Il futuro del referendum sull’autonomia differenziata dopo la pronuncia della Cassazione

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C’è ancora spazio per il referendum sull’autonomia differenziata dopo la pronuncia della Cassazione?

Come sappiamo, l’Ufficio Centrale per il Referendum presso la Corte di Cassazione, con un’unica ordinanza, depositata il 12 dicembre 2024, ha dichiarato conformi a legge le richieste di referendum relative all’abrogazione totale della legge n. 86 del 2024 sull’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, mentre ha dichiarato non conforme a legge la richiesta di referendum relativa all’abrogazione parziale della stessa legge n. 86 del 2024.

La pronuncia della Cassazione viene dopo quella della Corte Costituzionale (n.192 del 3/12/2024) che, di fatto, ha demolito la legge Calderoli sull’autonomia differenziata, individuando numerosi profili di illegittimità costituzionale, salvando unicamente alcune previsioni della legge n. 86 del 2024, interpretandole in modo costituzionalmente orientato.

Ricordiamo che la legge n.86/2024 del 26/06/2024, entrata in vigore il 13/07/2024, un provvedimento “bandiera” fortemente voluto dalla Lega e dal Ministro Roberto Calderoli, con i suoi 11 articoli definisce i principi generali per l’attribuzione alle regioni di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, e per la modifica e la revoca delle stesse, nonché delle modalità procedurali di approvazione delle “intese” fra lo Stato e una regione.

Dopo l’intervento della Cassazione che ritiene legittima la richiesta di referendum totale, la palla passa, quindi, alla Corte Costituzionale, chiamata a gennaio prossimo ad esprimersi sull’ammissibilità del referendum.

Il parere della costituzionalista Daniela Mone

Per fare il punto sulla delicata questione, abbiamo sentito il parere della prof.ssa Daniela Mone, costituzionalista campana e docente di “diritto pubblico” presso l’Università Luigi Vanvitelli di Caserta, che già in altre occasioni è intervenuta nella discussione pubblica apertasi sull’autonomia differenziata.

Prof.ssa Mone quali sono gli scenari che si aprono dopo le pronunce della Corte Costituzionale e poi della Cassazione?

(Daniela Mone):L’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione, come lei ha ricordato, ha dichiarato la legittimità della richiesta di referendum abrogativo totale della legge n. 86 del 2024, non conforme a legge la richiesta di referendum sul quesito relativo alla sua abrogazione parziale, dal momento che le disposizioni che ne costituivano l’oggetto sono state sostanzialmente annullate dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 192. Quanto al quesito di abrogazione totale, si è ritenuta, anche dopo la pronuncia del Giudice delle leggi, permanente la materia referendaria, con un’argomentazione non proprio convincente sul piano giuridico. I cittadini hanno firmato non per abrogare l’autonomia differenziata (che è prevista in Costituzione) ma una sua specifica attuazione (quella dell’originaria legge Calderoli, del tutto differente da quella prevista dalla legge “emendata” dal Giudice costituzionale). In ogni caso, ora le sorti del referendum sono affidate alla Corte Costituzionale che si pronuncerà sulla sua ammissibilità a gennaio. Per diversi commentatori la Corte negherà il referendum dal momento che la legge n. 86 sarebbe costituzionalmente necessaria. Tali posizioni non mi appaiono condivisibili, considerato che l’art. 116, comma 3, Cost. non prevede una legge attuativa, come si ricava dalla stessa sentenza n. 192 laddove si riconduce la legge Calderoli a scelta discrezionale (quindi non obbligo) del Legislatore di dettare una normativa attuativa. Più probabile, proprio perché collegata alla discutibilità della decisione della Cassazione, l’ipotesi di inammissibilità, per mancanza di chiarezza ed univocità del quesito”.

Secondo Lei, è convenuto insistere sulla strada del referendum. dopo la pronuncia della Corte Costituzionale, valutando i rischi connessi al raggiungimento del quorum e poi all’esito del voto, tenendo conto che la popolazione residente nel Mezzogiorno, che più si sente tradita dalla riforma, non supera il 34% di quella dell’intero Paese ?

(Daniela Mone): “Credo che insistere sulla strada del referendum non sia stata una scelta prudente sul piano politico innanzitutto per la ragione che richiama lei. Il numero dei cittadini sensibili al tema è più basso di quelli potenzialmente interessati alla differenziazione. Questa circostanza, unitamente al fenomeno dell’astensionismo, avrebbe dovuto indurre a lucrare il successo indiscusso ottenuto da oppositori al Governo e alla legge, con la pronuncia della Corte Costituzionale che della legge Calderoli, non lascia, sostanzialmente, nulla con riferimento ai punti contestati. Il tentativo di giungere all’obiettivo politico di dare una spallata al Governo può, infatti, trasformarsi in un boomerang, bruciando tale vittoria, in caso di prevalenza dei no o mancato raggiungimento del quorum e rinforzando, conseguentemente, il Governo. Il rischio, peraltro, è amplificato dalla consapevolezza della natura ormai sostanzialmente politica del referendum, considerato che giuridicamente la legge è stata sterilizzata dal giudice costituzionale, a seguito della sentenza n. 192, della portata lesiva dell’unità nazionale e, dunque, della sua pericolosità per il Sud”.

In ordine alla determinazione dei LEP, la Corte Costituzionale richiama la necessità di coinvolgere a pieno titolo il Parlamento, finora chiamato ad un ruolo di mera ratifica, escluso dal Governo da qualsiasi valutazione sostanziale, che finora ha affidato il compito della loro definizione alla contestata Commissione CLEP di Sabino Cassese, anch’essa nominata dall’esecutivo.

Qual è il suo parere sui LEP, tenendo conto che, a prescindere dall’autonomia differenziata, la loro previsione è in Costituzione e che, comunque, il Governo ha previsto che l’attività istruttoria per la loro determinazione e dei relativi costi e fabbisogni standard sarà svolta fino al 31/12/2025 presso il Dipartimento per gli affari regionali della presidenza del Consiglio dei ministri?

(Daniela Mone): “Mi sembra che, al momento, il rischio maggiore per il Sud sia collegato proprio alla decisione della Corte costituzionale di far salvo il lavoro del Comitato per la determinazione dei Lep, presieduto da Cassese, che proprio in questi giorni ha concluso i suoi lavori, confluito in un rapporto di 288 pagine. L’attività istruttoria per la determinazione dei Lep, per effetto del decreto cd. Milleproroghe, sarà svolta presso il Dipartimento per gli affari regionali della presidenza del Consiglio dei ministri. Il lavoro del Clep potrà essere utilizzato come base per la determinazione dei LEP da parte del Parlamento cui tale attività, che è connotata da un altissimo tasso di politicità, è stata affidata dalla Corte costituzionale, in quanto organo politico e rappresentativo dell’intero popolo. Essa, tuttavia, sarà significativamente condizionata dal lavoro svolto dal Clep, com’è noto, fortemente criticato da alcuni dei suoi stessi componenti (ultimo, in ordine di manifestazioni di tale posizione, Enrico La Loggia), in taluni casi fuoriusciti, per i suoi limiti in termini di garanzia del principio di uguaglianza e di superamento delle asimmetrie, cui sarebbero razionalmente e costituzionalmente destinati i Lep. Il vero compito di chi ha a cuore le sorti del Sud è di monitorare l’attività di determinazione di tali grandezze che, presentate come grandezze tecniche, sono idonee a connotare il regionalismo italiano in senso solidaristico o, invece, competitivo, ossia contra Constitutionem”.

Lei non pensa che un’eventuale abrogazione della legge possa mettere il Sud al riparo dalle pretese avanzate dai negoziati tuttora in corso?

(Daniela Mone): “Come ho detto la legge è stata sterilizzata della sua pericolosità per il Sud dall’intervento del giudice costituzionale.  È innocua, come ho avuto modo di scrivere altrove. Rispetto al punto specifico dei negoziati tuttora in corso, la legge lo è, dal momento che il loro percorso, che è iniziato prima della sua approvazione, potrebbe proseguire anche in caso di abrogazione.  In generale, l’art. 116, comma 3 Cost. non richiede legge attuativa (e se sarà ammesso il referendum, questo sarà implicito), per cui l’autonomia differenziata potrà essere attuata a prescindere da qualunque legge.  Pertanto, se viene ammesso il referendum, votare per il sì avrà una valenza politica, un valore antigovernativo. Sul piano giuridico, ma in effetti anche politico, se politico è inteso come sinonimo di rilevante per il popolo e non per uno specifico partito o comitato (come quello referendario), potrebbe paradossalmente essere più opportuno conservare una legge come quella Calderoli, “riscritta e riletta” dalla Corte e da emendare nella direzione dalla stessa indicata, che abrogarla, con la possibilità di azionarsi sulla base delle sole disposizioni dell’art. 116, comma 3, Cost., con l’enorme discrezionalità che accompagna una simile ipotesi. Tornando ancora ai negoziati, se la legge non viene abrogata, il loro contenuto deve rispettarla, nella lettura costituzionalmente conforme che ne ha dato la Corte. Meno vincoli, invece, avrebbero se proseguissero, come possibile in caso di abrogazione, sulla base del solo articolo 116, comma 3, Cost.”.

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