L’Associazione Nazionale Donne Elettrici ha organizzato in interessantissimo incontro sulle “donne medico” a Castrolibero.
Nell’antico borgo cosentino, nella storica dimora di Palazzo Isabella Quinteri, il 2 luglio si è tenuto il convegno “La forza delle donne medico”, organizzato da Ande con Aidm – Associazione Donne Medico, Comune di Castrolibero, Assocciazione culturale “LiberaMente”, Rete scuole “Emozioniamoci” e in collaborazione con l’Associazione Aps Agorà Ets di Castrolibero con la sua presidente Evelina Cascardo.
I lavori, moderati dalla dott.ssa Rosanna Labonia del direttivo Ande Cosenza, sono stati aperti dalle presidenti di Aidm Cosenza Angela D’Amato, di Aidm Riviera dei Cedri Agnese Mollo e Ande Cosenza, Giovanna Giulia Bergantin.
In seguito l’intervento della prof.ssa Antonella Iantorno, coordinatrice potenziamento biomedico Liceo Classico “Gioacchino da Fiore” di Rende e di alcuni suoi alunni della rete “Emozioniamoci” che insieme ad Ande Cosenza hanno realizzato percorsi educativi per promuovere le discipline Stem tra le ragazze. Inoltre partecipato è stato l’intervento di Maria De Luca, presidente dell’AISM di Cosenza (Associazione Italiana Sclerosi Multipla).
Nel corso della manifestazione è stato presentato il libro ricerca “Donne medico dall’antico Egitto ai nostri giorni”. L’autrice Wanda Lombardi, vicepresidente Ande Cosenza, ha illustrato i contenuti che delineano le figure femminili storiche protagoniste nell’arte medica.
La poetessa cosentina Annalina Paradiso ha concluso la serata con la sua emozionante poesia “Essere donna”,
Di seguito pubblichiamo un approfondimento di Anna Maria Ventura
Il libro ricerca di Wanda Lombardi mette in evidenza come dalle civiltà più antiche e più lontane sono arrivate a noi testimonianze circa il ruolo delle donne “operatrici di salute” all’interno delle comunità di appartenenza. Questi modi di vita, questo buon senso, queste tradizioni semplici e ricche allo stesso tempo di nozioni tramandate per generazioni e di relazioni delicate e profonde con la natura, incontrarono periodi difficili.
Uno dei peggiori, le cui conseguenze arrivarono a condizionare la vita per molti secoli a venire, è stato certamente quello dell’Inquisizione. Gli storici discutono ancora oggi su quante furono le vittime di quel periodo; le cifre variano, ma tutti concordano, comunque, sul fatto che la stragrande maggioranza delle vittime furono donne. Furono spazzate via tradizioni e culture millenarie di cura e benessere e con particolare accanimento furono cancellate tutte le tracce sul benessere psicofisico e l’armonia con la natura e l’universo. Questa strategia di distruzione assicurò ai soli uomini le conoscenze mediche, dal momento che in quel periodo si decretò, in modo più o meno ufficiale, che soltanto i dottori educati in Medicina potessero praticare le arti guaritorie, e che le scuole di medicina venissero vietate alle donne.
Le donne furono accettate senza discriminazione nelle Università e nella professione medica soltanto fra la fine del 1800 e l’inizio del 1900.
Ma la storia ci insegna che sempre e comunque alla donna è stato delegato il compito di prendersi cura della vita in tutte le sue sfaccettature e proprio dal prendersi cura nasce, nel mondo femminile, la necessità e il desiderio di curare. anche se spesso in sordina e con tutte le variabili legate al momento storico in cui le donne si sono trovate a vivere e operare, in un contesto che, come sappiamo, ha sempre delegato prevalentemente agli uomini l’aspetto squisitamente medico della cura. Infatti nell’età moderna è solo intorno alla metà dell’Ottocento che è stato reso possibile, stabilmente, l’accesso delle donne alle libere professioni e quindi anche, ufficialmente, alla medicina. La prima donna medico, scrive la Lombardi nel suo libro ricerca, che si è ufficialmente laureata, secondo i nostri canoni attuali, è stata nel 1849 a Philadelphia Elizabeth Blackwell.
La ricerca della nostra autrice sulle donne medico nella storia comunque, partendo appunto anche dall’arte del prendersi cura, con molti intrecci, discontinuità e curiosità ha inizio molto, molto tempo prima.
Siamo intorno all’anno 2700 a. C., antica età del bronzo: ed è qui che incontriamo quella che viene considerata la prima donna medico della storia. È Merit Ptah che visse in Egitto tra la II e la III dinastia. Il suo nome vuol dire “amata da Ptah“, il dio, tra l’altro, del sapere e della conoscenza. La sua tomba, con relativa immagine ed iscrizione, si trova a Saqqara. Viene definita dal figlio, che fu un Sommo Sacerdote, “medico capo” o “sommo capo”. Non dimentichiamo che l’Egitto verrà considerato dal mondo greco come la culla della medicina. Il fatto poi che Merit Ptah praticasse la medicina nella civiltà matriarcale faraonica egizio-nubiana con un rango di gran rilievo, deve essere considerata una cosa rientrante nella normalità di quel lontano periodo storico. Ed è questo uno degli aspetti più rimarchevoli.
Nessun’altra civiltà dei tempi a venire, nemmeno quella greco-romana o quella persiana, avrebbe poi coltivato in egual misura la parità delle donne. A proposito del campo medico, si ritiene che già attorno al 3000 a. C. in Egitto esistessero scuole di medicina per le donne che avessero voluto specializzarsi nel campo della ginecologia. Un inizio inaspettato e straordinario: ma la storia, per quanto intrecciata, come ben sappiamo è spesso discontinua.
Nel Medio Evo nascerà la Scuola Medica Salernitana, dove si attuerà un sincretismo straordinario con i saperi provenienti anche dal mondo medio-orientale, ebraico ed arabo, che tra l’altro, per nostra fortuna, aveva potuto conservare molti testi del Corpus Ippocrateo andati perduti nell’incendio della Biblioteca di Alessandria.
Il sincretismo culturale ha sempre caratterizzato la Scuola Salernitana, “ponte ideale tra l’antichità e l’era moderna“, tra la civiltà greco-romana, benedettina e quella medio-orientale ebraica ed araba. Comunque l’aspetto per noi più significativo della Scuola Medica Salernitana è la presenza, per tutto il periodo del suo apogeo, di donne medico. Una figura assai significativa nel campo del sapere medico femminile è Trotula de Ruggiero, vissuta nell’XI secolo e considerata a tutti gli effetti la prima donna medico. Trotula nacque a Salerno da una nobile famiglia normanna, famosa per aver donato a Roberto il Guiscardo parte dei propri averi per la costruzione del Duomo di Salerno, e, grazie alle sue origini, ebbe l’opportunità di intraprendere studi superiori e di medicina. Sposò il medico Giovanni Plateario ed ebbe due figli che proseguirono l’operato dei genitori. Trotula viene spesso raffigurata in un rigoroso abito medioevale, quasi monastico seppure elegante nella sua semplicità. Nel dedicarsi allo studio delle erbe medicinali nel famoso Orto dei Semplici della Scuola Salernitana, scoprì, tra l’altro, il potere antibatterico della rosa. Scrisse due saggi di gran fama: nel primo parla di studi legati alla ginecologia, all’ostetricia e alla pediatria, nel secondo si concentra su nozioni di igiene e cosmesi. Trotula, comunque, non tratta con accenti frivoli la bellezza, che per lei è segno di un corpo sano nonché dell’armonia del corpo con la psiche e con l’universo. Nel libro ricerca vengono raccontate altre storie di donne della scuola salernitana e poi di altre città italiane nei secoli che seguirono, fino alla proclamazione di Elisabeth Blackwell, prima donna laureata in medicina nel 1849 e di Emestina Puritz Manassè, laureatasi nel 1875. Veramente interessante questo libro di Wanda Lombardi, che apre uno scenario sul mondo della medicina coniugata al femminile, che è importante e stimolante conoscere, per rimuovere i tanti ostacoli che ancora impediscono alle donne medico di svolgere pienamente una professione, verso la quale sono naturalmente portate per la sensibilità propria dell’essere femminile.
Di seguito un contributo di Anna Maria Ventura alla conoscenza dell’antichissimo borgo di Castrolibero
I borghi di Calabria s’imprimono nell’anima non solo di chi li vive ogni giorno, ma anche di chi li attraversa solamente o vi sosta per un tempo breve, come quello di un evento. Perché la storia vi ha lasciato i suoi segni e la natura li ha circondati di un’aura particolare. Natura e storia fondendosi nei secoli hanno conferito ad ogni luogo, ad ogni borgo peculiarità culturali, usanze e tradizioni che lo rendono unico e diverso. Forse è proprio la conformazione fisica della Calabria, fatta di monti e vallate, di colline e pianure, di coste e promontori che ha potuto assegnare ad ogni insediamento umano una sua collocazione privilegiata e protetta. Ogni borgo, grande o piccolo, sembra un regno a sé, ognuno con il suo castello, i palazzi nobiliari, le case, che fuggono nei vicoli, quasi a nascondersi, come per proteggersi da antichi invasori. La gente reca sui volti i segni di una bellezza antica e fiera. Usanze e tradizioni perpetuate nel tempo, al pari delle inflessioni dialettali, si differenziano da paese a paese, situati anche a breve distanza tra di loro, a costituire valori identitari.
Antichissimo e orgoglioso è il borgo di Castrolibero, vicinissimo a Cosenza, tanto che le sue contrade, Andreotta in particolare, hanno attratto, a partire dagli anni settanta del ‘900, una popolazione sempre più numerosa, proveniente dal capoluogo, che si è insediata con ville e giardini sulle pendici della collina, dando luogo, insieme al suggestivo borgo storico, ad una realtà molto bella, che ospita scuole, centri di cultura, case di cura ed esercizi commerciali di ogni genere. Per questo è sempre di attualità e oggetto di differenti vedute socio-politiche il tema della “Città unica”, che dovrebbe unire Cosenza, Rende e Castrolibero.
“La rocca dall’orizzonte ampio”. Questa è una delle etimologie del nome di Castrolibero, che sostituì l’antico toponimo di «Castelfranco» nel 1863. Le origini di Castrolibero sono molto remote e avvolte da numerose leggende. Alcuni studiosi lo identificano con l’antica Pandosia, capitale degli Enotri, che traeva il suo nome dalla grande fertilità del suolo: “Città di ogni dono”. Su di essa vegliava Pan, figlio di Mercurio, dio dalle zampe caprine, inventore del flauto. Il nome Italia si deve a Italo, re degli Enotri, che diede il suo nome alla terra sulla quale regnava, la Calabria centrale, comprendente la provincia di Catanzaro, che fu detta Italia, e da lì il nome si estese a tutta la penisola. Lo attestano fonti autorevoli come Tucidide, Aristotele, Antioco di Siracusa e Strabone. Tito Livio, nella sua Historia, narrò che presso le mura di Pandosia, nel 332 a.C. nel corso di un assedio, perse la vita Alessandro il Molosso, Re d’Epiro e zio di Alessandro Magno. Al tempo delle egemonie di Sibari e Crotone, Pandosia riuscì a conservare la propria autonomia politica ed economica, testimoniata, tra l’altro, dalla pregevole e rara monetazione che la caratterizzò.
Confusa nel grande Impero Romano, Pandosia venne successivamente distrutta dalla furia dei barbari (Notaio Iacoe manoscritto del 1651). Di essa si ricominciò a parlare nell’868 d.C., allorchè per contrastare l’Emiro di Amantea e i suoi saraceni, venne in Calabria il Conte di Bergamo, Ottone. Questi, a capo di un esercito di franchi, costruì un luogo fortificato proprio sulla collina dove un tempo sorgeva la fortezza di Pandosia. Da allora quel luogo si chiamò “Castro-franco”, ossia “accampamento dei Franchi”.
Dopo una serie di infeudazioni minori, Castelfranco finì nel patrimonio della potente famiglia Sanseverino di Bisignano nel sec. XV.
Tra il 1562 e il 1566 il feudo di Castelfranco (Castrolibero) venne acquistato da Valerio Telesio, fratello del celebre filosofo Bernardino.
Vessati in vario modo dal nuovo feudatario, i vassalli castelfranchesi non sopportarono a lungo il “giogo” del Barone e diedero luogo ad una rivolta popolare che si concluse con l’uccisione di Valerio Telesio nella chiesa di San Giovanni.
Castelfranco passò successivamente ai Sersale, discendenti di un vecchio proprietario del feudo, che lo possedettero sino alla fine del XIX sec. d.C.
Sede di una “vendita” carbonara capeggiata dai fratelli Parise, Castelfranco partecipò attivamente ai moti rivoluzionari della prima metà dell’800.
Dopo l’Unità d’Italia, Re Vittorio Emanuele II, con proprio decreto del 26 marzo 1863, recepì la variazione della denominazione da Castelfranco a Castrolibero.
La frazione Andreotta, la cittadina che oggi sorge ai piedi della collina di Castrolibero con le contrade Garofalo e Rusoli, è ormai il più importante e popoloso centro del Comune.
Fino al 1960 Andreotta era pressoché disabitata, ricca di querce secolari e da sempre adibita a pascoli. Nel 1971 tutte le contrade di Castrolibero, compreso il Centro Storico, contavano circa 2500 anime, oggi nel Comune vivono oltre 10.000 abitanti, per la maggior parte concentrati proprio nelle contrade Andreotta, Garofalo e Rusoli
La storia di queste contrade risale a molti secoli fa.
Nella zona di Garofalo sorgeva, nel XIII sec. d.C., un antico villaggio detto Veneri (l’attuale Castelvenere). Quel villaggio, che nel 1258 era governato da un tal Roberto degli Archi, acceso sostenitore di Manfredi contro il Papato, divenne successivamente dominio di molte altre famiglie. Sulla collina oggi detta di Castelvenere, un tempo sorgeva un antico tempio pagano dedicato a Venere, dal quale prese il nome la contrada.
Quel tempio venne in parte distrutto dal terremoto del 1835.
Verso la metà del 1500 un facoltoso signore, dal nome Giovanni Carolo de Andriotta, originario del vicino paese di Regina (nei pressi di Lattarico), venne a Castelfranco (Castrolibero), divenne proprietario di importanti estensioni terriere e si imparentò con la nobile famiglia dei Marigliano. A lui, verosimilmente, si deve l’attuale denominazione della più grande frazione di Castrolibero.
Nel 1624 entrava in possesso del feudo “Veneri” il barone Pirro, rampollo della nobile famiglia catalana dei Garofalo, a cui si deve l’attuale denominazione della contrada Garofalo.
Nei primi decenni del 1700 “Veneri seu li Garofali” entrò in possesso dei Padri Carmelitani di Cosenza. Successivamente gran parte della contrada passò alla famiglia Quintieri, alla quale si deve il nome del Palazzo “Isabella Quintieri” sede dell’attuale biblioteca e luogo di incontri culturali.
E ‘un luogo magico Palazzo “Isabella Quintieri”, che conserva intatto il suo Genius loci, lo “spirito” proprio del suo spazio fisico, determinato da un processo di deposito e di stratificazione di affetti, operato dalle diverse generazioni che lo hanno abitato. Tale “spirito” conferisce al luogo una propria identità di raffinatezza e fascino irripetibile, che solo la storia può dare.