Pompei riscopre il suo vino: nel Parco Archeologico nasce un nuovo vitigno pompeiano

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Nel cuore del Parco Archeologico di Pompei, tra le rovine che raccontano millenni di storia, sta per rinascere un progetto unico nel suo genere: la creazione di un nuovo vitigno autoctono pompeiano. La notizia è ufficiale e ha già suscitato grande interesse nel mondo della viticoltura e dell’archeologia: all’interno dell’area antica, protetta dall’UNESCO, verrà impiantata una nuova vigna con l’obiettivo di recuperare le caratteristiche originali dell’antico vino pompeiano, quello stesso nettare di Bacco che accompagnava i banchetti romani e che veniva esportato in anfore fino ai confini dell’Impero.

Il progetto del nuovo vitigno

Il progetto, curato in sinergia tra il Parco Archeologico, l’Università Federico II e alcune aziende vitivinicole del territorio vesuviano, mira a selezionare e coltivare varietà di vite strettamente legate alla tradizione romana, attraverso studi botanici, genetici e archeologici. Si tratterà di un vitigno autentico, che parlerà il linguaggio della terra lavica, del sole del Mediterraneo e della memoria storica.

Quello tra Pompei e il vino è un legame millenario, inciso nei dipinti delle domus, descritto nei testi di Plinio il Vecchio, testimoniato dai ritrovamenti di torchi, dolia e anfore marchiate con i nomi dei produttori. L’eruzione del 79 d.C. ha cristallizzato nel tempo non solo una città, ma anche un intero modello di produzione agricola. Gli scavi hanno restituito le tracce di vigneti ordinati, impianti di vinificazione e persino resti di radici carbonizzate, permettendo agli studiosi di ricostruire, con rigore scientifico, l’antica viticoltura romana. È proprio da queste tracce che oggi si parte per ridare vita a una vigna che non sarà solo simbolica, ma produttiva, inserita in un circuito di valorizzazione territoriale e culturale.

Vitigni importanti della zona

A rendere ancora più ricco il contesto è la presenza, proprio nell’area vesuviana, di alcune delle denominazioni più affascinanti della viticoltura campana. Il Lacryma Christi del Vesuvio, sia in versione bianca che rossa, è forse il più celebre, un vino che affonda le radici in leggende antiche e che nasce da vigneti coltivati sulle pendici del vulcano, tra lapilli e cenere. I vitigni base – Piedirosso, Aglianico, Coda di Volpe, Falanghina – danno origine a vini di grande personalità, minerali, con note affumicate e sapidità vulcanica. Accanto al Lacryma Christi troviamo altri nomi storici: il Catalanesca del Monte Somma, introdotto nel XV secolo dagli Aragonesi, e oggi riscoperto per la sua freschezza e versatilità, e il Caprettone, un bianco elegante e aromatico che sta vivendo una seconda giovinezza. Tutti questi vini sono figli di un territorio unico, dove la viticoltura non è solo agricoltura ma memoria, identità, resistenza. E il nuovo vitigno pompeiano sarà l’ultimo capitolo – in ordine di tempo – di questa straordinaria storia.

Il sapore del territorio nel vino

Secondo le prime analisi e ipotesi enologiche, il vino che nascerà da questo nuovo vitigno pompeiano dovrebbe riflettere in pieno l’essenza del territorio: un rosso di medio corpo, con un profilo aromatico complesso, in cui si intrecciano note di frutta rossa matura, spezie dolci, cenere vulcanica e leggeri sentori affumicati, figli della matrice lavica del suolo. Al palato ci si aspetta un sorso morbido ma strutturato, con tannini levigati, una buona freschezza e una persistenza sapida, che richiama i venti marini e la mineralità della pietra vesuviana. Se vinificato in bianco – come si ipotizza per alcune selezioni parallele – potrebbe dare vita a un vino dal profilo agrumato e floreale, con una spiccata acidità e un finale sapido e balsamico, ideale per accompagnare la cucina mediterranea più autentica. In ogni caso, sarà un vino capace di raccontare una storia: quella di Pompei, dei suoi vignaioli antichi, della terra che rinasce, vendemmia dopo vendemmia, tra le colonne di un passato immortale.

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