A Benevento il tema del lavoro (povero)

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Ieri pomeriggio a Benevento presso la sede  dell’Università degli Studi del Sannio  di Palazzo De Simone si è svolto un interessante convegno con tema: “Fondata sul Lavoro (povero)”. L’incontro, che ha visto l’intervento di numerosi relatori del mondo accademico, di esponenti di Enti di ricerca  e delle Associazioni di categoria, è stato organizzato dal DEMM dell’UniSannio e dal Laboratorio per la felicità pubblica.

Il saluto e il coordinamento dei lavori sono stati affidati a Gaetano Natullo, ordinario di diritto del lavoro e direttore del DEMM UNISANNIO, mentre l’introduzione a Ettore Rossi, coordinatore del Laboratorio per la felicità pubblica.

Ad animare l’incontro e il dibattito che ne è seguito,  Filiberto Parente, Presidente Regionale Acli, Massimo Resce, ricercatore INAPP, Antonio Russo, Portavoce nazionale di Alleanza contro la povertà, Paola Saracini, associata di “Diritto del lavoro” – DEMM UNISANNIO e Guido Tortorella Esposito , associato di “Storia del pensiero economico” – DEMM UNISANNIO.

Ancora una volta, l’ateneo sannita si conferma, formidabile  motore propulsore della cultura e della ricerca scientifica di qualità, anche in campo giuridico ed economico, provando ad approfondire un tema delicato e di grande rilevanza sociale, come quello del lavoro c.d. “povero”, sempre più  al centro dell’attuale dibattito politico in un tempo in cui si discute, serratamente, di “salario minimo”,  di perdita del suo potere d’acquisto, delle nuove misure di sostegno del reddito e di inclusione,   dopo la fine della stagione del “reddito di cittadinanza”. A conferma dell’effervescenza culturale che vive il territorio, in mattinata l’Università degli Studi del Sannio, con una manifestazione solenne, ha inaugurato il nuovo corso di laurea in Scienze motorie per lo sport e la salute, fortemente voluto dal Magnifico Rettore, Gerardo Canfora, inesauribile promotore di molteplici iniziative di alto valore scientifico e di un modello di formazione innovativa e completa che questa volta si è voluta esprimere anche in questo campo.

I lavori del simposio beneventano: il lavoro e la dignità perduta

Nel presentare il tema e i relatori, il Direttore del DEMM UNISANNIO, Gaetano Natullo, ha voluto sottolineare come il lavoro sia un tema di assoluta ed indubbia rilevanza sociale,  costituendo –  del resto – un valore fondante  nel dettato costituzionale, laddove all’art.1  si afferma proprio il principio che la nostra Repubblica si fondi su di esso  e, poi,  nell’art.36 assurge a diritto  che deve essere garantito, in modo tale da assicurare al lavoratore  e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.  Tuttavia, rileva Gaetano Natullo,  il mercato del lavoro oggi in Italia  presenta molte criticità strutturali, che vanno  affrontate con coraggio e determinazione, evidenziando il fatto che, negli ultimi anni,  in ambito giudiziario i Giudici, in alcuni loro pronunciamenti,  hanno  ritenuto i livelli retributivi previsti  dai contratti collettivi,  non in linea con i parametri costituzionali di cui all’art.36, in quanto inferiori alle soglie di povertà misurate secondo gli  indici Istat. Secondo il Direttore  del DEMM UNISANNIO, questa circostanza, “davvero eclatante”, costituisce “un chiaro segno dei problemi  che permangono   in quest’ambito nel nostro Paese”.

A seguire l’introduzione di Ettore Rossi, coordinatore del Laboratorio per la felicità pubblica, che ha rimarcato il fatto che, finora,  la principale preoccupazione  era stata quella dell’assenza del lavoro, soprattutto in ambito giovanile; oggi – però – a questa  se ne aggiunge un’altra, altrettanto rilevante, che è quella del lavoro “povero”, questione  di grande allarme sociale: “ secondo alcune analisi, si calcola che tante persone in Italia (almeno 3 milioni), pur lavorando,  non hanno un reddito dignitoso, con enormi ripercussioni nell’ambito personale e familiare. E’ importantissimo porre, quindi,  il tema al centro del dibattito pubblico, perché  l’intera comunità, rispetto ad esso,  ha delle dirette responsabilità:  come consumatori, come imprese e come politica”. Rossi ha aggiunto come oggi sia fortemente dibattuta la questione del “salario minimo”, che, però, non risolve tutti i problemi sul fronte retributivo per le tante sfaccettature che esso implica, accanto a tanti altri temi, come quello della sicurezza sul lavoro. Il coordinatore del Laboratorio per la felicità pubblica, infine, ha voluto richiamare il contributo dei padri costituenti nel porre il lavoro a fondamento della Costituzione e, tra questi, ricordare la figura di Amintore Fanfani.

Il primo intervento è stato quello di Filiberto Parente, Presidente Regionale Acli, con una disamina precisa dello stato dell’arte delle politiche del lavoro messe in campo in Italia dai vari Governi succedutisi negli ultimi anni, che  – però –  continuano ad essere insufficienti nel fornire una seria risposta al problema del progressivo impoverimento del lavoro. Ciò sarebbe certificato oramai anche dalle statistiche nazionali  e dal confronto con gli altri Paesi Europei, che – invece –  in questi ultimi anni hanno visto una generale tenuta nel tempo dei salari reali a sostegno della domanda. Parente ha, inoltre, evidenziato  che il problema non sia solo quello del lavoro “povero”, ma anche di quello “precario” e “sfruttato” e che senza il lavoro (dignitoso) non ci sia neppure giustizia sociale. A parere del presidente dell’Acli, sembra che, sul fronte dei diritti, si stia tornando indietro e che : “ la lotta di classe, che sembrava superata, invece c’è e l’hanno vinta i ricchi; chi nasce in un contesto di difficoltà e povertà può pure studiare ma non raggiungerà mai quel reddito delle famiglie più agiate” .

Nel raccogliere gli spunti ricevuti sul tema del lavoro “povero”, prima di dare la parola al successivo relatore, il coordinatore Gaetano Natullo ha voluto rappresentare su questo fronte una sofferenza, ancora maggiore, che si avverte nelle aree interne e più fragili del Paese. Si tratta di una questione, ha detto il Direttore DEMM,  che occorre necessariamente considerare ed affrontare in modo concreto ed immediato, anche perché questa costituisce, fra le altre, una determinante del gravissimo fenomeno di spopolamento e di depauperamento materiale che questi territori stanno registrando negli ultimi decenni.

Il mercato del lavoro e i risultati della ricerca sul campo

È stata, quindi, la volta di Massimo Resce, ricercatore INAPP (l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche), che ha affrontato il tema con un’approfondita relazione tecnica, corredata di dati statistici, dal titolo “Contesto salariale e i low paid in Italia”  con uno  “spaccato sulle aree interne”, evidenziandone le caratteristiche e criticità dell’attuale mercato del lavoro, soprattutto rispetto  a quanto accade nei Paesi dell’Unione Europea e in quelli  OCSE.  Parlando dei low paid (ovvero dei lavoratori a bassa retribuzione), Resce ha ricordato come  la Direttiva UE  2022/2041 li calcoli utilizzando  la “procedura per la determinazione di salari minimi legali adeguati” , di cui  all’art.5,  e in particolare il 60% del salario lordo mediano; chi si colloca al di sotto di questa soglia è considerato a rischio povertà. In sostanza, la norma prevede la definizione di un’apposita procedura per fissare e aggiornare i salari minimi legali (con il coinvolgimento delle parti sociali, art. 7) per garantire nel tempo la loro adeguatezza, individuando come valori di riferimento indicativi, quelli comunemente utilizzati a livello internazionale: il 60 % del salario lordo mediano e il 50% del salario lordo medio.

 E’ importante segnalare che la Direttiva introduce altri significativi indicatori, tra cui quello del tasso di copertura della contrattazione collettiva: gli Stati membri che presentano un tasso di copertura inferiore all’80% devono prevedere condizioni favorevoli alla contrattazione collettiva, anche attraverso la definizione di un piano d’azione per promuoverla e incrementare progressivamente il livello di copertura.

Il paradosso sta nel fatto  che il nostro Paese, pur presentando il più alto livello di copertura della contrattazione collettiva (98%), è quello che negli anni ha conosciuto  maggiormente la perdita dei salari reali,  che da noi crescono meno della media OCSE, contrazione  che, peraltro, è stata massima nel periodo dell’emergenza Covid. Ma quello che sorprende di più, analizzando i trend storici, ha detto Resce è che, con riferimento al livello dei salari medi,  nel 1992 l’Italia si posizionava al di sopra della media OCSE (al 9° posto), successivamente, già nel 2002, scendeva sotto la media OCSE, per poi perdere ulteriori posizioni, giungendo nel 2022 al 22° posto nel ranking internazionale.

Risulta evidente come la perdita progressiva registrata nel livello dei salari reali, più volte raccontata anche dalla nostra testata,  abbia un impatto negativo sulla domanda interna che, infatti, in questi ultimi anni, ha registrato una significativa contrazione, con tutto quello che ne consegue sul piano sociale: indebolendo il potere di acquisto delle famiglie, aumenta la difficoltà di poter sostenere la prole e cresce la povertà.

Il ricercatore dell’INAPP ha poi esposto i risultati di un’indagine statistica condotta dall’Istituto, su un campione di circa 46.000 lavoratori. Uno dei risultati che subito balza all’occhio è che il 12% dei lavoratori è a rischio povertà in Italia e la situazione è ancora peggiore nel Mezzogiorno e nelle aree interne, riproponendo anche qui la forte dicotomia tra “centro “ e “periferia”. Basti pensare, ha sottolineato Resce, che addirittura  il 53,6% degli  occupati a rischio povertà risiede nelle aree interne del Sud. Dal punto di vista della distribuzione territoriale dei c.d. low-paid, l’indagine evidenzia, quindi,  forti divergenze: una maggiore concentrazione nelle aree interne di lavoratori con bassi salari e soprattutto nel Sud e nelle Isole, in particolar modo nelle zone periferiche ed ultraperiferiche, a fronte di un Nord Est e un Nord Ovest che, invece,  mostrano una maggiore  presenza di low-paid nei centri. Se  si considera la distribuzione in base al titolo di studio,  mentre nel “centro” si registra la  capacità della laurea  di garantire maggiori redditi, nelle aree interne questo non avviene. Anche per l’età il Sud è penalizzato; qui si registra la maggiore presenza di redditi bassi da parte dei giovani.  Infine,  ha  evidenziato Massimo Resce, se si considera il sesso, si osserva che, mentre nel ”centro” si registra una certa uniformità di distribuzione dei redditi bassi tra i maschi e le femmine, nelle aree interne  permane una forte polarizzazione tra territori, con una maggiore presenza di redditi bassi nel Sud e nelle isole sia per i maschi che per le femmine.

Molto apprezzato l’accorato intervento di Antonio Russo, Portavoce nazionale di Alleanza contro la povertà, che, da par suo, ha fornito i dati che denunciano un progressivo impoverimento del lavoro, risultato anche di una deregolamentazione sbagliata e di un forte indebolimento della rappresentanza sindacale.

A seguire l’intervento di Paola Saracini, associata di “Diritto del lavoro” – DEMM UNISANNIO, che, dal suo osservatorio accademico,  ha confermato i dati di un mercato del lavoro che presenta numerose criticità, caratterizzato negli ultimi anni da una deregolamentazione sfrenata  che non ha avuto gli effetti sperati; magari si è ridotto il numero dei disoccupati, ma è aumentato soprattutto il lavoro povero e precario. Nel nostro Paese si pone, inoltre, il problema della rappresentanza sindacale e della contrattazione, tanto più evidente se si pensa al fatto che, pur in presenza di una elevata copertura da parte dei contratti collettivi, i salari reali restano tra i più bassi in Europa. Secondo la professoressa  Saracini, il problema  oggi non è più solo dei lavoratori dipendenti, in quanto investe anche i lavoratori autonomi; la recente norma sull’”equo compenso” dà una chiara indicazione di una  nuova sofferenza che si registra anche in questo ambito.  Neppure il salario minimo, ad avviso di Paola Saracini, può rappresentare la soluzione,  perché, anche aumentando la retribuzione oraria, se le ore lavorate sono poche e il rapporto è precario, la povertà rimane.

A chiudere l’incontro, l’intervento di Guido Tortorella Esposito , associato di “Storia del pensiero economico” – DEMM UNISANNIO con una relazione incentrata sul “binomio tra lavoro e dignità”.

L’economista napoletano è partito dalla considerazione delle variabili “lavoro”, “transizione demografica” e “spopolamento”, evidenziando: la necessità di rimuovere i luoghi comuni sulla relazione fra esse (posto di lavoro, sacrificio, gavetta …);  la presenza di un saldo negativo tra esportazione e importazione di lavoro ad alta qualità; gli effetti sulla transizione demografica e sullo spopolamento. I dati ISTAT, così come quelli del MIUR e di importanti rapporti sull’immigrazione come quello elaborato da Caritas-Migrantes, ha precisato Tortorella Esposito,  raccontano tutti lo stesso scenario: “Ogni anno, usando l’immagine allegorica adottata dal Sole24Ore, è come se si svuotasse una città delle dimensioni come quella di Bari”.

I giovani in età lavorativa, soprattutto se hanno investito molti anni in alta formazione, cercano una occupazione in quei paesi dove possano avere opportunità di autodeterminazione. Allora, secondo l’economista napoletano, avviene un processo di transizione demografica che, nelle sue dinamiche,  presenta un andamento decrescente in termini di numerosità della popolazione, di popolazione lavoratrice e di numerosità della numerosità delle imprese, con  effetti negativi in termini produttivi, favorendo lo spopolamento.

 Guido Tortorella Esposito ha poi citato un dato particolarmente significativo, ricordando che:in base agli studi di Brunello Rosa dell’LSE risulta che, su sei milioni di italiani che vivono all’estero, due sono ad alta qualità , provocando, così,  una perdita di PIL nazionale pari a circa l’1% (elaborazioni LSE e Confindustria)”.

Ma anche sulla questione dei c.d. “cervelli in fuga”  il professore dell’UNISANNIO ha voluto dire la sua: “Le motivazioni che spingono i giovani a lasciare le proprie terre di origine, più che numeriche, legate alla domanda di lavoro espresse dalle imprese, riguardano fattori che incidono sulla dignità del lavoratore, sia in termini di remunerazione salariale che di coinvolgimento del lavoratore nei processi produttivi. Esiste inoltre un’alta capacità di attrarre giovani lavoratori italiani da parte di Paesi che negli anni hanno accuratamente programmato e implementato investimenti nei settori del welfare, dei trasporti, del green e dell’efficientamento e alleggerimento della burocrazia, come la facilità nel pagare le tasse o nel fare impresa, tanto per citarne alcuni. L’Italia al contrario non ha fatto adeguati investimenti in tal senso e, quindi, non è altrettanto attrattiva verso lavoratori ad alta formazione stranieri”.

Inoltre, ha rimarcato l’economista dell’UNISANNIO, negli altri Paesi si registra la presenza di una bassa cultura gerontocratica, di una minore misoginia negli ambienti di lavoro, come dimostra, internamente all’UE, il Gender Gap Index ed una maggiore inclusività, come emerge dal TalentAttractivness Index dell’OCSE.

In merito alle condizioni lavorative, il professore Tortorella Esposito ha voluto citare i dati dell’Istituto Almalaurea, da cui emerge che il motivo per cui i giovani italiani nella fascia di età 25-34 anni, con una laurea di secondo livello, decidono di trasferirsi all’estero risiede nelle migliori condizioni di lavoro che qui si offrono.  All’estero si ricorre in media di meno al lavoro autonomo e la percentuale di ricorso al lavoro a tempo indeterminato è più alta che in Italia (intorno al 51% dei contratti offerti). Sempre all’estero,  risulta migliore (in media) il salario mensile netto percepito, sia a un anno dal conseguimento del titolo (intorno al 41% in più rispetto alla media italiana), che a cinque anni dal suo conseguimento (intorno al 47% in più rispetto alla media italiana).

Secondo il “REPORT GALLUP “STATE OF THE GLOBAL WORKPLACE” ,  in Italia solo il 4% dei lavoratori si sente coinvolto nel proprio lavoro, occupando la 38° e ultima posizione in Europa e nel mondo. Il 60% degli intervistati non si sente soddisfatto del proprio lavoro, occupando nella sola Europa la posizione 28° per ciò che riguarda i lavoratori definiti “thriving”, cioè fiorenti o prosperi; infine, il 27% degli intervistati dichiara di provare tristezza sul proprio posto di lavoro.

Le possibili soluzioni: un cambio di approccio

In chiusura della sua argomentata relazione, nell’individuare le possibili soluzioni al problema, partendo da quello che manca nel nostro Paese,  l’economista  Guido Tortorella Esposito ha sottolineato come il modello anglosassone dell’economia politica, a differenza, del paradigma dell’economia civile, escludendo i fattori qualitativi dalle sue analisi di mercato: “ risulti privo dei seguenti punti:  cultura della dignità e  del rispetto dei portatori di interesse e dell’inclusione;  cultura della definizione del lavoro, quale fattore di sviluppo socioeconomico .  In Italia si aggiunge una mancanza di:  “cultura economica”, che impedisce spesso di attuare riforme capaci di ammodernare le istituzioni, rendendole compatibili con l’esigenza di contemperare lo Stato di diritto e i veloci cambiamenti delle tecnologie e dei mercati , e di  “programmazione”.

Il simposio di Benevento, ponendo al centro il tema del lavoro “povero”, è stata un’occasione importante per acquisire una migliore  consapevolezza del problema per poi affrontarlo con determinazione,  colmando i ritardi accumulati, anche di tipo culturale, cercando le soluzioni più opportune ed efficaci, in linea con i tempi.

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