Eduardo De Filippo è la storia del teatro. Un viaggio travolgente attraverso la leggenda e la cronistoria del teatro.
di Arianna Orlando
Eduardo De Filippo: la storia di una leggenda del teatro. Natale in Casa Cupiello 1977
All’interno di Natale in Casa Cupiello registrato per l’edizione televisiva dell’anno 1977, per la regia di E.De Filippo stesso, abbiamo rinvenuto le caratteristiche di quello che definiremo – per convenzione -“metateatro delle cose”. Nel caso specifico di fatto è stato possibile osservare quanto gli oggetti della scena partecipino in modo tanto dirompente all’azione teatrale da diventarne direttamente e volontariamente una parte fondamentale e rappresentativa.
Gli oggetti della stanza e la storia messa in scena da Eduardo De Filippo
La scena si innesca nel giorno della “piccola vigilia” in un ambiente che appare monotematico e monodimensionale: gli oggetti sembrano non possedere infatti un particolare spessore e nemmeno una forte identità cromatica. Appartengono invece-con una naturalezza che luccica di ovvietà-allo stesso magma ingrigito di cui fanno parte anche i corpi- “imbacuccati” nei loro letti di Luca Cupiello, pater familias, e Tommasino, suo figlio sfaccendato.
Ai lati della scena si guardano l’un l’altro, come palazzi dirimpettai, lo scheletro del lavoro presepiale di Luca Cupiello-cui lui tiene molto- e il secretaire della camera matrimoniale sulla cui mensola giace immobile la Madonna nella teca e la sua candela. Nella stanza un altro elemento dimenticato sancisce la ricerca della pace e noi lo rinveniamo e riconosciamo nel ramo di palma-ormai ingiallito dal tempo trascorso dalla Pasqua, incastrato nel ferro del letto che domina la stanza.
Il presepe di Luca Cupiello: inganno e verità di Eduardo De Filippo
In particolar modo notiamo, al risveglio di Luca suscitato dalla moglie Concetta, che il presepe cui Luca Cupiello tiene moltissimo è la metafora, la rappresentazione e (azzardando) la predizione che simbolicamente annuncia ciò che sta per avvenire in casa Cupiello.
Il presepe è di fatto la ricostruzione oggettistica della realtà familiare che Luca-e Luca soltanto-ritiene di avere costituito in tutti i suoi anni di matrimonio.
Vi lavora con attenzione e cura, dona grande valore ai dettagli della tradizione presepiale napoletana e al loro significato simbolico da definirsi “personale” ma nessuno sembra, stranamente, collaborare al suo progetto di realizzazione.
Le donne: Concetta e Ninuccia
Gli elementi mobili dell’azione scenica sono le donne, gli uomini sono quiescenza spettatori o interpreti dei fatti. E le donne sono Concetta e sua figlia Ninuccia: la prima si fa carico della “farsa familiare” in cui il marito crede di vivere, mistificando una sorta di armonia ed equilibrio che, tuttavia, appaiono già crepate alle nove di mattina del 23 dicembre del 31. La seconda invece, in preda alla sua gioventù, è del tutto consapevole del non-sense in cui la chiude la necessità di voler osservare le regole del presepe vivente imbastito da Luca. Per questi motivi, benché sposata, non è intenzionata a sopportare oltre il legame con quel Nicolino Percuoco, tanto caro a suo padre che quest’ultimo non retrocede-nel momento profetico che invisibilmente annuncia ciò che sarà-a cedergli la sua ereditá più importante: la cura di sua figlia “quando io non ci sarò più e non ci sarò più perché sono morto”.
“A me u presepio nun mi piace”
L’evidenza della necessità di Luca di elaborare, per motivi segreti e ben custoditi nell’azione teatrale, i suoi valori-come testamento morale-e consegnarli ai figli, appare evidente nel momento in cui Luca cerca di coinvolgere il figlio nella sua passione per il lavoro presepiale. L’eredità di Luca è il presepe in quanto quest’ultimo si identifica con la famiglia. Ma il figlio Tommasino è giovane, è sfaccendato, è iper-protetto dalla madre e sembra un bambino nel corpo di un uomo. Per questi motivi non è interessato ad accogliere e assorbire i precetti paterni, nè possiede la maturità tale per riconoscere in questi l’eredità paterna.
La lettera
Il motore dell’azione è in verità personificato da un oggetto semplicissimo: una lettera chiusa in una busta di carte con la scrittura sul fianco “al signor Nicola Percuoco, urgente”. È la dichiarazione di adulterio di Ninuccia che desidera confessare al marito di volerlo lasciare perché innamorata di Vittorio Elia. Nel momento di nervosismo implacabile e direttamente successivo ai tentativi di Concetta di distogliere la figlia dal consegnare la lettera al marito, profeticamente Ninuccia si avventa contro lo scheletro inerme del presepe di Luca e lo distrugge cosicché lui è costretto a “mittete a fare u presepio n’ata vota”.
La strategia di Concetta
Gli svenimenti e le lacrime sono i metodi tramite cui Concetta riesce a dominare, reggere e sorreggere il suo “presepe vivente” e a costringere i suoi “elementi” a non ribellarsi o allontanarsi dal sistema tutto. È lei colei cui il portiere del palazzo dice “sarebbe dovuta nascere con i calzoni”, sottolineando in questa espressione quanto il ruolo di Concetta sia fondamentale all’interno della sua famiglia. È lei che scoraggia il pretendente di sua figlia, Vittorio, quando costui si trova in casa loro per accompagnare Tommasino. E’ lei la persona cui tutti si rivolgono con ossequioso rispetto usandole l’appellativo di “donna” ed è lei l’anima che, quando sembra essere in procinto di spegnersi, indebolisce e spaventa ogni membro della famiglia per necessità di equilibrio personale e non per affetto soltanto (corda del funambolo è Concetta).
Marito e amante
Se Luca, il fratello Pasquale e il figlio Tommasino sono i teatranti inconsci della scena familiare (benché si noti come Pasquale Cupiello sia del tutto escluso dal disegno presepiale), Vittorio Elia-amante di Ninuccia- e Nicola Percuoco-marito di lei- sono coloro che, consapevoli della verità, obbediscono in maniera patetica al mantenimento della farsa per motivi che sembrano orbitare in luoghi diversi dal conscio e dalla sua saggezza. Nicolino, erede diretto di Luca, si fa persuaso di essere il nuovo padre di quella famiglia, persino di quel Luca che per lui è un suocero e in verità molto di più perché lo chiama “papà”. Vittorio Elia, giovane sfacciato tanto da presentarsi nella casa materna dell’amante nel giorno della vigilia di Natale, è invece del tutto incapace di reagire alle volontà di donna Concetta. Davanti al presepe illustrato da Luca, resta pateticamente indifferente, sembrando uno sciocco e facendo sentire Luca esattamente così.
Luca il “Bambinello”
La scena finale costituisce di fatto il momento clou dell’esibizione di quanto abbiamo affermato. Luca, che in quanto ammalato è tornato bambino, è rappresentato al centro del suo letto che lo accoglie-come già fece la mangiatoia- come nuovo Bambinello del presepe. È una scena compiutamente presepiale quella che abbiamo davanti ai nostri occhi: un Tommasino ormai uomo(lo divenne in tre giorni come Cristo che resuscitò dai morti nello stesso tempo) e una Ninuccia affranta e materna, si collocano alla destra e alla sinistra del padre, amandolo e adorandolo. Intorno i vicini di casa dei Cupiello accorrono a sostenere donna Concetta che-libera dalle imposizioni della sua vita di prima-può finalmente divincolarsi dal suo ruolo di colonna portante della famiglia e piangere “perché le va” e non per il raggiungimento di uno scopo. E i vicini sono i personaggi di un presepe silenzioso, orante e sibilante che si sparisce nella sinistra di un nugolo di giovani distratti e disorientati e nella destra dei “vecchi”, coscienti-saggi-lungimiranti.
Mai donna Concetta aveva espresso timore per le reazioni del popolo al disonore della figlia, né tale concetto viene mai associato in maniera fragorosa e intransigente al sentimento che Ninuccia prova nei confronti di Vittorio Elia. E la comunità le risponde con affetto, abbracciando sia lei che il marito in fasce, adagiato nel letto tra la figlia e il figlio.
Luca attende il suo Nicolino ma proprio poco tempo prima che questi giunga, rivelandosi come l’unica e sincera vittima del presepe di Luca, è Vittorio a prendere il suo posto-per un errore non voluto e che fu uguale a quello che compì Isacco nel benedire Esaù invece che Giacobbe-nella benedizione dell’adorato padre e nell’elezione a suo successore.
La conclusione della commedia di Eduardo De Filippo
La commedia di De Filippo, che in verità è una tragicommedia, chiude il sipario lasciando al posto della scena alcune grandi verità: la prima è il talento indiscusso di un uomo grande nella scrittura, nelle idee, nel mimetizzare il vero rra le pieghe del teatro e la seconda è che in questo grande lavoro giace una incomprensibile e inaccettabile verità: la perfezione superficiale delle cose-cosi come i social ad esempio ce le mostrano lastricate di patine lucciacanti -soprattutto quando è così visibile -non esiste.