Alcuni scambi intervenuti tra chi è previsto partecipi al tavolo tecnico dell’intergruppo parlamentare ‘Sud-Aree interne-isole minori’, e l’interessante, sfidante articolo qui pubblicato dal professor Vito Umberto Vavalli mi inducono a proporre una critica alla teoria economica della decrescita, che reputo errata e controproducente, della quale vedo potenziali effetti negativi in particolare se applicata in territori non ancora adeguatamente strutturati e sviluppati come alcuni dei territori del Centro Sud.
La Decrescita felice tra farse ed errori
Una recente statistica circa il PIL per capita delle singole regioni italiane indica tra le prime tre il Trentino-Alto Adige con 42.300 €, la Lombardia con 38.200 €, l’Emilia Romagna con 35.300 €, mentre le ultime tre appaiono essere la Campania con 18.200 €, la Sicilia con 17.400, la Calabria con 17.100.
Differenze eccessive, ma addirittura maggiori ove si esaminino, invece, le disuguaglianze infrastrutturali e di sviluppo economico, circa le quali, se vi sono stati accadimenti positivi nel Centro, ampia parte del Sud sembra ancora in uno stato di stallo (Marco Grasso, Una misurazione del benessere nelle regioni italiane, 2002).
In una situazione del genere non promuovere lo sviluppo significherebbe, per gli abitanti di tali territori, negare la loro possibilità di sviluppo economico significa confinarli alla povertà e alla disperazione (Jeremy Rifkin, La civiltà dell’empatia, 2010), e rendere ancor più negativa la percezione della situazione economica della famiglia, che già in tutto il paese sta peggiorando (Rapporto BES 2022. L’evoluzione del Benessere equo e sostenibile in Italia); ciò per di più in un contesto mondiale nel quale si gareggia per lo sviluppo con sempre maggiore concorrenza (v. anche Charles Oman e Ganeshan Wignaraja, Le teorie dello sviluppo economico dal dopoguerra ad oggi).
Le teorie della decrescita
Per cercare un dibattito corretto, utilizzo qui una definizione della teoria della decrescita elaborata da chi la segue (Fabio Berti, http://www.disuguaglianzesociali.it/glossario/?idg=15) : Oggi alla teoria della decrescita fanno riferimento una pluralità di approcci teorici, politici e di azione e impegno sociale che condividono la necessità di un ripensamento complessivo della società al fine di garantire benessere e giustizia sociale in base a un nuovo modo di concepire il rapporto tra stili di vita, risorse naturali e processi economici. In estrema sintesi, la teoria della decrescita è caratterizzata dalla prospettiva di uscire dalle logiche produttiviste e consumistiche tipiche delle società contemporanee per ricostruire una corretta relazione tra l’uomo e l’ambiente, migliorando la qualità della vita di ogni individuo attraverso una vera e propria “rivoluzione culturale” necessaria a ricostruire una nuova gerarchia di valori. Si riconosce la derivazione dal testo di Nicholas Georgescu-Roegen, “Demain la décroissance: entropie, écologie, économie”, del 1979, che applica l’entropia al mondo intero ed all’economia, mentre si spiega poi che questo modello non deve essere confuso con il fenomeno concreto della crescita negativa (?).
Tutto ciò, e ciò che si trova negli scritti dei seguaci di questa dottrina, non mi sembra molto preciso, come a mio avviso dovrebbe essere un modello economico-sociale, e le indicazioni concrete, di fenomeni calcolabili, non sembrano molte, mentre a volte tra i riferimenti un po’ più legati ad analisi circa fenomeni misurabili ritorna il rapporto Meadows – MIT promosso dal Club di Roma (Meadows D.H., Meadows D.L., Randers J., Behrens W.W. III, 1972, The Limits to Growth, Washington, Potomac trad. it. I limiti dello sviluppo, Milano, Mondadori, 1973), uno dei più ingombranti e assurdi Zombie culturali, fatto di dati e teorie dimostrati errati e superati, che continuano ad essere ripetuti.
Per questo, mentre riconosco che il mio rifiuto di riconoscere la decrescita quale una possibile teoria ed un possibile modello economico nasce, prima che da ogni calcolo, dalle considerazioni concernenti il mio antropocentrismo, la mia valutazione positiva dell’uomo, della sua libertà, del suo lavoro, del mercato e dell’economia, del valore e della centralità di quelli, tento qui, nei limiti del luogo e dello spazio tipici di un giornale, una sintesi, pur rozza, se non brutale, di molti, gravi, evidenti, anzi clamorosi, spesso illogici, errori, a volte apparentemente nemmeno ben noti o riconosciuti da chi li commette, nei presupposti stessi sui quali il pensiero che mira ad una decrescita sembrano basarsi.
Gli errori posti a base della teoria della decrescita
Gli errori dei nipotini di Malthus
Nonostante non sia spesso dichiarato, uno degli errori più antichi che viene qui reiterato, nonostante sia stato da 222 anni denunciato e provato da molti e dalla storia, è quello di Thomas Malthus, poi ribadito da Spencer.
È stato Malthus, infatti, che attuando una vera inversione concettuale e matematica, ha creato il terrore della crescita demografica, ponendo quale assunto che lo sviluppo demografico si svolga secondo un moltiplicatore quadratico all’infinito e l’aumento produttivo secondo un incremento lineare, in realtà anzi potenzialmente indicando a termine un decremento per effetto di quella che si definiva la legge dell’agricoltura. Affermava così: Considerando dunque ammessi i miei postulati, affermo che il potere di popolazione è infinitamente maggiore del potere che ha la terra di produrre sussistenza per l’uomo. … Nel regno vegetale e nel regno animale la natura ha profuso con mano generosa i germi della vita, ma è stata relativamente parsimoniosa nel fornire lo spazio ed il nutrimento necessari al loro sviluppo. La scarsità di spazio e di nutrimento nei due regni costringe alla morte ciò che nasce oltre i limiti previsti per ogni specie. Le specie vegetali e animali si contraggono sotto questa grande legge restrittiva (Thomas Robert Malthus, Sul principio di popolazione). Errore per il quale da tempo gli abitanti della terra dovrebbero essere oggi oltre 500 miliardi, la produttività al massimo solo 10 volte quella del 1798, non esisterebbe praticamente nulla di ciò che ora riteniamo essere il nostro mondo materiale e staremmo invece morendo di fame e uccidendoci per il cibo.
Tale errore è stato espresso la prima volta nel 1798 e indicato quale grave sbaglio già l’anno dopo da Godwin, poi anche da Ralph Waldo Emerson, (in Nature) nel 1836, così: Malthus, affermando che le bocche si moltiplicano geometricamente e il cibo solo aritmeticamente, dimenticò che la mente umana era anch’essa un fattore nell’economia politica, e che i crescenti bisogni della società sarebbero stati soddisfatti da un crescente potere di invenzione; l’errore èpoi stato ribadito e contestato, spesso anche con precisi calcoli, da molti, tra i quali, duramente, da Marx ed Engels.
L’errore di ignorare il vero legame tra la produzione, la demografia e il progresso tecnologico, è stato poi dimostrato anche dal vincitore del premio Nobel per l’Economia 1987 Solow che lo denuncio già nel 1956, dimostrando, col principio che da Lui adesso ha preso nome che i tassi di crescita dello stock di capitale e delle unità lavorative, in assenza di crescita demografica, contribuiscono solo in proporzione alle quote di reddito spettanti ai relativi fattori. La componente residua, che è la quota preponderante, sarebbe dovuta al progresso tecnologico, ovvero all’aumento della produttività totale dei fattori non riconducibile in modo specifico al lavoro ed al capitale. (così riassume Nicola Bocella, Introduzione alla traduzione italiana di Charles Oman e Ganeshan Wignaraja, Le teorie dello sviluppo economico dal dopoguerra ad oggi, cit.).
La grande fuga – la c.d. ‘impronta ecologica’
L’enormità dell’errore è poi stato dimostrato nel corso di tutto il ventesimo secolo, nel quale la popolazione è aumenta di quattro volte, la produzione è aumentata di quaranta, così che da molto tempo la miseria è nel mondo in costante diminuzione (v. Angus Deaton, Nobel dell’economia, La grande fuga, essendo la fuga posta nel titolo del Suo bel libro quella dalla miseria).
Esso è infine stato riaffermato e dimostrato da uno dei più grandi biologi esistiti, E. O. Wilson, (1929-20219, già professore emerito di entomologia di Harvard, decano dei biologi U.S.A. e padre degli studi della biodiversità, fondatore della sociobiologia, intesa come lo studio sistematico dell’evoluzione biologica del comportamento sociale, che proponeva di trasformare il 50% del mondo in riserva della biodiversità (v. Edward O. Wilson Le origini della creatività; idem, Metà della Terra). Egli si esprimeva così in una intervista, resa a La Repubblica, 5 VI 2016:
Lei è ottimista sul futuro demografico del pianeta. “Sì, e dovrebbero esserlo anche gli altri. Ovunque nel mondo, dove le donne hanno ottenuto un qualche grado di indipendenza economica, il numero di figli per donna scende a picco. Se la tendenza attuale continuerà, la popolazione umana mondiale raggiungerà probabilmente un picco di undici miliardi per poi iniziare a diminuire“. Ma i consumi pro-capite continuano a crescere. Come faremo a preservare il 50 per cento del pianeta se la nostra impronta ecologica diverrà sempre più grande? “In realtà, anche il consumo pro-capite è destinato a diminuire. L’impronta ecologica (e cioè l’ammontare di territorio richiesto per soddisfare le esigenze di ogni individuo) ora vale in media circa due ettari, ma probabilmente nei prossimi anni si restringerà anziché ampliarsi. Grazie ai progressi di biologia, robotica, nanotecnologie e alla rivoluzione digitale le persone vorranno prodotti più piccoli, che consumano meno energia, che richiedono meno riparazioni e che hanno un impatto meno distruttivo sulla natura”.
Nel frattempo gli stessi sostenitori della carenza dovuta alla rilevanza dell’impronta
ecologica riconoscono che alla data essa corrisponderebbe a 1,6 ettari per ogni essere umano. Il mondo è fatto di 51.010.000.000 di ettari, quasi 32 miliardi di volte di tale ‘impronta’, che unitariamente, peraltro, continua a diminuire; ciò che conforta il calcolo di Wilson.
Invece, incredibilmente, di fatto ancor oggi il pensiero di Malthus, se non (almeno) i suoi calcoli folli, è ancora posto quale concetto di base di quasi tutti i fautori dell’economia della scarsità, in particolare degli estremisti ambientalisti.
Gli errori degli orfani del rapporto Meadows del MIT per il Club di Roma (1972)
Tra i presupposti delle teorie della decrescita molti pongono poi i pur quasi altrettanto sconcertanti errori del rapporto Meadows, primo rapporto prodotto nel MIT per il Club di Roma (1972), la cui antiscientifica genericità e imprecisione si traduceva nelle tre conclusioni: la prima, ripetizione ancor meno scientifica dell’affermazione di Malthus, priva di indicazioni circa dimensioni e tempi, errata già metodologicamente ma poi storicamente, come dimostrato nei successivi 50 anni; le altre due incoerenti e indefinite. Una chiusura un po’ ridicola:
1) se la crescita delle grandezze principali che caratterizzano il mondo, come la popolazione oppure la disponibilità di alimenti, continua al presente livello, si arriverà a dei limiti che se oltrepassati porteranno a un collasso della popolazione e della capacità industriale del mondo;
2) la crescita di questi parametri può però essere modificata, il che permetterebbe all’umanità di arrivare a un equilibrio ecologico ed economico sostenibile nel futuro;
3) se l’umanità decide di percorrere questa seconda strada, più presto si fa questo cambio di rotta, migliori saranno le probabilità di successo.
Il rapporto prevedeva in particolare una prossima fine della disponibilità, l’esaurimento dei combustibili fossili, secondo l’interpretazione di alcuni dei relativi calcoli prima dell’inizio del terzo millennio, mentre asseriva che l’uso di energia nucleare avrebbe determinato eccessivo surriscaldamento (senza però indicare come, perché e senza quantificarlo) e avrebbe creato insuperabili problemi di smaltimento dei residui radioattivi (problema che oggi può ritenersi superato, grazie all’utilizzo di essi negli impianti nucleari di quarta generazione).
Un insieme di errate affermazioni, in ampi parte basate sul c.d. ‘picco di Hubbert’, calcolo delle disponibilità di parte dei combustibili fossili elaborato nel 1956, escludendo di fatto tutto il mondo nel quale non era stato già trovato petrolio o gas e basandosi sulle capacità tecniche già impiegate all’epoca; modello fallace poiché carente, statico e semplicistico, che nemmeno considerava tutti i combustibili fossili, certo non le varianti dei non convenzionali (come l’heavy oil e altre forme meno utilizzate del petrolio) e soprattutto le possibili scoperte, il progresso tecnologico (ovviamente, non prevedeva le invenzioni successive al 1956, tutte quelle intervenute in 67 anni di sviluppi tecnologici). Un insieme di carenze dimostrate nella concreta attuazione, così che, ad es., mentre per esso nel 2015 si sarebbero potuti estrarre 510 milioni di barili di petrolio, quelli effettivamente estratti sono stati 3,44 miliardi.
Il rapporto Meadows adottava così criteri già superati alla data di pubblicazione, e perveniva a previsioni mai verificate vere, anzi, risultate di gran lunga errate; pure, ancor oggi qualcuno lo cita, dedicandogli un’attenzione difficilmente comprensibile, apparentemente ignorando che l’esaurimento dell’energia non è accaduto, ed anzi non è più nemmeno valutato come prossimo, ed ignorando tutte le scoperte ed invenzioni successive ad esso, incluso quelle riguardanti il nucleare di ultima generazione.
L’errore circa l’applicazione del secondo principio della termodinamica
Più di recente, è divenuto poi diffuso un altro grave errore, quello dell’applicazione, anche quale principio cognitivo e interpretativo, del secondo principio della termodinamica tipico dell’energia in un sistema chiuso (pe il quale solo «In un sistema isolato l’entropia è una funzione non decrescente nel tempo») all’intero mondo e al sistema umano, innanzitutto della demografia e dell’economia, elaborando quella che si voluto definire “teoria bioeconomica”, che sulla base di quel presupposto propone di affrontare il problema della distribuzione dei beni e delle risorse e della soddisfazione dei bisogni umani in un contesto di decrescita economica.
La terra non è un sistema chiuso, prende l’energia dal sole
Appare innanzitutto errato affrontare il problema dell’energia, (capacità di compiere un lavoro e quindi di consentire di ottenere prodotti e servizi), e dell’economia, che da quella deriva, a livello dell’intero mondo, considerando questo un sistema in sè aperto, e non considerare che la fonte di energia base, che rende vivente il pianeta e tutti noi, viene dall’esterno di questo, è fatta della luce solare, che si prevede possa durare per i prossimi 5 miliardi di anni; cosicché è errata anche, e prima, l’eccezione per la quale il sistema riceve dall’esterno ‘solo’ energia , quando questa è la necessità prima, necessaria e sufficiente, e l’eccezione è sollevata proprio circa l’ipotesi di una fine, o scarsità, dell’energia in tempi significativi (come ad es., nel pur interessante Jeremy Rifkin, Economia all’idrogeno.)
L’uomo la popolazione e la produzione di questi non sono un fenomeno fisico semplice
Parimente sembra errato paragonare l’uomo, e il suo sviluppo biologico, o il suo agire, e lo sviluppo di quello, quale l’economia, fenomeni di per sé difficilmente prevedibili, raffigurandoli come un fenomeno fisico ‘semplice’, del quale prevedere la decrescita dovuta all’uso dell’energia: un organismo vivente, per quanto semplice, non è del tutto assimilabile ad una ”particella”, perché la sua struttura individuale si può manifestare ad un livello di complessità che non permette di considerare lui, la popolazione umana o la loro attività alla stregua di un ”gas”. La realtà fenomenologica dell’uomo, inclusa l’economia, sfugge quindi ad una descrizione nei termini propri dei sistemi meccanici classici. Ciò mentre si pretenderebbe addirittura di prevedere gli effetti fisici, su di un intero sistema di produzione, su di un sistema complesso formato da un’enormità di singoli organismi viventi.
Quando, invece, più corretta sembra la valutazione di chi sarebbe portato a concludere che i modelli matematici dell’ecologia, a causa della loro complessità, in quanto a potere di comprensione e predizione sono piuttosto apparentabili con i metodi matematici della meteorologia (v. Mimmo Iannelli, Introduzione alla teoria matematica delle popolazioni. Appunti del corso di Biomatematica, 2008-2009, www.science. unitn.it/~anal1/biomat/note/BIOMAT_08_09.pdf ).
Le alternative produttive ed economiche aggirano la seconda regola
Come rilevato, i teorici della decrescita sembrano ignorare tutte le scoperte ed invenzioni che si stanno verificando in tutti gli ambiti del pensiero e della produzione, in particolare dell’energia e dell’agricoltura, inclusa, nella energia, quella dei nuovi sistemi collegati al nucleare, in quest’ultima, la rivoluzione ecologica e produttiva che potrà verificarsi con l’utilizzo dei microorganismi, che potranno portare ad un grande e rapido risanamento di acque e terreni e ad incrementi produttivi incredibili (v. Teruo Higa, An Earth Saving Revolution, 1993). Rivoluzioni che potrebbero ampliare anche una democratica diffusione della ricchezza, anche rimodificando il sistema della moneta, come rammentato da Vavalli.
Circa l’applicazione diretta del secondo principio discusso può perciò dirsi che come hanno già notato negli anni Sessanta gli economisti Harold Barnett e Morse Chandler (Harold Barnett, Morse Chandler, Scarcity and Growth, RFF and Johns Hopkins Press, Baltimore, 1963), la natura pone particolari scarsità di risorse (es. limitate quantità di petrolio, di gas naturale, eccetera), ma non una generale scarsità di risorse nel complesso tale da risultare ineludibile. I progressi tecnologici potranno quindi renderci capaci di trasformare tramite appositi procedimenti alcune risorse più facilmente reperibili in altre che lo sono di meno, ma risultano più utilizzabili nei processi produttivi … Inoltre, fattori quale il capitale e il lavoro possono sostituire sia direttamente che indirettamente le risorse naturali nella produzione, sfuggendo alle implicazioni entropiche. Cosicché … Gli economisti statunitensi Robert Solow (vincitore del premio Nobel per l’Economia 1987) e Joseph Stiglitz (premio Nobel per l’Economia 2001) hanno condotto una lunga polemica con Nicholas Georgescu-Roegen. Già nel 1974, nel corso di una conferenza tenuta davanti alla Associazione degli Economisti Americani, Robert Solow fece notare come fosse possibile sostituire nei processi economici altri fattori alle risorse naturali, aggirando così il problema posto dalla seconda legge della termodinamica. (https://www.proversi.it)
Le sciocchezze ‘à la Greta’
Infine, gravi errori riguardano le sciocchezze ‘à la Greta’, del terrorismo ambientale, che stravolge oggi la mente e le società, creando solo danni e formando sette di non pensanti.
Come si nota in una presentazione del libro Michael Schellenberger, Apocalypse Never. Why Environmental Alarmism Hurts Us All: Cosa c’è davvero dietro l’ascesa dell’ambientalismo apocalittico? Ci sono potenti interessi finanziari. Ci sono desideri di status e potere. Ma soprattutto c’è un desiderio di trascendenza tra le persone presumibilmente laiche. Questo impulso spirituale può essere naturale e sano. Ma predicando la paura senza amore e la colpa senza redenzione, la nuova religione non riesce a soddisfare i nostri bisogni psicologici ed esistenziali più profondi.
Circa questi errori si può rinviare alla lettera dei 1500 scienziati che hanno scritto all’all’ONU, rammentando in particolare che La CO2 non è un inquinante, che Non c’è emergenza climatica, che La politica climatica deve rispettare le realtà scientifiche ed economiche e pregando di rientrare in ragione e scienza (gruppo di scienziati rappresentato in Italia dal prof. Prestininzi, v. il bel convegno promosso poche settimane fa da questo giornale, organizzato in particolare dalla dottoressa Cerra della sezione calabrese) e al libro Dialoghi sul clima, che riunisce 3 presentazioni e 16 articoli scientifici, così sintetizzato dal prof Lombardo:
1) Vi sono ampie verifiche che il clima durante le varie ere è sempre cambiato anche in entità molto superiori al cambiamento registrato in questi decenni.
2) Per quanto la quantità CO2 di origine antropica sia aumentata di oltre il 50 percento negli ultimi trent’anni, la sua percentuale rispetto a quella naturalmente presente in atmosfera resta largamente al di sotto di qualunque soglia si possa ritenere abbia un effetto visibile sul clima. Resta comunque assolutamente indimostrato il legame tra CO2 e cambiamento climatico, se non come una correlazione spuria che non esce dalla semplice concomitanza di eventi che hanno una dinamica simile ma non per questo si influenzino l’uno verso l’altro.
3) I programmi di riduzione della CO2 che l’uomo può mettere in opera sono una frazione ancora più irrilevante e sono praticamente zero in riferimento a quello che il mondo occidentale può realizzare rispetto al resto del mondo.
4) sugli effetti dell’incremento della temperatura da parte dei catastrofisti si evidenziano alcuni lati negativi, ma si trascurano non irrilevanti lati positivi; in ogni caso sull’entità di tali incrementi i ricercatori pervengono a modelli molto diversi con previsioni incompatibili le une con le altre.
Le conclusioni sulla decrescita
Mi permetto fin d’ora di trarre una semplice conclusione: mentre le neuroscienze e le scienze dell’uomo dimostrano ormai definitivamente come questo abbia una natura sociale, associativa, tale che il conflitto non è il suo comportamento prevalente, primario, ed anche il sistema economico può mirar più alla collaborazione e meno alla concorrenza rispetto a quanto oggi non sia, non esiste nessun motivo che ponga un vero conflitto necessario, men che mai demografico, tra gli uomini in relazione alle possibilità di vita e benessere del nostro mondo; questo ha quantità e capacità produttive molto superiori a quanto sia necessario per far vivere bene un numero di abitanti molto superiore a quello che verrà raggiunto in futuro, prima che il numero stesso si stabilizzi ed anzi si riduca un po’ (come già accade in Italia).
Gli sviluppi scientifici e tecnici si stanno indirizzando verso impianti e sistemi che consentono sempre di più di disporre di energia in quantità mai prima disponibile e che aumenteranno ulteriormente così da consentire un ottimo aumento delle situazioni di benessere diffuso e contemporaneamente una scelta di protezione dell’ambiente, preferibilmente nella direzione già a suo tempo proposta da Edgar Osborne Wilson ed utilizzando la creatività che caratterizza la nostra specie e il nostro pensiero, se non incorreremo negli errori di cui abbiamo già accennato, non ascoltiamo i profeti di sventura ed agiamo per un sano sviluppo.
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