorio Emanuele re costituzionale, e i suoi legittimi discendenti?”
Le votazioni di svolsero in un clima di terrore: le schede dovevano essere riposte in urne poste alla vista di uomini armati, guardia nazionale e garibaldini, ed è facile intuire che quel voto fu forzato. Ora, tenuto conto che il popolo non conoscesse affatto Torino, distante 1000 chilometri dalla capitale Napoli, e men che meno Vittorio Emanuele, era evidente che fosse alquanto riluttante ad apporre di sua sponte un sincero SI.
Ma quali conseguenze attendevano a qualche temerario che avesse osato deporre la sua scheda nell’urna del “no” era facilmente intuibile: all’indomani della votazione alcuni giornali riportarono episodi di violenza verificatisi contro questi ardimentosi. Com’era prevedibile i risultati ottenuti risultarono schiaccianti in favore del “si” e rasentavano il ridicolo, come risulta dalla testimonianza del Comandante garibaldino Rustow riguardo al seggio allestito nella Reggia di Caserta, dove su 51 Ufficiali di Stato Maggiore, non tutti presenti in quel giorno, i voti raccolti in favore del Si furono ben 167.
E’ anacronistico parlare di questo fatti ancora oggi? No, se a quegli avvenimenti si dà la giusta lettura: il 17 marzo 1861 si assistette alla proclamazione dell’Italia differenziata. Un Paese che da 162 anni persegue una politica che, di fatto, ha generato una sperequazione interna raccapricciante, con annessa ripartizione dei fondi della spesa pubblica in favore principalmente del Settentrione. Possiamo dunque dire che la parola “unità” fu usata per distogliere l’attenzione da quelle che erano le reali motivazioni: “la conquista del Sud”? Si trattò di una liberazione o di un’annessione? A voi le conclusioni.