L’Europa ed i porti del Mediterraneo: un rapporto controverso

0
389

Alcune recenti norme dell’Unione Europea e proposte della Commissione potrebbero danneggiare l’importantissimo settore marittimo, della navigazione e dei porti, in particolare quelli europei del Mediterraneo, quelli del Sud Italia, e così il porto di Gioia Tauro, ponendo a carico dei cittadini europei, e quindi su quelli italiani, aumenti di costi e tasse invisibili, perché imposte non ai consumatori finali ma ai fornitori di questi[i].

Sono:

  • le norme che a partire dal 1 gennaio scorso estendono il sistema europeo dello ETS – Emission Trading System alle navi che toccano un porto europeo, applicando a queste una tassa (che ha natura di sanzione, più che di pagamento di servizi) collegata all’emissione di CO2, commisurata al peso trasportato e alla lunghezza della navigazione (poste con la Direttiva (UE) 2023/959 del Parlamento europeo e del Consiglio del 10 maggio 2023 recante modifica della direttiva 2003/87/CE, che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nell’Unione, e della decisione (UE) 2015/1814, relativa all’istituzione e al funzionamento di una riserva stabilizzatrice del mercato nel sistema dell’Unione per lo scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra).
  • la proposta della Commissione che vorrebbe modificare nel codice doganale europeo il c.d. ‘Free Storage’, o ‘Temporary Storage’, ovvero la custodia temporanea in franchigia dei beni e merci in transito, in modo che questi diverrebbero oggetto di tassa e dazi già dopo tre giorni dall’approdo.

L’Europa, che da tempo continua a perdere importanza nel mondo, anche nella produzione industriale e  nelle dimensioni e attività dei suoi punti produttivi, tra i quali i porti[ii], come in molti altri casi sembra voler regolare il mondo, interi settori economico-sociali, creando recinti giuridico-burocratico-fiscali che limitano e danneggiano innanzitutto, se non solo, essa stessa Europa, i suoi cittadini, imprenditori e consumatori.

Anche queste nuove norme unionali, illiberali e discriminatorie in modo negativo, in realtà sono ingiustamente dannose e inutili: impoveriscono i cittadini e nulla apportano di positivo,  nemmeno alla tutela dell’ambiente, che asseriscono di ricercare, anche perché non adottano quanto è chiesto da chi opera nel settore, ovvero di Investire nel settore marittimo la maggior parte dei proventi derivanti dalla applicazione della ETS al settore marittimo e dalla FUEL-EU-Maritime – Incentivare coloro che investono in nuove navi/tecnologie – Ridurre fino a coprire il differenziale di prezzo tra fuel esistenti e futuri fuel alternativi[iii]. Esse determinano invece costi ed impedimenti alla navigazione e ai sistemi marittimo-portuali, creano distorsioni negative tra i porti europei e i porti non europei, che non sottostanno ad esse, non le subiscono, e così discriminazione tra i porti europei del Mediterraneo e i porti nord africani, diretti competitori.

Di esse è più che dubbia la legittimità: delle prime, rispetto ai principi e alla finalità della nostra costituzione e a quelli della stessa UE, poiché pongono una tassazione non connessa al reddito e non progressiva, non direttamente correlata nemmeno a servizi pubblici; delle seconde, perché non son attuative degli stessi principi e finalità costituzionali, della UE[iv] e del WTO[v], del trattato che ha creato e regola questa istituzione internazionale e dei suoi principi cardine.

Centro Sud 24 ha già affrontato la questione, soprattutto i correlati problemi del porto di Gioia Tauro, il porto italiano più dedicato al transhipment, in alcuni servizi e interviste, cui si rinvia. Pubblica ora un ulteriore servizio, fatto in due parti, sperando di collaborare utilmente con gli operatori, le associazioni di settore, i cittadini tutti, le commissioni parlamentari e l’intergruppo parlamentare “Sud, Aree fragili e isole minori”, e di contribuire ad indurre i legislatori italiani ad assumere decisioni meno illiberali, che prevengano, eliminino, o quantomeno riducano il problema.

La prima parte del servizio, qui pubblicata, definisce il Porto in genere, e rammenta la sua importanza, il suo essere luogo ed attività primari di commercio, di connessione, il suo ruolo strategico nell’economia e nella società; raffigura il contesto nel quale si pongono le norme in questione ne inquadra la fattispecie  nel Mediterraneo, in Italia, nella nostra Costituzione, nei trattati europei, nel futuro, nell’Europa, nelle reti di tasporto transeuropee TEN-T; desidera così rammentare a chi non opera professionalmente nel settore alcune caratteristiche fondamentali e l’importanza della Blue Economy e, segnatamente, degli scali marittimi nel nostro Paese.

Nella seconda parte, che verrà pubblicata tra pochi giorni, espone cos’è l’ETS – Emission Trading System, le norme che vogliono estenderlo ai porti europei, regolandolo col c. d. carbon mileage, e presenta la proposta della Commissione di diminuire il tempo del c.d. Temporary Storage, della custodia temporanea delle merci in transito; spiega quali danni inutili queste norme e proposta creano ora, nel momento peggiore,  soprattutto ai porti del Sud Italia, in particolare al porto di Gioia Tauro.

Pubblicherà quindi, in numeri successivi, dopo pochi altri giorni, interviste poste a esponenti particolarmente qualificati del settore: l’intervista-video dell’avv. Rubino con Alberto Rossi, direttore generale di AssArmatori, associazione degli armatori italiani che rappresenta gli interessi del settore marittimo e portuale, avvocato marittimista, esperto di diritto dei trasporti, della navigazione e dell’Unione Europea, che ha assunto il suo ruolo nell’associazione nel 2018, con l’obiettivo di rafforzarne la struttura e la crescita, focalizzandosi sui temi di sviluppo e competitività dello shipping italiano; l’intervento del dott. Gaudenzio Parenti, Direttore generale di ANCIP (Associazione Nazionale Compagnie e Imprese Portuali), associazione nata con l’intento di guidare ed accompagnare le società aderenti nel percorso di applicazione della legge 84/94 e delle successive modificazioni, che annovera a livello nazionale circa 50 imprese portuali, e rappresenta tra l’altro le aziende che nei porti italiani gestiscono il lavoro temporaneo.

Centro sud 24 e chi scrive ringraziano ancora vivamente gli illustri intervistati, che hanno chiarito il problema e dato solidità e concretezza al servizio.

Il Porto

Ambito territoriale naturale ed artificiale  – sito della Nave, di marineria

Il Porto. indipendentemente dalla sua ubicazione (mare, fiume, estuario, lago, laguna) o finalità (rada, porto di ridosso, porto militare, porto commerciale, ecc.)[vi]  è il luogo, l’ambito territoriale[vii], e l‘oggetto complesso, o universalità, caratterizzato anche dalla sua finalità dalla destinazione e dall’organizzazione, che comprende le aree, gli immobili e gli impianti che intorno vi insistono, gli “elementi naturali, uno specchio acqueo e la circostante terraferma, ed artificiali, le opere costruite dall’uomo, per proteggere dall’azione dei venti e dal mare l’approdo e la sosta delle navi[viii].

Esso è dunque sito, attuale o potenziale, strumento e quasi prosecuzione della Nave

Questa a sua volta è definita dall’art. 136 cod. nav. come «qualsiasi costruzione destinata al trasporto per acqua, anche a scopo di rimorchio, di pesca, di diporto, o ad altro scopo»[ix], come oggetto “caratterizzato, sul piano materiale, dalla galleggiabilità e dalla attitudine alla navigazione, e cioè dalla idoneità, per le sue caratteristiche tecniche, a galleggiare e spostarsi sull’acqua, e, sul piano funzionale, dalla destinazione alla navigazione[x]; fattispecie complessa, che sotto il profilo del diritto privato, è un bene mobile “sottoposto a registrazione, oggetto di diritti reali e la cui utilizzazione dà luogo a rapporti obbligatori[xi],  che “esiste come tale, per effetto della sussistenza dei requisiti obiettivi di cui all’art. 136 c. nav., anche prima della iscrizione[xii]; che alcuni la ritengono universalità che configuri in sé azienda[xiii], se non ‘una comunità viaggiante’ o ‘un’isola navigante’[xiv], anche perché “nel diritto pubblico la nozione ne è diversa, tenendosi conto del fattore organizzazione cui si dà luogo per il suo esercizio, senza di che, appunto, la nave non sarebbe tale; è stato quindi detto, con fondamento, che per l’ordinamento interno complessivamente considerato la nave costituisce una fattispecie complessa i cui elementi sono tanto materiali che di organizzazione e devono concorrere tutti per costituire la fattispecie di nave ammessa alla navigazione, che è quanto dire nave perché tale non sarebbe il semplice scafo, sia pur attrezzato, ma cui non si possibile o consentito l’esercizio della navigazione[xv]; e “quando si parla di navi nel diritto internazionale pubblico … il termine nave è un’espressione sintetica rappresentativa di un complesso di diritti e doveri soggettivi dello Stato di cui la nave stessa abbia la nazionalità[xvi].

Il Porto è dunque luogo di creazione, destinazione, ormeggio[xvii]  (ottenuto acquisendo, da parte del concedente, la disponibilità delle strutture portuali e di uno spazio acqueo[xviii]) e di riparazione, di carico e scarico della Nave, e anche luogo ed insieme di vita dei marinai, di marineria (intesa come un insieme di uomini dellamarina): spazio, materiale e immateriale, di radicazione, di organizzazione e di ordinamento della collettività di lavoro e vita legata ad esso e alla Nave stessa.

Luogo di operazioni, di servizi, di commercio e di trasporto, primario snodo logistico

Secondo la Direttiva 2005/65/CE del parlamento europeo e del consiglio, del 26 ottobre 2005, relativa al miglioramento della sicurezza dei porti, il Porto (marittimo) è (art. 3, 1) “una specifica area terrestre e marittima con confini definiti dallo Stato membro in cui il porto è situato, comprendente impianti ed attrezzature intesi ad agevolare le operazioni commerciali di trasporto marittimo”, e la «interfaccia nave/porto», crea (art. 3,2) “le interazioni che hanno luogo quando una nave è direttamente ed immediatamente interessata da attività che comportano il movimento di persone o di merci o la fornitura di servizi portuali verso la nave o dalla nave”.

Il Porto è anche un mercato, inteso sia quale spazio (pubblico) ove si svolgono servizi e transazioni, sia quale “il complesso di regole e norme che … dettano i criteri ordinanti degli interessi tipicamente sottesi ad atti e operazioni di scambio di beni[xix], ed al contempo una fondamentale infrastruttura del trasporto,  un primario snodo logistico[xx], il cui successo è legato alla validità e funzionalità della rete di trasporti dell’entroterra, sia ferroviaria sia stradale, e delle interfacce con le aree portuali, ma anche, all’efficienza dalle infrastrutture, dei regimi di concorrenza tra operatori ferroviari e dell’autotrasporto.

Un complesso articolato, un unico ‘polisistema’ dinamico

Il Porto, quindi, è un complesso articolato dinamico, il cui dinamismo è a tal punto considerato un elemento distintivo dei porti da averli trasformati – nell’ immaginario collettivo – in emblemi del movimento e dell’ interculturalità[xxi], ed è tale che il Porto opera nel territorio ma anche verso il resto del mondo, in modo aperto a questo, alla conoscenza di esso, quale luogo di scambio rispetto a quello; esso così costituisce insieme momento chiave della nostra economia[xxii] e di rapporti internazionali[xxiii],  un unico ‘polisistema’ fatto di norme e attività dedicate a questi diversi oggetti, ambiti e finalità, che sovente ne esprimono e confermano ratio e norme ed insieme il loro essere emanati e inquadrati in un’ottica di settore, di un settore anch’esso cosi qualificato. Cosicché i porti, con la naturale loro vivacità, autonomia e libertà, sono quindi ancor più preziosi per l’economia, per rilanciare la competitività la crescita e l’occupazione locale [xxiv]

Oggetto di attività “labour intensive”, occupazione, investimenti interni e crescita del PIL

Come rilevato notato, nel Porto si svolgono le operazioni collegate al traffico navale e al sistema portuale, i correlati servizi di tutti i tipi, di costruzione, amministrativi, tecnici, commerciali, finanziari, attività strumentali alla Nave e ad esso stesso Porto, allo scalo; si forma così la relativa comunità di vita e di lavoro professionale complessa, organizzata e matura, in cui si svolgono attività, e si rendono servizi (inclusi quelli logistici) ad alta intensità di manodopera, caratterizzati dalla prevalenza delle prestazioni lavorative, “labour intensive”, tali che la maggior parte dei fattori della produzione del Porto è costituita da queste prestazioni, che il costo di queste è pari almeno al 50% dell’importo totale del costo del servizio/prodotto finale.; operazioni, prestazioni, che lo rendono parte essenziale, vitale, del territorio, della società-comunità, della storia, dell’ordinamento, della nazione di esso Porto, in cui esso si situa[xxv]; operazioni, prestazioni, prodottirilevanti per l’intera comunità nazionale, anche perché contribuiscono direttamente all’occupazione, agli investimenti interni e alla crescita del PIL[xxvi].

res publica – (sub) ordinamento

La sua natura e le sue caratteristiche, il suo essere, nel tempo, dopo che ἐμπόριον[xxvii],  luogo connesso alla città, quando non parte di essa, e strumento e luogo della navigazione, attività importante al punto che fa rammentarre che navigare necesse est, vivere non necesse [xxviii], hanno concorso a far riconoscere al Porto da sempre, quantomeno dai romani, importanza quale luogo e collettività, comunità, e ne hanno comportato la qualificazione giuridica quale cosa pubblica, quale fenomeno, fattispecie, nella categoria delle res publicae, quale insieme di beni posti nell’ambito del demanio marittimo[xxix] (art. 822, c. 1, cod. civ., es art. 28 e 29 cod. nav., R.D. 30 marzo 1942, n. 327)[xxx]; beni peraltro formati sia di “porzioni di demanio marittimo e porzioni di una res communis omnium quale è il mare, sia di elementi accessori sul piano funzionale, legati ai primi da un rapporto di pertinenzialità ex lege (art. 29 cod. nav.), sia di elementi artificiali[xxxi]; beni pubblici circa i quali nel tempo si è svolto “il passaggio da una fase statica ad una fase dinamica del demanio marittimo, caratterizzato da una più accentuata e generale sua utilizzazione ai fini produttivi e ricreativi[xxxii].

Il Porto così è stato, ed è, un luogo ed ordinamento, che come tale “constadi tre elementi, plurisoggettività, organizzazione e normazione[xxxiii], o, meglio, un (sub)ordinamento, in sé unico, un’unità[xxxiv] che prima di altri ha saputo sviluppare regole e comportamenti umani[xxxv], basati su principi sociali ed etici, di libertà[xxxvi], giustizia, uguaglianza[xxxvii], solidarietà e democrazia [xxxviii], espressione del suo essere parte del libero e vivo mondo marittimo, della navigazione.

I porti italiani, primi nello Short Sea Shipping e per flussi croceristici nel Mediterraneo

In Italia, paese che ha oltre7.500 chilometri di fronte d’acqua,la presenza dei porti nelterritorio è stata, ed è, essenziale, anche elemento determinante per la crescita economica e per la sua affermazione sui mercati internazionali[xxxix]. Sono del resto i Porti, e tra i primi i porti italiani, che nel tempo hanno formato l’“area mediterranea”, l’insieme comprendente anche il Mar di Marmara, il Mar Nero ed il mar di Azov, e, tramite Suez, il Golfo Arabo; area il cui centro è l’Italia, area che ora “è tornata a svolgere un ruolo di “magnete” rispetto ai diversi flussi di interesse che si muovono intorno al mondo e rispetto alla localizzazione di investimenti da parte dei paesi più avanzati”[xl].

Grande è la quantità dei porti italiani e l’importanza per il Paese di essi: regolati da 16 autorità portuali (istituite con la Legge 28 gennaio 1994, n. 84[xli], in materia di “riassetto della legislazione in materia portuale”, e novellate dal Decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 169, in materia di “riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della disciplina concernente le Autorità portuali“, essi formano una rete di circa 260 porti, 58 dei quali, commerciali dedicati sia al trasporto che alla movimentazione di merci  e passeggeri, vengono spesso indicati quali ‘principali’[xlii]. L’importanza di essi nel Paese e nel Mediterraneo è grande anche perché <<L’Italia è leader nello Short Sea Shipping, ossia nel trasporto a corto raggio nel Mediterraneo>>, ed <<è il primo Paese nel Mediterraneo per flussi croceristici>>[xliii].

Essi sono per l’Italia la via principale di importazione ed esportazione di merci, ma non solo di merci, anche della nostra storia, cultura e civiltà, e configurano un sistema la cui apparente dispersione rispetto a quanto accade altrove, ed in particolare nel nord Europa, però“non è solo un vizio ma anche una virtù[xliv], costituisce parte integrante e fondamentale del sistema di trasporto e logistico italiano.

La loro rete, il network portuale nazionale costituisce un insieme collegato di singoli (sub) sistemi portuali, ciascuno “una struttura complessa costituita dall’insieme organico di più porti, che esprimono una capacità produttiva alla somma delle capacità produttive che i singoli porti sarebbero in grado di esprimere se operassero autonomamente. Tale sistema è comprensivo non solo delle opere strictu senso portuali ma anche di aree sistemate nell’entroterra (cosiddetti interporti) che siano funzionalizzate ad una più efficiente organizzazione dei traffici marittimi[xlv].

I Porti, il commercio, un ruolo strategico – l’Italia nell’Europa dei porti

Secondo dati dell’organizzazione dell’ONU, nel 2019 circa il 90% del commercio mondiale in termini di volume e oltre il 70% in termini di valore sono transitati via mare, quindi nei porti, per oltre 11 miliardi di tonnellate di merci trasportate, con un valore stimato di 14 trilioni di dollari, ed i trasporti marittimi e la logistica valgono il 12% del PIL globale. Altre statistiche affermano che nel 2021 il trasporto di beni sarebbe stato all’80%[xlvi].

In Italia almeno il 39% degli scambi commerciali internazionali italiani avviene via mareSecondo Assoporti ed Informare nel 2022 i porti italiani hanno movimentato merci per 490.148.233 di tonnellate[xlvii], il più grande porto europeo, Rotterdam per 467,4 milioni di tonnellate, i porti tedeschi per 282,7 milioni di tonnellate[xlviii], i porti francesi 293,7 milioni di tonnellate di merci.

Per l’Italia vi sono stati, e vi sono ancora, vantaggi dallaprogressiva globalizzazione dell’economia e dalla liberalizzazione del mercato, che hanno determinato una generale crescita degli scambi commerciali a livello mondiale e in particolare il bacino del Mediterraneo è diventato un centro di flussi di traffico Est-Ovest e Nord-Sud (traffico merce varia e Ro/Ro, traffico passeggeri e traffico prodotti petroliferi, ecc[xlix] ).[l]

Il sistema marittimo ha “un ruolo strategico, per almeno tre ragioni: 1) economica, relativa al peso dei settori produttivi collegati alla rete portuale e al legame tra efficienza del settore portuale e competitività del settore produttivo nazionale; 2) geo-politica, legata alla posizione geografica dell’Italia, anche in una prospettiva di accorciamento delle catene del valore; 3) come nodo essenziale di un sistema logistico integrato e intermodale.[li]

Circa la loro importanza, seppur forse banale (ma in Italia troppo poco ricordata e ancor meno ripetuta) è quindi centrale la considerazione che senza i porti, o se essi cessassero di funzionare, o perdessero la loro autonomia[lii], non esisterebbero i nostri Stati ed ordinamenti come essi sono, innanzitutto l’Italia stessa, per definizione nazione di porti e di naviganti, così come, ovviamente, non esisterebbe l’attuale Europa[liii]; e banale, ma necessaria, con essa, la notazione che se in una nazione i porti funzionassero meno che in quelli concorrenti di altri Stati, a danno di quella nazione si determinerebbe un limite all’economia ed alla società, e al commercio, molto peggiore di quanto non possa essere qualsiasi esterna misura protezionista “affecting trade”, incluse quelle vietate e sanzionate dall’Organizzazione Mondiale del Commercio[liv].

L’importanza dei porti, del resto, è ben nota alle istituzioni, anche a quelle europee, inclusa la Commissione Europea, che al riguardo emette proprie comunicazioni, che mirano a comprendere raffigurare e migliorare il sistema europeo dei porti e che spingono i legislatori degli stati europei a riforme[lv].

I Porti come luogo ed attività di connessione tra nazioni, ordinamenti, uomini

Col loro proiettarsi nel mare, verso altri spazi ed altri porti, per più versi i porti tendono a superare i relativi confini spaziali ed anche quelli temporali, ad estendere anche gli usi, le consuetudini, i diritti e doveri degli uomini che vi vivono, in uno sviluppo che da sempre esprime particolare apertura, libertà, collaborazione. Ciascun Porto, infatti, pur nella rispettiva identità ed autonomia, costituisce spazio ed attività di incontro e connessione, di congiunzione, tra collettività, tra ordinamenti differenti, tra sistemi e mezzi di trasporto diversi, che operano via mare via fiume via terra e via aerea [lvi], e anche luogo di rapporto con la città, col territorio e con la rete infrastrutturale. Ognisingolo porto forma così un sistema, e, per l’interrelazione tra essi e nelle rispettive attività (di essi e dei relativi fruitori), si crea un più ampio sistema di tutti i porti ed interporti con quello connessi, realizzato con integrazione orizzontale, fra porti che tra loro si collegano (non solo a breve distanza), e con integrazione verticale, nel territorio, nel sistema dei cosiddetti retro porti [lvii].

Il Porto nella nostra Costituzione, nel nostro ordinamento

La nostra Costituzione stabilisce che lo Stato ha la competenza esclusiva sulla legislazione in materia di porti e navigazione (art. 117, secondo comma, lettera i) e che le Regioni hanno la competenza concorrente sulla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (art. 117, terzo comma)[lviii]; art 117 che “sancisce, dunque, l’impossibilità di ricavare vincoli «esterni» innominati alla potestà legislativa statale e regionale dall’ampio riferimento agli «obblighi internazionali» ora contenuto nel testo dell’art. 117 Cost.”. La giurisprudenza ha interpretato questi principi in modo da riconoscere alle Regioni una certa autonomia nella gestione dei porti, purché non contrasti con le norme statali e non pregiudichi l’unità economica e giuridica della Repubblica.

La Carta non contiene una norma specifica sulla navigazione, ma, conformandosi alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute (art. 10, I comma, Cost.) dispone implicitamente il rispetto delle convenzioni e i trattati internazionali che regolano la navigazione e la nazionalità dei mezzi di trasporto (nonché le eccezioni alla sovranità degli Stati in caso di pirateria, contrabbando, sicurezza o emergenza). Essa tratta materie che configurano e attuano diritti costituzionalmente garantiti connessi alla navigazione e al Porto, come libertà di circolazione e soggiorno, diritto al lavoro, libertà economica: garantendo  a tutti i cittadini italiani il diritto di spostarsi liberamente sul territorio nazionale e di entrare e uscire dallo Stato (art. 16[lix]), stabilendo che a nessun cittadino può essere impedito di circolare o soggiornare in qualsiasi parte del territorio (salvo le limitazioni stabilite dalla legge per motivi di sanità o di sicurezza), o (art. 26) imposto di lasciare il territorio nazionale (salvo nei casi di estradizione per reati comuni), e che nessuno può essere privato del diritto di espatrio, garantisce anche che tali diritti si esprimano con la navigazione e nel Porto.

Al contempo il Porto e la navigazione sono parte, oggetto e contenitore essenziale del lavoro, che è attività e diritto base della nostra Repubblica, primo diritto <<sociale>> della nostra Costituzione “democratico-sociale”[lx] che ha ispirazione personalista e comunitaria o pluralista[lxi], che regola il lavoro in particolare negli artt. 1[lxii], 35[lxiii] e 36, riconoscendole  importanza tale che la Corte Costituzionale vede “nella «tutela del lavoro» un principio non suscettibile di essere oggetto di revisione costituzionale ex art. 138 (Corte cost., sentenza 1146/1988)[lxiv].

Il Porto, quale parte fondamentale delle infrastrutture[lxv] e dell’economia Italiane ed Europee, è espressione rilevante, luogo e mezzo di realizzazione del principio e dell’obbligo di rendere possibile ai cittadini l’iniziativa economica privata[lxvi]  (art. 118 Cost.), di favorire “l’autonomia iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”, dello stesso art. 118 Cost., di quell’iniziativa economica privata e di quei principi di partecipazione all’azienda dei soggetti riguardati oggetto degli artt. 41, 42, 43 e 46 Cost. Già quando si è formata la Costituzione, formale e materiale, in un sistema misto, il sistema del Porto in Italia era ben inserito, e si è sviluppato, “nell’ambito del nuovo stato ‘sociale e interventista’ tracciato dalla Costituzione repubblicana”. [lxvii]

Il Porto quale mercato regolato

Come rammentato dal dott. Parenti, anche nell’intervista che sarà qui pubblicata tra pochi giorni ma prima ancora in precedenti interviste e audizioni, il porto, quale bene demaniale attrezzato e funzionale alle operazioni commerciali di trasporto merci e passeggeri, ha un proprio mercato, un ordinamento in parte regolato in Italia dalla legge speciale 28 gennaio 1994, n. 84, strumentale a soddisfare gli interessi pubblici, la sana e corretta concorrenza tra gli operatori privati, la tutela del lavoro garantendo costantemente la necessaria efficiente, qualificata e flessibile offerta di lavoro a fronte di una domanda non sempre costante e difficile da prevedere. Il “mercato” portuale, che ha come Enti regolatori le Autorità di Sistema portuale, viene sostanzialmente attuato attraverso tre componenti, ovvero “sottomercati”: i) la componente degli operatori terminalisti (ex art. 18 l.n.84/94); ii) la componente delle imprese autorizzate ad effettuare operazioni e servi servizi portuali (ex art. 16 l.n..84/94); iii) la componente dell’avviamento (temporaneo, ovvero attraverso istituti giuridici negoziati), di manodopera portuale in somministrazione (ex art. 17 l. n. 84/94).

Un rapporto regolato tra imprese autorizzate ex art 16, terminalisti ex art.18 e fornitori di lavoro portuale ex art. 17 l.n.84//94, che nel corso degli anni si è consolidato, andando a creare un modello altamente performante ma soprattutto flessibile ed efficiente.

Il Porto e i trattati europei

Il Porto ponendosi nell’ambito dell’art. 11 e dell’art. 117 della Costituzione, che recepiscono ed impongono l’applicazione dei Trattati Europei, è quindi retto (anche)  da questi Trattati, dalle norme di questi, tra i quali gli artt. 2, 6, 9 e 97 TFUE, art. 6, 90 TUE, art.  70 TCE. Questi, a loro volta, sanciscono la libertà di iniziativa privata quale principio fondamentale dell’Unione (v. gli artt. 2 e 3 del Trattato dell’Unione e, per il rinvio operato nell’art. 5 di questo, gli artt. 15 e 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione).

Il Porto quindi è espressione e luogo di formazione ed attuazione di diversi principi, di diverse matrici sociali e giuridiche originarie, quella nazionale, mirante al raggiungimento degli elevati valori Costituzionali, per primo quello dell’eguaglianza (art. 3 cost.), principio e base di legittimazione stessa dello Stato, e quella europea, anch’essa mirante a solidarietà e eguaglianza, come disposto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, 2016/C 202/02[lxviii].

Norme europee che disciplinano il Porto sono poi il regolamento (UE) 2017/352, che istituisce un quadro normativo per la fornitura di servizi portuali e norme comuni in materia di trasparenza finanziaria dei porti,  mirando a facilitare l’accesso al mercato dei servizi portuali, a garantire una serie di requisiti minimi legati alla sicurezza, alla qualifica professionale, al rispetto delle norme sociali e ambientali, e a introdurre l’obbligo di rendicontazione dei finanziamenti pubblici ai porti e dei diritti portuali; ldirettiva 2005/65/CE, che stabilisce misure per il miglioramento della sicurezza dei porti, integrando il regolamento CE n. 725/2004 sulla sicurezza delle navi e degli impianti portuali e prevede l’adozione di piani di sicurezza portuale, la designazione di autorità portuali competenti, la valutazione dei rischi e l’attuazione di misure di protezione;  ora proprio la Direttiva e il Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio (UE) 2023/959, che appunto estende alla navigazione marittima le regole riguardanti le emissioni nel trasporto, il c.d. ETS – Emission Trading System.

Nel futuro, nell’Europa  – nelle reti transeuropee TEN e TEN-T

Grandi sono il ruolo e le possibilità di sviluppo dei porti italiani nel prossimo futuro, in particolare dell’UE, anche, e soprattutto, mediante la partecipazione alle reti transeuropee, e così della TEN-T.  Mentre “La politica europea per le reti transeuropee (TENs) dei trasporti, energia e telecomunicazioni nasce nel 1993 sulla base del Titolo XVI, articoli 170-172, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea[lxix], infatti, “La rete TEN-T mira a creare uno spazio unico europeo dei trasporti basato su un’unica rete transeuropea completa, integrata e multimodale tra trasporto terrestre, marittimo e aereo, che comprenda e colleghi tutti gli stati membri dell’UE in maniera intermodale ed interoperabile[lxx].

Dei quattro corridoi che toccano l’Italia in particolare i due corridoi ‘verticali’, il corridoio TEN-T Scandinavo-Mediterraneo, che in Italia comprende collegamenti con i porti di La Spezia, Livorno, Ancona, Bari, Taranto, Napoli e Palermo, con potenziale proiezione verso l’Africa, e il corridoio Baltico-Adriatico, coi collegamenti Udine/Trieste-Venezia-Padova, Bologna, Ancona[lxxi] toccano molti importanti porti italiani, formando connessioni che stanno divenendo sempre più importanti e meglio attuate anche grazie alle infrastrutture intermodali e ferroviarie realizzate di recente o in corso di attuazione, come le infrastrutture che sono le oggetto del PNRR[lxxii] e il Ponte sullo Stretto, necessario per rendere definitivamente i porti siciliani parte delle reti europee,  la Sicilia luogo creato, vissuto e visto come parte della continuità fisica e di pensiero dell’Europa.

Il 18 dicembre u.s., in sede unionale, la presidenza del Consiglio e i negoziatori del Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo provvisorio su un regolamento riveduto sugli orientamenti dell’UE per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti (TEN-T). Obiettivo è costruire una rete dei trasporti affidabile, continua e di alta qualità che garantisca una connettività sostenibile in tutta Europa, senza interruzioni fisiche, strozzature e collegamenti mancanti; una rete della quale i porti saranno sempre più snodi strategici. La rete sarà sviluppata o ammodernata per fasi, con termini chiari, fissati nel nuovo regolamento, per il completamento della rete TEN-T a 3 livelli: la rete centrale dovrebbe essere completata entro il 2030, la rete centrale estesa, di recente introduzione, entro il 2040 e la rete globale entro il 2050[lxxiii].

Noi italiani dobbiamo ora realizzare tempestivamente la nostra parte. Ma al contempo la politica europea non deve ostacolare lo sviluppo economico italiano e in particolare quello dei porti; come invece sembra fare ora con le norme che saranno ricordate e criticate nella prossima parte 2 di questo servizio.


[i] Nicola Porro. Le tasse invisibili. L’inganno di stato che toglie a tutti per dare a pochi. La nave di Teseo, 2019.

[ii] Secondo “Container Management”, nel 2020 i primi 20 porti nel mondo sono stati Shanghai (42.500.000 TEU), Singapore, Ningbo, Zhoushan, Shenzhen, Qing dao, Guangzhou, Busan, Tianjin, Los Angeles/Long Beach, Hong Kong, Rotterdam (12°, 14.010.000 TEU), Dubai, Anversa (14°, 12.000.000 TEU), Port Klang, Xiamen, Tanjung Pelepas., New York/New Jersey, Kaohsiung, Laem Chabang, Amburgo. Nel 1990 Rotterdam era prima, Anversa sesta.

Nell’elenco- grafico che indica “The top 10 busiest container ports by year (2004–2022)”, parte della “List of busiest container ports” di Wikipedia, l’unico porto non orientale è Los Angeles/Long beach: v. https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_busiest_container_ports#/media/File:Busiest_container_ports_top_10.png

[iii] Da oggi al 2050: tra sfide e opportunità per l’industria marittima – Stato dell’arte e considerazioni del Comitato italiano del RINA per la decarbonizzazione dell’industria marittima con la partecipazione di Assarmatori e Confitarma, 17 ottobre 2023https://www.rina.org/it/media/publications/2023/10/17/challenges-opportunities-maritime-industry.

[iv] ai suoi principi primari, agli interessi degli stati europei e ai poteri dell’Unione Europea, nella quale la legislazione fiscale dovrebbe essere legata agli interessi europei ed essere adottata all’unanimità dagli Stati membri.

Come questa stessa rammenta in suo sito (https://eur-lex.europa.eu/IT/legal-content/glossary /eu-tax-policy.html), infatti, mentre

L’Unione europea non detiene il potere di imporre o riscuotere le tasse, poiché tale potere è di competenza degli Stati membri dell’Unione. L’obiettivo principale della politica fiscale dell’Unione europea è il buon funzionamento del suo mercato unico, vale a dire garantire che l’attività economica transfrontaliera non sia ostacolata da barriere fiscali e che siano evitate distorsioni della concorrenza. Essa mira a garantire che i cittadini e le imprese non riscontrino difficoltà nella doppia imposizione, nella distorsione della concorrenza o nella richiesta di rimborsi fiscali e di informazioni sulle norme fiscali in relazione ad altri Stati membri.

[v] Paolo Borghi, L’organizzazione mondiale del commercio (WTO), gli accordi istitutivi, i principi fondamentali, 2011, www.unife.it/giurisprudenza/giurisprudenza/studiare/politiche-economiche/materiale-didattico

[vi] Chiara Maria Mauro, Un secolo di ricerca scientifica sui porti antichi del Mediterraneo: origini, sviluppi e prospettive, 2020.

[vii] Che “non è una creazione, è una costruzione”, come la stessa terra, secondo quanto rammenta Luigi Einaudi, Lezioni di politica sociale, Einaudi, 1949, pag.11, citando Carlo Cattaneo.

[viii] F. D’Aniello, voce Porti in Nss. Dig. It., XIII, 1966, pag. 292, e Tribunale di Cagliari, 8 novembre 1988, così citati anche da A. M. Citrigno, Autorità Portuale, Giuffré, 2003, pag. 3, n. 1

[ix] V. Relazione al codice n. 89, ove chiarisce il concetto di trasporto, anche in Carbone S.M., Il diritto marittimo, At-traverso i casi e le clausole contrattuali, Torino, 2002, p. 19.

[x] Marco Lopez de Gonzalo, Nave, voce in Diritto on line (2012) in http://www.treccani.it/enciclopedia/nave_(Diritto-on-line). V. anche D. Gaeta, Nave (dir. nav.), in Enc. dir., XXVII, Giuffrè, Milano, 1977.  Per  Cass. civ., Sez. I, 15/11/1994 , n. 9589, Min. fin. C. Soc. Cantiere Noè e altri (in Dir. Maritt., 1996, 1008, Berlingieri) “Un bacino galleggiante di carenaggio – ancorché, in ipotesi, dotato dei requisiti della mobilità e dell’attitudine alla navigazione – non può essere considerato “nave” nè assimilato alla “nave”, come definita dall’art. 136 commi 1 e 2 c.nav., ai fini dell’applicazione del coordinato disposto degli art. 68 lett. a) e 8 bis comma 1 lett. a) d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 e successiva modif., nulla rilevando che il comma 3 dell’art. 136 c.nav. estenda ai “galleggianti mobili” le disposizioni riguardanti le navi, “in quanto non sia diversamente disposto” e limitatamente alla normativa specifica che regola il settore della navigazione. L’importazione di un bacino di carenaggio non può ritenersi, pertanto, compresa tra le operazioni che, in forza delle sopra menzionate disposizioni del d.P.R. n. 633 del 1972, non sono soggette ad i.v.a. e che hanno ad oggetto le sole “navi” (in senso proprio e tecnico) destinate all’esercizio di attività commerciali o della pesca o ad operazioni di salvataggio o di assistenza in mare, escluse le unità di cui alla l. 11 febbraio 1971 n. 50”.

[xi] Giorgio Conetti, Sulla nozione di nave nel diritto internazionale pubblico, in http://www.openstarts.units.it/dspace/bitstream/10077/7196/1/Conetti.pdf

[xii] Marco Lopez de Gonzalo, Nave, cit., riferendosi a Cass., 26 maggio 2004, n. 10133, in Foro it., 2005, I, 1874

[xiii] Anche ad essa si può attagliare l’affermazione che “Probabilmente, questo fare attorno a cose, persone ed opere, questo ideare e scegliere in cui si attua almeno in parte l’attività industriale, è in ultima analisi ciò che si suole designare come azienda”. Tito Ravà, Diritto industriale, UTET, Torino, 1973, pag. 7, che poi (a pag. 37)  rammenta come per la dottrina dominante “l’azienda comprende ogni elemento patrimoniale facente capo all’imprenditore per l’esercizio della sua attività specifica: comprende quindi cose e diritti, crediti e debiti”.

Configurano azienda un insieme di “beni strumentali, atti, nel loro complesso e nella loro interdipendenza, all’esercizio d’impresa, si deve ravvisare una cessione di azienda soggetta ad imposta di registro” circa il quale “… non si richiede che l’esercizio dell’im-presa sia attuale, essendo sufficiente l’attitudine potenziale all’utilizzo per un’attività d’impresa, nè è esclusa la cessione d’azienda per il fatto che non risultino cedute anche le relazioni finanziarie, commerciali e personali”. (Rigetta, Comm. Trib. Reg. Torino, 20 Luglio 2000). Cass. civ., Sez. V, 19/11/2007, n. 23857. In caso di cessione dell’azienda, è stato affermato che “pur non richiedendo che l’esercizio dell’impresa sia attuale (bastando la preordinazione dei beni strumentali tra loro interdipendenti ad integrare la potenzialità produttiva dell’azienda, che permane an-corché non risultino cedute le pregresse relazioni finanziarie, commerciali e personali), presuppone il trasferimento non già di uno o più beni considerati nella loro individualità giuridica, ma di un insieme organicamente finalizzato “ex ante” all’esercizio dell’atti-vità di impresa, e non è pertanto configurabile nell’ipotesi in cui il contratto abbia riguardato un complesso immobiliare assembla-to e coordinato “ex post” dall’acquirente con i fattori occorrenti per elevare il compendio così costituito al rango di azienda, che in quanto tale non esisteva prima del trasferimento”. (Rigetta, Comm. Trib. Reg. Latina, 16 Giugno 2005). Cass. civ., Sez. V, 30/01/2007, n. 1913. Ai sensi dell’art. 2555 cod. civ. l’azienda, quale complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa, è compiutamente identificata mediante la specificazione del tipo di attività svolta e dei locali nei quali essa è esercitata, trattandosi di indicazioni idonee a comprendere l’insieme degli elementi organizzati in detti locali e destinati allo svolgimento dell’attività dell’impresa, mentre la analitica individuazione di detti beni rileva al solo scopo di prevenire eventuali contestazioni in ordine alla riconducibilità degli stessi alla azienda; pertanto, deve ritenersi correttamente pronunciata dal giudice di merito, ex art. 1497 cod. civ., la risoluzione del contratto per mancanza delle qualità promesse ed essenziali per l’uso a cui la cosa è destinata, qualora l’azienda, trasferita ai sensi dell’art. 2556 cod. civ., sia risultata priva di un elemento essenziale per l’esercizio dell’attività commerciale dedotta in contratto anche se esso non sia stato menzionato tra i beni aziendali. (Nella specie, è stata pronunciata la risoluzione della cessione di un’azienda alimentare che, essendo sprovvista delle canne fumarie – peraltro non indicate fra i beni aziendali – non era stata in grado di svolgere l’attività di cottura dei cibi alla quale era preordinata per mancanza delle prescritte autorizzazioni amministrative, di cui il cedente aveva dichiarato l’esistenza). (Rigetta, App. Ancona, 28 Maggio 2002). Cass. civ., Sez. II, 15/05/2006, n. 11130

[xiv]quando si parla di navi nel diritto internazionale pubblico … il termine nave è un’espressione sintetica rappresentativa di un complesso di diritti e doveri soggettivi dello Stato di cui la nave stessa  abbia la nazionalità” Giorgio Conetti, Sulla nozione di nave nel diritto internazionale pubblico, ove rammenta la sentenza inglese del 1865 (Lloyd v. Guibert) “ove la nave si considera, ai fini della sua utilizzazione in alto mare, dell’esercizio di competenza civile e penale nei confronti delle persone a bordo e riguardo ai contratti ivi conclusi, come un’isola navigante (a floating Island, termine poi ripreso nel trattato dell’Oppenheim) su cui lo Stato di bandiera pos-siede una sovranità altrettanto assoluta che sul proprio territorio”, e che per il Quadri “la nave altro non sarebbe che la comunità na-vale viaggiante appartenente allo stato allo stesso modo di cui gli appartengono i sudditi, le potestà sulla nave altro non essendo che potestà sugli individui che compongono la collettività a bordo”.

[xv] Giorgio Conetti, Sulla nozione di nave nel diritto internazionale pubblico, cit.

[xvi] Giorgio Conetti, Sulla nozione di nave nel diritto internazionale pubblico, cit.., ove rammenta la sentenza inglese del 1865 (Lloyd v. Guibert) “ove la nave si considera, ai fini della sua utilizzazione in alto mare, dell’esercizio di competenza civile e penale nei confronti delle persone a bordo e riguardo ai contratti ivi conclusi, come un’isola navigante (a floating Island, termine poi ripreso nel trattato dell’Oppenheim) su cui lo Stato di bandiera possiede una sovranità altrettanto assoluta che sul proprio territorio”, e che per il Quadri “la nave altro non sarebbe che la comunità navale viaggiante appartenente allo stato allo stesso modo di cui gli appartengono i sudditi, le potestà sulla nave altro non essendo che potestà sugli individui che compongono la collettività a bordo”.

[xvii] V. Trib. Trieste, 01/02/2011

[xviii] Chiara Luna, nota a Corte di Cassazione, sez. III, 13 febbraio 2013 n. 3554, che conferma il precedente della stessa Corte del 1° giugno 2004 n. 10484, in http://www.ordineavvocatiroma.it

[xix]   Giuseppe Guizzi, Mercato finanziario, voce nell’Enciclopedia del Diritto, Aggiornamento V, Giuffré, Milano, 2001, pag. 746

[xx]Uno sbocco dei commerci, il cui accesso da parte delle navi mercantili deve essere preservato dagli Stati senza discriminazioni, co-me naturale complemento della libertà dei traffici marittimi. … . ‘mercato’ nel quale vengono prestati determinati servizi: quando assumono un rilievo intercomunitario in conformità al test applicativo proprio delle libertà fondamentali, essi risultano così assogget-tati alle norme di cui agli articoli 49 e seguenti TCE ”. S. M. Carbone, P. Celle, M. Lopez de Gonzalo, Il diritto marittimo, IV ed. Giappichelli, Torino, 2011, pag. 133. F.  Munari, Porti e mare tra autonomia e mercato. La trasformazione dei porti da aree demaniali portuali a mercati: amministrazione e gestione delle aree portuali tra sussidiarietà e privatizzazione, in Diritto marittimo, pp. 374-398 (2004), ne rileva la duplice “vocazione” di spazi appartenenti al demanio marittimo e luoghi di esercizio di attività eco-nomiche

[xxi] Chiara Maria Mauro, Un secolo di ricerca scientifica, cit.

[xxii]ne risulta un sistema caratterizzato da una pluralità di fonti relative al diritto marittimo, ovvero un ‘polisistema’ nel quale si iscrivono molteplici ‘microsistemi’. In tale ambito, il codice della navigazione coesiste con le leggi speciali e con le normative di diritto internazionale uniforme, né si può ritenere che queste abbiano, rispetto al codice, una funzione puramente integrativa, in quanto, al contrario, lo svuotano di porzioni assai rilevanti della materia e ne riducono la portata” V. S. M. Carbone, P. Celle, M. Lopez de Gonzalo, Il diritto marittimo, cit., pag. 6.

[xxiii]l’importanza dei porti risulta evidente dai seguenti dati, che troppo spesso vengono dimenticati. L’87,4% del nostro “import extra-europeo” e il 98% del nostro “export extra-europeo” avviene via mare. Il 50% di tutto il nostro commercio estero, nonostante confiniamo con potenze economiche come la Germania, la Francia, per non parlare di Svizzera Austria Slovenia, passa via mare”. Giuseppe Perasso, Consigliere del CNEL, Introduzione ai lavori del convegno Il sistema portuale italiano tra esigenze di riforma e diffi-coltà congiunturali, Roma, 3 febbraio 2009.

[xxiv]La letteratura sul tema è vasta, e concorde nelle conclusioni: gli investimenti nelle infrastrutture hanno un effetto positivo (e significativo) sul potenziale di crescita del PIL; altrettanto vale per gli investimenti delle imprese in innovazione, R & D, tecnologie e capitale umano; la discussione è, sostanzialmente, solo sulla misurazione e sull’entità di questo effetto. 11 Ma oltre all’effetto keynesiano di moltiplicatore per la crescita, gli investimenti sono anche tra i fattori decisivi della produttività dell’intera economia, nazionale ed eu-ropea”. Franco Bassanini e Edoardo Reviglio, “Le istituzioni europee alla prova della crisi: investire per crescere e per competere”, capi-tolo della ricerca di ASTRID, “Le istituzioni europee alla prova della crisi”, a cura di G. Amato e R. Gualtieri,

[xxv] v. Carl Schmitt, Terra e mare. Una riflessione sulla storia del mondo, Adelphi, Milano 2002,  Giancarlo Montedoro, Attualità di Carl Schmitt nella lettura di Giannini e Nigro, in http://www.giustizia-amministrativa.it. C. Galli, Introduzione in E. Jünger – C. Schmitt, Il Nodo di Gordio, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 21, citato anche da Francesco Boco Il concetto originario di Nomos, in http://www.ekpyrosis.it. V. anche Giancarlo Montedoro Nomos e Grundnorm in Europa ed al di là dell’Europa (riflessioni in margine al libro di Sergio Ortino “La struttura delle rivoluzioni economiche”) pubblicato il 28 febbraio 2011, in www.giustizia-amministrativa.it.

[xxvi] Attualmente 2.200 operatori portuali impiegano circa 110000 lavoratori. In totale i porti rappresentano fino a 3 milioni di posti di lavoro (diretti e indiretti) nei 22 Stati membri che dispongono di uno sbocco sul mare e costituiscono una fonte significativa di gettito fiscale per le autorità locali, regionali e nazionali. Il 96% di tutte le merci e il 93% di tutti i passeggeri che transitano per i porti dell’U.E. utilizzano i 319 porti marittimi indicati nella proposta della Commissione sugli orientamenti dell’Unione per lo sviluppo della rete transeuropea di trasporto (TEN-T). Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio, cit

[xxvii] Porto, voce dell’Enciclopedia dell’arte antica Treccani ,1965, PORTO (ἐμπόριον, portus)

[xxviii] Plutarco, Vita di Pompeo, 50.

[xxix]Già nel diritto romano i porti venivano inseriti (insieme a fiumi, rive e spiagge maritti-me) nella categoria delle res publicae, che, come tali, erano dominium del popolo ro-mano, tutelabili per il tramite dell’actio iniuriarium, avente natura penale. Tale impo-stazione è stata mantenuta negli Statuti e negli ordinamenti delle città marinare del Me-diterraneo, sorte a partire dal secolo XI, e, tra le grandi codificazioni nazionali dei seco-li XVIII e XIX, anche il Code Napoléon riservava ai porti natura demaniale. Il nostro ordinamento positivo si è perfettamente adeguato a tale impostazione e sin dal codice civile del 1865 il legislatore ha inserito i porti nell’ambito del demanio dello Stato. Tale scelta è stata confermata anche dal legislatore del 1942 con il codice civile e il codice della navigazione; infatti, l’art. 822, comma 1, cod. civ. annovera i porti tra i beni ap-partenenti allo Stato e facenti parte del demanio pubblico, mentre l’art. 28 lett. a) cod. nav. Ne sancisce la natura di beni rientranti nell’ambito del demanio marittimo”. Greta Tellarini, I porti e le classificazioni, Rivista di diritto dell’Economia, dei Trasporti e dell’Ambiente, 28 giugno 2008, ove v., in particolare, la storia giuridica del porto precedente la l. 84/1994 e l’analisi sulle competenze Statali e Regionali circa il porto, con la notazione che “La dottrina costituzionalista tende, tuttavia, ad interpretare la potestà legislativa concorrente non più secondo i rigidi criteri della separazione, ma secondo i criteri dell’integrazione e della differenziazione, per cui dovrebbe considerarsi legislazione di principio tutta la disciplina statale, anche di dettaglio, relativa ai porti, comune a tutte le regioni, che potrà essere integrata e modificata dal legislatore regionale solo in presenza di un interesse specifico della Regione a differenziare parte della disciplina statale, evitando, comunque, il contrasto con l’unità giuridica ed economica dell’ordinamento. … sarebbe … auspicabile, qualora si volesse sostenere l’esigenza di mantenere l’esclusiva competenza statale nei porti di maggiore rilevanza, un intervento di modifica dell’art. 117 Cost. con legge di rango costituzionale, al fine di evitare discutibili tentativi di superamento del dettato costituzionale tali da sollevare, nella maggior parte dei casi, seri dubbi di costituzionalità ”. Nell’Italia unita fu “il libro II del codice di commercio (r.d 25 giugno 1865,n2360), che rappresentò il primo corpus legislativo in materia di navigazione marittima, nel quale trovò collocazione anche la disciplina dell’ ordinamento Amministrativo portuale. Inizialmente, gli aspetti relativi alle attività commerciali che si svolgevano nei porti, erano disciplinate dal cod. di commercio, mentre gli aspetti amministrativi venivano regolati dal cod. della Marina mercantile del 1877. Fondamentali furono i successivi interventi sull’ordinamento portuale con il tu sui porti (r.d 2 aprile 1885,n 3095), il regolamento per la sanità marittima (r.d 29 settembre 1895,n.636) e molti altri, per cui i provvedimenti in vigore alla data dell’emanazione del codice della navigazione del 1942 erano notevoli. Roberta Egidi, “Evoluzione dell’ ordinamento portuale; prospettive“, in http://www.demaniomarittimo.com

[xxx]Tale scelta è stata confermata anche dal legislatore del 1942 con il codice civile e il co-dice della navigazione; infatti, l’art. 822, comma 1, cod. civ. annovera i porti tra i beni appartenenti allo Stato e facenti parte del demanio pubblico, mentre l’art. 28 lett. a) cod. nav. Ne sancisce la natura di beni rientranti nell’ambito del demanio marittimo”. Greta Tellarini, I porti e le classificazioni, Rivista di diritto dell’Economia, dei Trasporti e dell’Ambiente, 28 giugno 2008.

[xxxi] Cristiana Carcelli, Autorità portuale e modi d’uso dei beni demaniali marittimi, relazione al convegno “Autorità Portuali e Nuova gestione dei Porti”, Livorno, 13-14 marzo 1997, negli Atti, Cedam, Padova, 1998, pag. 76. “Per la loro vasta estensione, per il loro cospicuo valore economico e per le loro molteplici utilizzazioni, i beni pubblici destinati dal legislatore alla navigazione marittima costituiscono la categoria più importante del demanio statale: il demanio marittimo”. D. Gaeta, Il demanio marittimo, Milano, 1965, p. 1.

Circa il nomos come principio fondamentale della suddivisione dello spazio (questo “ordo ordinans ”), la libertà dei mari, la distinzione fra due ordinamenti spaziali, terraferma e mare libero, e quella per la quale “Il nomos della Terra è un’istituzione territoriale capace di interpretare e rappresentare il diritto di ogni popolo all’occupazione e divisione della terra. Soggetto del nomos della Terra è lo Stato, soggetto del nomos del Mare è la società, il potere marittimo, la superiorità economica” v. Carl Schmitt, Terra e mare. Una riflessione sulla storia del mondo, Adelphi, Milano 2002; idem, Il nomos della terra, 1974, nella traduzione italiana Adelphi, Milano, 1991, e la sintesi circa quest’ultimo, dalla quale la citazione, di Giancarlo Montedoro, Attualità di Carl Schmitt nella lettura di Giannini e Nigro, in _lettura.htm. Al riguardo nota che «Il concetto di nomos non ha quindi a che fare con una “natura” (terra e mare non sono determinazioni geografiche, ma storiche; il conflitto politico non esiste come fatto naturale, o zoologico, ma solo umano), con una “legge” scientifica o giuridica o morale, né con una “misura” metafisica o con un radicamento originario, ma indica piuttosto la misura che nasce dalla dismisura, la forma politica orientata non da un’armonia ma da un “taglio” che crea uno spazio politico, e che istituisce una normalità derivandola non da una norma ma da un atto concreto di differenziazione» C. Galli, Introduzione in E. Jünger – C. Schmitt, Il Nodo di Gordio, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 21, citato anche da Francesco Boco Il concetto originario di Nomos, in http://www.ekpyrosis.it

[xxxii] Claudio Angelone, Le concessioni demaniali ad associazioni sportive, in La navigazione da diporto, cit., pag. 49.  “Per vero, alla eccezionalità dell’istituto concessorio, correlato ad una ad una rigida applicazione dell’art. 36 cod. nav., ha fatto seguito, in un primo tempo, una interpretazione c.d. <<evolutiva>> delle stesse norme da parte dell’Amministrazione marittima, … , e, successivamente, una estensione dell’istituto concessorio …”.

[xxxiii] Sabino Cassese, Massimo Severo Giannini, cit., pag. 5, ove nota come questa definizione fu un tentativo di Giannini “di dare sostanza giuridica alla teoria dell’ordinamento giuridico ”.  E’ dall’analisi del fenomeno “ordinamento”, nel contesto internazionale, che lo stesso A., mentre rammenta che altri ritengono che  “istituzioni internazionali, imprese multinazionali, mercati transnazionali, incidono in varia misura sugli affari internazionali; tuttavia essi, lungi dall’agire in un vuoto politico, sono costantemente chiamati a fare i conti con i governi nazionali” (e cita qui Marco Cesa, Le vecchie novità della globalizzazione, in Riv. ital. sc. pol., n. 3, 2002, pagg. 417-418) o che “Oggi viviamo un processo di globalizzazione analogo a quello di un secolo e mezzo fa, ma senza le istituzioni globali in grado di affrontarne le conseguenze. Possediamo un sistema di governance globale, ma siamo privi di un governo globale” (e cita Joseph Stiglitz, In un mondo imperfetto. Mercato e democrazia nell’era della globalizzazione, Roma, Donzelli editore, 2003, pag. 5), espone “La tesi che … si fonda, invece, sulla convinzione che un meccanismo di governo dell’economia globalizzata esiste, anche se esso presenta caratteristiche non riconducibili al modello tradizionale di potere pubblico statale. La “comunità” globale presenta tutti e tre gli elementi degli ordinamenti giuridici: plurisoggettività (principalmente Stati), organizzazione (principalmente organizzazioni internazionali), normazione (per lo più convenzionale o pattizia, ma anche regolamentare). Vi sono, infatti, circa 200 Stati (189 sono quelli membri dell’ONU), circa 2000 organizzazioni internazionali, non meno di 400mila dipendenti di apparati sovrastatali, 50mila trattati internazionali (quelli registrati all’ONU), un numero non calcolato di regolamenti, direttive ed altri atti promananti dalle organizzazione internazionali o transnazionali (la sola Unione europea ne ha prodotti circa 1500 nell’anno 2000).

Questo ordinamento giuridico presenta quattro tratti distintivi. Il primo è che non è retto da un’autorità superiore, ma da forme di coo-perazione ed integrazione tra i soggetti che ne fanno parte. Esso, pur in assenza di un “governo”, presenta i vantaggi di limitare gli effetti esterni negativi dell’azione decentrata; di consentire la circolazione delle informazioni; di permettere di scegliere i sistemi più convenienti; di tenere sotto il controllo di un’opinione pubblica mondiale i regimi politici. Questo sistema mostra, però, anche inconve-nienti: il mutamento delle “regole del gioco”; il rischio di blocco decisionale; il pericolo di defezioni delle minoranze, sul modello della “itio in partem” nei collegi medioevali. A differenza dagli ordinamenti giuridici retti da un’autorità superiore, il sistema mondiale non è uniforme, ma differenziato: presenta aree settoriali o geografiche con alto grado di istituzionalizzazione ed aree dove questa è molto limitata. Il secondo tratto distintivo è che la sua organizzazione non ha un centro. …. Il terzo elemento proprio dell’ordinamento giuri-dico globale è che le istituzioni internazionali sono prive di investitura popolare. … Il quarto elemento caratterizzante riguarda la costi-tuzione di uno spazio giuridico globale, con una grande varietà di statuti e conseguenti possibilità di arbitraggi. Innanzitutto, vi è uno spazio giuridico, nel senso della eliminazione di barriere (specialmente nel campo economico e finanziario). …”. Sabino Cassese, L’ordine giuridico globale, relazione tenuta al Convegno “Dalla cittadinanza amministrativa alla cittadinanza globale” presso l’Università degli studi di Reggio Calabria il 30 ottobre 2003.

[xxxiv]un sistema di principi giuridici piuttosto che di precetti legislativi”. Vittorio  Emanuele Orlando, Principi di diritto amministrativo, Barbera Firenze V ed. 1888, così citato anche in Luigi Ferrajolo, La cultura giuridica nell’Italia del Novecento, Laterza, Roma-Bari, II ed., 1999. pag. 21. Secondo una definizione, una sintesi ormai classica, “l’ordinamento giuridico presenta le seguenti caratteristiche: a) esso, attraverso l’insieme di regole di condotta che vengono poste, crea la propria organizzazione con i suoi centri di potere: crea cioè le autorità alle quali si assoggettano, più o meno liberamente, i subditi legum … b) l’ordinamento compie costantemente, senza mai arrestarsi, una discriminazione fra ciò che lo interesse e ciò che non lo interessa: esso decide sulla rilevanza dei comporti umani, decide cioè quali comportamenti debbano essere regolati dal diritto e quali debbano restare nella sfera della libertà di fatto di ciascun individuo. Per questo si parla della relatività del diritto … c) l’ordinamento giuridico, ancora, è capace di completarsi da sé: ciò vuol dire che l’ordinamento stesso rifugge dalle lacune, mediante il ricorso a procedimenti di analogia …d) esso infine predispone gli opportuni mezzi per disciplinare le reazioni, che la comunità esprimerebbe altrimenti in modo non controllato, contro i violatori delle norme giuridiche; …. gli ordinamenti giuridici sono di numero indefinito, in quanto molteplici sono i fini e gli interessi capaci di raggruppare gli uomini”.

Tale che “non è una somma di vari parti, siano o non siano queste delle semplici norme, ma un’unità a sé – e un’unità, si noti bene, non artificiale o ottenuta con un procedimento di astrazione, ma concreta ed effettiva – …  qualcosa di diverso dai singoli elementi che lo compongono”. Santi Romano, L’ordinamento giuridico, cit., pag. 12. V. anche Santi Romano, Frammenti di un dizionario giuridico, e Lo Stato moderno e la sua crisi, 1909, ora nella raccolta di ugual titolo, Giuffrè, Milano, 1969.  V. anche Norberto Bobbio, Teoria dell’ordinamento giuridico, Torino, 1960 e Giappichelli, 1993; A. Massera, Santi Romano tra “Diritto Pubblico” e “Ordinamento Pubblico” in Quaderni Fiorentini, 18, 1989, 617 e ss.. Amedeo G. Conte, Filosofia dell’ordinamento normativo. Torino, Giappichelli, 1997; Antonio Leo Tarasco, La consuetudine nell’ordinamento amministrativo –  contributo allo studio delle fonti non scritte , op. loc. cit

[xxxv] A partire dalla Lex Rhodia, che mirava a limitare, se non impedire,la organizzazione di naufragi e l’impadronirsi di relitti, e dalle regole da secoli poste circa i diritti e le remunerazioni dei marinai. V. La Lex Rhodia: una legge della dogana di Rodi. in: Congresso Società Italiana Storia del Diritto“Mediterraneo. Un mare di diritti, 26/27 novembre 2021. V. anche la Tabula De’ Amalpha

[xxxvi] Si potrebbe rammentare che la rivoluzione e l’indipendenza americana sono iniziate con la rivolta dei contrabbandieri, con lo slogan “no taxation without representation”(niente tasse senza rappresentanti in parlamento), il Tea party e, per contro, le “leggi intollerabili” del governo inglese, che determinavano in particolare la chiusura del porto di Boston.

[xxxvii] Elemento base delle comunità avanzate, tale che “nessun governo è legittimo se non mostra uguale considerazione per la sorte di tutti quei cittadini sui quali pretende di esercitare la sovranità e dei quali pretende fedeltà”. R. Dworkin, Virtù sovrana. Teoria dell’uguaglianza, Harvard University Press, Cambridge – London 2000, nella traduzione italiana, Feltrinelli, Milano 2002. V. Gianfranco Zanetti, Eguaglianza, in Le basi filosofiche del costituzionalismo, a cura di Augusto Barbera, cit., pag. 43 ss., ove, a pag. 65, dopo aver citato Dworkin, conclude: “Trattare le persone come eguali significa far sì che a ognuno sia permesso di usare, per i suoi progetti di vita, non più di una quota eguale delle risorse accessibili a tutti; non significa una eguaglianza <<di risultato>>, cioè uguale ricchezza – o eguale povertà – per ognuno. Eguaglianza tra i cittadini-individui significa inoltre, nel pluralismo etico delle moderne socieà multiculturali, riconoscimento e tutela dei gruppi minotari dei quali va rispettaa la specifica <<differenza>>. L’odierna riflessione liberale sull’eguaglianza è, insomma, sempre anche una riflessione sui limiti dell’eguaglianza”.

[xxxviii] V., ad es., Breve storia dei Caravana del Porto di Genova, in http://www.circololuigirum.genova.it/ Caravana_Roselli.htm. La Compagnia dei Caravana, nata almeno nel medioevo, e regolata in statuto quantomeno dal giugno 1340, aveva norme tali che “ … ci appare a primo tratto qualcosa di simile ad una moderna cooperativa di lavoro.”

[xxxix] Marta Moretti, Porti, trasporti e cultura del mare nelle città d’Italia, per i 150 anni dall’Unità. Porti_trasporti_e_cultura_del_mare_nelle_citta_dI.pdf

[xl] Così in “Mediterraneo prossimo venturo: il riavvio dei processi di ricomposizione dopo la crisi globale”, testo realizzato dal Censis in collaborazione con Federazione del mare, in occasione della giornata europea del mare, www.federazionedelmare.it. V. Sergio Marini, Presidente della Camera di Commercio Italo-araba, intervento alle Giornate del Consiglio di Cooperazione del Golfo in Italia, 20 ottobre 2009, e seminario circa le relazioni economiche e commerciali tra l’Arabia Saudita e l’Italia, 12 ottobre 2011. E’ “appena il caso di ricordare che buona parte della moderna storiografia concorda sul fatto che, per secoli, l’area del Mediterraneo ha detenuto il primato dello sviluppo economico e ha fornito l’ambiente adatto alla nascita dell’homo oeconomicus, inteso sì come soggetto razionale che persegue il proprio vantaggio, ma in un contesto teologico-morale, le cui dimensioni antropologico di riferimento rinvia alla nozione ben più ampia di homo agens”. F. Felice, Quale futuro per il capitalismo: la prospettiva dell’economia sociale di mercato, in Capitalismo prossimo venturo, pag. 147.

[xli] S. M. Carbone, P. Celle, M. Lopez de Gonzalo, Il diritto marittimo, cit.; Berlingieri F., Note sulla legge 28 gennaio 1994, n. 84 su riordino della legislazione in materia portuale, in Dir. mar., 1994, p. 238 ss.; Carbone S.M., Il diritto marittimo, Attraverso i casi e le clausole contrattuali, p. 129 ss.; Carbone S.M., Munari F., La legge italiana di riforma dei porti ed il diritto comunitario, in Foro it., 1994, IV, p. 367 ss.; Carbone S.M., Munari F., La disciplina dei porti tra diritto comunitario e diritto interno,; Grigoli M., Pubblico e privato nella nuova realtà portuale, in Dir. mar., 1998, p. 228 ss.; Casanova M., Note sulla legge n. 84 del 1994 di riordino della legislazione in materia portuale , in Econ. Dir. terz., 2000, p. 311 ss; Xerri Salamone A., L’ordinamento giuridico dei porti italiani.; Longobardi R., I porti marittimi, Torino, 1997.

[xlii] CDP Think thank, I porti italiani possono ancora essere strategici?  Cit., pur se “nonostante la presenza di un numero elevato di porti, si assiste a una forte concentrazione del mercato” Cassa depositi e prestiti, Il sistema portuale e logistico italiano nel contesto competitivo euro-mediterraneo: potenzialità e presupposti per il rilancio,  rapporto nel quale vi erano Le informazioni sono aggiornate ai dati disponibili al 30 04 2012, in  http://www.cassaddpp.it/static/upload/por/porti_e_logistica.pdf, pag. 10, 15, 23, 29.

[xliii] CDP Think thank, I porti italiani possono ancora essere strategici?  Cit.

[xliv] Un paese con un’elevata vocazione al commercio estero, con una produzione diffusa sul territorio forse non patisce la frantumazione dell’offerta, ma al contrario se ne giova”. ISFORT, Osservatorio nazionale sul trasporto merci e la logistica, rapporto su Il futuro dei porti e del lavoro portuale, 15 luglio 2011, in http://www.isfort.it/sito, pag. 28,nota che “Mentre non abbiamo nessun grande armatore italiano nel settore container, noi siamo leader europei nel settore “Traghetti” e nel settore “Ro-Ro”-

[xlv] http://www.simone.it/catalogo/v218.pdf..

[xlvi] https://planbleu.org/wp-content/uploads/2021/12/MARITIME_TRANSPORT.pdf.

[xlvii] ttps://www.assoporti.it/media/12508/adsp_movimenti_portuali_annuale_2022.pdf

 

 

[l] Marta Moretti, Porti, trasporti e cultura del mare nelle città d’Italia, cit.

[li] CDP Think thank, I porti italiani possono ancora essere strategici?  19 ottobre 2020, www.cdp.it/resources/cms/ documents/Sistema%20portuale%20italiano.pdf

[lii] Così come, peraltro, senza navi e flotte Può notarsi che nella costituzione tedesca è prevista la flotta mercantile (nel testo riportato dalla traduzione in francese nel sito del governo tedesco): Article 27 [Flotte de commerce] L’ensemble des navires marchands allemands forme une flotte de commerce unique. Probabilmente ricordo della richiesta di cessione della flotta mercantile subita dopo la prima guerra mondiale. V. John Maynard Keynes, Le conseguenze economiche della pace, The economic consequences of peace, 1919, ora in “Le mie prime convinzioni”, traduzione sull’edizione del 1951, Adelphi, Milano, 2012, pag. 88: «alla flotta tedesca si era addirittura impedito di andare a pescare un pò di aringhe»; v. anche John Maynard Keynes, Per una revisione del Trattato (A revision of the Treaty, 1922).

[liii] The European Union simply cannot function without its seaports. 90 % of Europe’s cargo trade in goods passes through the more than 1200 seaports existing in the 22 maritime Member States of the EU and more than 400 million passengers pass through Europe’s ports every year using ferry and cruise services. Without seaports, the European Union would not exist as an economic world power. Without seaports, there would be no internal market”. Così il sito di ESPO -European Sea Ports Organisation, HTTP://WWW.ESPO.BE/

[liv] V. il General Agreement on Tariffs and Trade, ed il primario principio in esso posto, per il quale “1. Tutti i vantaggi, favori, privi-legi o immunità, concessi da una Parte contraente a un prodotto originario da ogni altro Paese, o a esso destinato, saranno estesi, immediatamente e senza condizioni, a tutti i prodotti congeneri, originari del territorio di ogni altra Parte contraente, o a esso de-stinati. […]”, e v. anche il General Agreement On Trade In Services, in http://www.wto.org

[lv] V.  Camera dei deputati XVI LEGISLATURA Documentazione per l’esame di rogetti di legge Riforma della legislazione in materia portuale – A.C. 5453 – Schede di lettura n. 6908 ottobre 2012: “Il 18 ottobre 2007 la Commissione ha adottato una comunicazione sulla politica portuale europea (COM(2007)616) volta ad individuare le misure necessarie per promuovere un sistema portuale efficiente a livello UE.

La comunicazione traccia un quadro della situazione del sistema portuale UE caratterizzato dall’esistenza di circa 1.200 porti commerciali, sottolineandone, in particolare, il grande contributo ai fini della coesione territoriale, dello sviluppo regionale e della creazione di posti di lavoro. Sebbene i maggiori porti europei possano essere considerati in linea di massima efficienti sotto il profilo economico e dei servizi offerti, continuano a registrarsi strozzature in numerosi porti dovute principalmente al divario tra le capacità di stoccaggio e quelle di carico e scarico, all’insoddisfacente gestione dei terminal, all’inefficienza degli itinerari e degli accessi marittimi, ai lunghi tempi di attesa, alle cattive condizioni di lavoro, alle formalità amministrative lunghe ed onerose.

In particolare i porti si trovano ad affrontare una serie di sfide: la crescita della domanda di trasporto internazionale; la necessità di una gestione dei porti più rispettosa dell’ambiente; il ricorso sempre più frequente alle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni con la conseguente necessità di una più adeguata formazione del personale; la diversificazione modale a vantaggio della ferrovia, delle vie navigabili interne e del trasporto marittimo che richiede una gestione più oculata delle capacità portuali esistenti; la necessità di stabilire un dialogo con le parti in causa e le amministrazioni locali; l’esigenza di conciliare lo sviluppo e la gestione dei porti con la normativa UE, in particolare per quanto riguarda le regole in materia di trasparenza e di concorrenza.  

Dopo aver sottolineato l’importanza di collegamenti affidabili e sostenibili con l’entroterra per lo sviluppo dei porti, la comunicazione individua una serie di opzioni per fare fronte all’aumento della domanda di capacità portuali:

§       lo sfruttamento ottimale delle capacità portuali esistenti e, solo in seconda istanza, la costruzione di nuove capacità;

§       una migliore applicazione della direttiva 2000/59/CE relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico al fine di ridurre lo scarico di rifiuti in mare;

§       la gestione sana delle acque e dei sedimenti mediante la partecipazione dei porti alle consultazioni sulle questioni connesse alla gestione dei bacini idrografici;

§       la riduzione delle emissioni inquinanti delle navi e degli altri mezzi di trasporto in provenienza o a destinazione dei porti;

§       il miglioramento dell’interfaccia tra le navi e la terraferma grazie all’applicazione di sistemi di identificazione automatica delle navi e di scambi di dati sulla sicurezza marittima basati sul ricorso alle nuove tecnologie;

§       la semplificazione delle procedure amministrative e doganali mediante il ricorso alle operazioni on-line e la creazione di uno sportello unico per il trattamento dei dati;

§       il miglioramento dell’efficienza dei porti e l’elaborazione di indicatori di prestazione validi per tutte le modalità di trasporto;

§       la definizione a livello locale delle modalità per la gestione dei porti, evitando un’armonizzazione delle pratiche a livello UE e garantendo un adeguato grado di autonomia alle autorità portuali, anche sotto il profilo finanziario;

§       l’adozione di orientamenti in materia di aiuti di Stato a favore dei porti per stabilire un quadro giuridico per il finanziamento pubblico;

§       la diffusione delle migliori prassi sulla trasparenza degli oneri portuali, incentivando il ricorso a tali oneri anche per favorire l’uso di navi meno inquinanti;

§       la trattazione dei problemi in materia di concorrenza con i porti dei paesi terzi nell’ambito delle relazioni esterne dell’UE, incoraggiando la cooperazione con i paesi vicini al fine di stabilire regole di concorrenza più armoniose;

§       l’avvio di un dialogo strutturato tra i porti e le città per consentire una maggiore integrazione tra queste due dimensioni;

§       l’istituzione di un comitato europeo di dialogo settoriale per il settore portuale anche al fine di favorire la partecipazione delle parti sociali all’ammodernamento ed alla creazione di posti di lavoro più numerosi e di migliore qualità;

§       l’elaborazione di un quadro per il reciproco riconoscimento della formazione dei lavoratori portuali per favorirne la mobilità sull’intero territorio dell’UE;

§       un controllo rigoroso dell’applicazione nei porti delle regole comunitarie in materia

[lvi]Le attività economiche che interessano il settore portuale si collocano nella fase di congiunzione fra due modalità di trasporto di merci, quello marittimo e quello terrestre (su strada o ferrovia). Esse costituiscono quindi una sorta di “anello di congiunzione”. Il ruolo intermedio delle attività portuali e la conseguente impossibilità di identificare un unico mercato di “sbocco” del settore costituiscono la principale peculiarità rispetto ad altri settori dell’economia”. Autorità Garante della concorrenza e del mercato, “Indagine conoscitiva nel settore dei servizi portuali”, pag.11, ove nota che “Una particolare eccezione può essere costituita dai servizi portuali per le navi c.d. feeder, che trasportano merci provenienti o destinate a navi più grandi: in questo caso le attività portuali collegano due modalità di trasporto identiche (via mare)”.

Sergio Bologna, in Aspetti evolutivi della portualità italiana, negli atti del seminario CNEL “Il sistema portuale italiano tra esigenze di riforma e difficoltà congiunturali”, Roma, 3 febbraio 2009, afferma che “Sarebbe auspicabile che analogo ripensamento si facesse largo anche tra coloro che si interessano di economia dello shipping e portualità (maritime economy) e si cominciasse a guardare un po’ meno verso il mare, scrutando l’orizzonte per vedere quanto è grande la nave che si avvicina, e un po’ di più verso terra, cercando di capire cosa è cambiato nell’assetto economico del territorio che si usa chiamare Hinterland e come si comporta il cittadino/consumatore”.

[lvii]va fatto uno sforzo in più) sull’integrazione verticale, ovvero si impone una più forte integrazione tra il sistema dei porti (i.e. water-front) e il sistema dei retroporti, che sono attivi in alcune aree”. Ennio Cascetta, già Assessore ai Trasporti – Regione Campania, Il ruolo dello stato, delle regioni e delle autorità portuali per una governance ottimale degli scali italiani, nel convegno Il sistema portuale italiano tra esigenze di riforma e difficoltà congiunturali, cit.. In questo stesso convegno, però, Annamaria Furlan, Segretario Confederale della Cisl, ha notato che “I centri cosiddetti “intermodali” raccolgono e manipolano le merci usando le telecomunicazioni, spesso a grande distanza dai porti, per servire contemporaneamente porti e territori e ottenere così maggiori economie di scala. Non si può non tenere conto che è nella prossimità dei grandi centri di consumo e di produzione che si vanno a collocare le grandi strutture interportuali de-stinate a smistare le merci e a lavorarle. Si sta acquisendo sempre più consapevolezza che la priorità di effettuare operazioni di lavorazione finale delle merci è sempre meno prevalente, in quanto dall’Estremo Oriente arrivano sempre più frequentemente prodotti finiti destinati direttamente ai mercati finali di consumo. La Spagna, ad esempio, con un ragionamento di sistema strategico e di respiro europeo, supportata dalla Francia, vuole avere il consenso della Unione Europea per costruire un asse ferroviario dedicato che colleghi il centro intermodale di Duisburg con i porti di Valencia, Tarragona e Barcellona. Non si costruisce, quindi, una nuova infrastruttura terminale che deve poi ripagare i suoi costi di costruzione e di avviamento, ma si utilizza uno snodo già esistente per potenziarne la recettività puntando sui benefici effetti delle economie di scala”. Può essere utile rammentare che Duisburg, centro di rilievo nel settore del commercio, della produzione siderurgica e della logistica, è sito alla confluenza dei due grandi fiumi tedeschi, Reno e Rhur, e che in esso vi è Duisport, il più importante porto fluviale d’Europa.

[lviii] M. Libertini e S. Cadeddu, ne La prima attuazione della riforma costituzionale, in Urbanistica e appalti, 2003, 11, 1245 ss.

[lix] Art. 16. Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche.

[lx] Valerio Onida, Le Costituzioni. I principi fondamentali della Costituzione italiana, nel Manuale di diritto pubblico a cura di Giuliano Amato e Augusto Barbera, il Mulino, Bologna, vol. 1, Va ed., 1997, pag. 77 e ss., pag 85 ss. E pag. 105.

[lxi]La persona umana è vista cioè come centro dell’organizzazione sociale e politica, titolare di diritti anteriori allo Stato”. … “Il principio personalista comporta però che vi sia un limite invalicabile agli interventi dei pubblici poteri nella sfera dell’individuo, sia pure per il conseguimento di fini di pubblico interesse e di obiettivi voluti dalla collettività”. Valerio Onida, op. loc. cit., pag. 89. pag. 100

[lxii] Gustavo Zagrebelski, Fondata sul lavoro – la solitudine dell’art. 1, Einaudi, Torino, 2013, pag. 43; l’A. lamenta il rovesciamento del diritto “sotto gli occhi di tutti, come prevalenza dell’effettività sulla legittimità. Innanzitutto, il mondo del lavoro è in fase di decostruzione. I due principii-guida delle relazioni industriali, l’unitarietà e la generalità, sono insidiate dalla frammentarietà e dalla specialità” (pag. 45 e ss.).

[lxiii]Per effetto dell’art. 35, 1° comma, il lavoro, in tutte le sue forme, si consolida con la stessa ampia rilevanza con la quale si annuncia quale fondamento della Repubblica nella parte prima”. Giuseppe Di Gaspare Il lavoro quale fondamento della Repubblica, 2008, https://iris.luiss.it/retrieve/handle/11385/4102/197/1%20-%20Di%20Gaspare%20_Lavoro.pdfcit., pag.14.

[lxiv] Giuseppe Di Gaspare, Il lavoro quale fondamento della Repubblica, cit..

[lxv]   V. Franco Bassanini Edoardo Reviglio The Financing of EU Strategic Infrastructure, St. Petersburg International Economic Forum St. Petersburg, June 20-22, 2013 The Logistics Impact: Port, Rail, And Road Development To Spur Growth

[lxvi] che, a sua volta, è “il modo più immediato, … alla portata di tutti, attraverso il quale i cittadini possono rendersi autonomamente attivi, esercitando senza intermediazioni di sorta o senza passive aspettative del posto, il loro diritto/dovere costituzionale al lavoro”. Giuseppe Di Gaspare Il lavoro quale fondamento della Repubblica, cit., pag.16.

[lxvii] nel quale “tra i diversi ruoli esercitati dallo Stato nell’ambito economico, particolare rilievo ha rivestito quello di imprenditore. L’art. 41 della Costituzione disegna un sistema ad economia mista” Anna Maria Citrigno, op. loc cit, pag.38

[lxviii] L’Unione infatti, pur se per anni ha teso troppo spesso a valori finanziari (V. “I difficili rapporti tra disciplina comunitaria e nazionale in tema di contratti pubblici”, di Domenico Galli, in Una nuova pubblica amministrazione: aspetti problematici e prospettive di riforma dell’attività contrattuale, a cura di Claudio Franchini e Federico Tedeschini, Giappichelli ed., Torino, 2009, pag. 8 e ss.) e da più parte della dottrina, ed anche da alcune istituzioni europee, è stata interpretata in base a presupposti e teorie più che discutibili, anche circa la loro stessa giuridicità (quali quelli che hanno spinto a porre le norme del TFEU circa la finalità della stabilità dei prezzi), si è avvicinata ai principi dell’ordinamento nazionale quantomeno già prima della Carta dei diritti fondamentali di Nizza e poi con l’entrata in vigore, il 1° dicembre 2009,  del Trattato di Lisbona, per alcuni “un vero e proprio spartiacque, una vera e propria rivoluzione copernicana che modifica con la gerarchia delle fonti l’intero quadro degli strumenti di tutela dei diritti fondamentali della persona umana, primi tra tutti quelli sociali, che costituiscono l’essenza di un diritto comunitario del lavoro che supera l’ambito solo economico/patrimoniale”. Ezio Bonanni, Trattato di Lisbona nuove fonti normative e tutele nel diritto del lavoro, in Diritto dei Lavori, anno IV, n. 2, maggio 2010

[lxix] Articolo 170 (ex articolo 154 del TCE)

1. Per contribuire al raggiungimento degli obiettivi di cui agli articoli 26 e 174 e per consentire ai cittadini dell’Unione, agli operatori economici e alle collettività regionali e locali di beneficiare pienamente dei vantaggi derivanti dall’instaurazione di uno spazio senza frontiere interne, l’Unione concorre alla costituzione e allo sviluppo di reti transeuropee nei settori delle infrastrutture dei trasporti, delle telecomunicazioni e dell’energia.

2. Nel quadro di un sistema di mercati aperti e concorrenziali, l’azione dell’Unione mira a favorire l’interconnessione e l’interoperabilità delle reti nazionali, nonché l’accesso a tali reti. Essa tiene conto in particolare della necessità di collegare alle regioni centrali dell’Unione le regioni insulari, prive di sbocchi al mare e periferiche.

Articolo 171 (ex articolo 155 del TCE)

1. Per conseguire gli obiettivi di cui all’articolo 170, l’Unione:

– stabilisce un insieme di orientamenti che contemplino gli obiettivi, le priorità e le linee principali delle azioni previste nel settore delle reti transeuropee; in detti orientamenti sono individuati progetti di interesse comune;

– intraprende ogni azione che si riveli necessaria per garantire l’interoperabilità delle reti, in particolare nel campo dell’armonizzazione delle norme tecniche;

– può appoggiare progetti di interesse comune sostenuti dagli Stati membri, individuati nell’ambito degli orientamenti di cui al primo trattino, in particolare mediante studi di fattibilità, garanzie di prestito o abbuoni di interesse;

l’Unione può altresì contribuire al finanziamento negli Stati membri, mediante il Fondo di coesione istituito conformemente all’articolo 177, di progetti specifici nel settore delle infrastrutture dei trasporti.

L’azione dell’Unione tiene conto della potenziale validità economica dei progetti.

2. Gli Stati membri coordinano tra loro, in collegamento con la Commissione, le politiche svolte a livello nazionale che possono avere un impatto rilevante sulla realizzazione degli obiettivi di cui all’articolo 170. La Commissione può prendere, in stretta collaborazione con gli Stati membri, qualsiasi iniziativa utile per favorire detto coordinamento.

3. L’Unione può decidere di cooperare con i Paesi terzi per promuovere progetti di interesse comune e garantire l’interoperabilità delle reti.

Articolo 172 (ex articolo 156 del TCE)

Gli orientamenti e le altre misure di cui all’articolo 171, paragrafo 1, sono adottati dal Parlamento europeo e dal Consiglio, che deliberano secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni.

Gli orientamenti ed i progetti di interesse comune che riguardano il territorio di uno Stato membro esigono l’approvazione dello Stato membro interessato.

[lxx] https://www.rfi.it/it/rete/in-europa/corridoi-ten-t.html

[lxxi] Come noto la rete transeuropea (TEN – trans european network) è un insieme di infrastrutture di trasporto, energia e telecomunicazioni che collegano tutte le regioni dell’Unione europea e i paesi vicini. Lo scopo della TEN è di favorire il mercato interno, la coesione economica e sociale, la sostenibilità ambientale e la competitività dell’UE. Di essa è parte la rete transeuropea dei trasporti (TEN-T) articolata su due livelli: una rete globale, che garantisce la connettività di tutte le regioni dell’UE, e una rete centrale, che è composta da quelle parti della rete globale che sono della massima importanza strategica per l’UE, i 9 corridoi terrestri prioritari definiti nel 2013 dai regolamenti EU 1315/2013 e 1316/2013 (TEN-T Core Network Corridors), che dovrebbe essere completata entro il 2030, mentre la rete globale entro il 2050.

La rete centrale collegherà:

1.             94 grandi porti europei con linee ferroviarie e stradali,

2.             38 grandi aeroporti con linee ferroviarie che portano alle città principali,

3.             15 000 km di linee ferroviarie convertite ad alta velocità,

4.             35 progetti transfrontalieri destinati a ridurre le strozzature.

[lxxii] Circa il Ponte, in Centro Sud 24 v. Rosella Cerra, Ponte sullo stretto entra in campo la Cina, 21 Aprile 2023; Ugo Mastelloni, Ponte sullo stretto, opera mastodontica da approfondire: un banco di prova importante, 16 Agosto 2023; idem, Ponte sullo stretto, Prof. Siviero: “Ponte opera necessaria, dalla sua costruzione innumerevoli vantaggi”, 21 Agosto 2023.

[lxxiii] https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2023/12/18/trans-european-transport-network-ten-t-council-and-parliament-strike-a-deal-to-ensure-sustainable-connectivity-in-europe/

[1] Nicola Porro. Le tasse invisibili. L’inganno di stato che toglie a tutti per dare a pochi. La nave di Teseo, 2019.

[1] Secondo “Container Management”, nel 2020 i primi 20 porti nel mondo sono stati Shanghai (42.500.000 TEU), Singapore, Ningbo, Zhoushan, Shenzhen, Qing dao, Guangzhou, Busan, Tianjin, Los Angeles/Long Beach, Hong Kong, Rotterdam (12°, 14.010.000 TEU), Dubai, Anversa (14°, 12.000.000 TEU), Port Klang, Xiamen, Tanjung Pelepas., New York/New Jersey, Kaohsiung, Laem Chabang, Amburgo. Nel 1990 Rotterdam era prima, Anversa sesta.

Nell’elenco- grafico che indica “The top 10 busiest container ports by year (2004–2022)”, parte della “List of busiest container ports” di Wikipedia, l’unico porto non orientale è Los Angeles/Long beach: v. https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_busiest_container_ports#/media/File:Busiest_container_ports_top_10.png

[1] Da oggi al 2050: tra sfide e opportunità per l’industria marittima – Stato dell’arte e considerazioni del Comitato italiano del RINA per la decarbonizzazione dell’industria marittima con la partecipazione di Assarmatori e Confitarma, 17 ottobre 2023https://www.rina.org/it/media/publications/2023/10/17/challenges-opportunities-maritime-industry.

[1] ai suoi principi primari, agli interessi degli stati europei e ai poteri dell’Unione Europea, nella quale la legislazione fiscale dovrebbe essere legata agli interessi europei ed essere adottata all’unanimità dagli Stati membri.

Come questa stessa rammenta in suo sito (https://eur-lex.europa.eu/IT/legal-content/glossary /eu-tax-policy.html), infatti, mentre

L’Unione europea non detiene il potere di imporre o riscuotere le tasse, poiché tale potere è di competenza degli Stati membri dell’Unione. L’obiettivo principale della politica fiscale dell’Unione europea è il buon funzionamento del suo mercato unico, vale a dire garantire che l’attività economica transfrontaliera non sia ostacolata da barriere fiscali e che siano evitate distorsioni della concorrenza. Essa mira a garantire che i cittadini e le imprese non riscontrino difficoltà nella doppia imposizione, nella distorsione della concorrenza o nella richiesta di rimborsi fiscali e di informazioni sulle norme fiscali in relazione ad altri Stati membri.

[1] Paolo Borghi, L’organizzazione mondiale del commercio (WTO), gli accordi istitutivi, i principi fondamentali, 2011, www.unife.it/giurisprudenza/giurisprudenza/studiare/politiche-economiche/materiale-didattico

[1] Chiara Maria Mauro, Un secolo di ricerca scientifica sui porti antichi del Mediterraneo: origini, sviluppi e prospettive, 2020.

[1] Che “non è una creazione, è una costruzione”, come la stessa terra, secondo quanto rammenta Luigi Einaudi, Lezioni di politica sociale, Einaudi, 1949, pag.11, citando Carlo Cattaneo.

[1] F. D’Aniello, voce Porti in Nss. Dig. It., XIII, 1966, pag. 292, e Tribunale di Cagliari, 8 novembre 1988, così citati anche da A. M. Citrigno, Autorità Portuale, Giuffré, 2003, pag. 3, n. 1

[1] V. Relazione al codice n. 89, ove chiarisce il concetto di trasporto, anche in Carbone S.M., Il diritto marittimo, At-traverso i casi e le clausole contrattuali, Torino, 2002, p. 19.

[1] Marco Lopez de Gonzalo, Nave, voce in Diritto on line (2012) in http://www.treccani.it/enciclopedia/nave_(Diritto-on-line). V. anche D. Gaeta, Nave (dir. nav.), in Enc. dir., XXVII, Giuffrè, Milano, 1977.  Per  Cass. civ., Sez. I, 15/11/1994 , n. 9589, Min. fin. C. Soc. Cantiere Noè e altri (in Dir. Maritt., 1996, 1008, Berlingieri) “Un bacino galleggiante di carenaggio – ancorché, in ipotesi, dotato dei requisiti della mobilità e dell’attitudine alla navigazione – non può essere considerato “nave” nè assimilato alla “nave”, come definita dall’art. 136 commi 1 e 2 c.nav., ai fini dell’applicazione del coordinato disposto degli art. 68 lett. a) e 8 bis comma 1 lett. a) d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 e successiva modif., nulla rilevando che il comma 3 dell’art. 136 c.nav. estenda ai “galleggianti mobili” le disposizioni riguardanti le navi, “in quanto non sia diversamente disposto” e limitatamente alla normativa specifica che regola il settore della navigazione. L’importazione di un bacino di carenaggio non può ritenersi, pertanto, compresa tra le operazioni che, in forza delle sopra menzionate disposizioni del d.P.R. n. 633 del 1972, non sono soggette ad i.v.a. e che hanno ad oggetto le sole “navi” (in senso proprio e tecnico) destinate all’esercizio di attività commerciali o della pesca o ad operazioni di salvataggio o di assistenza in mare, escluse le unità di cui alla l. 11 febbraio 1971 n. 50”.

[1] Giorgio Conetti, Sulla nozione di nave nel diritto internazionale pubblico, in http://www.openstarts.units.it/dspace/bitstream/10077/7196/1/Conetti.pdf

[1] Marco Lopez de Gonzalo, Nave, cit., riferendosi a Cass., 26 maggio 2004, n. 10133, in Foro it., 2005, I, 1874

[1] Anche ad essa si può attagliare l’affermazione che “Probabilmente, questo fare attorno a cose, persone ed opere, questo ideare e scegliere in cui si attua almeno in parte l’attività industriale, è in ultima analisi ciò che si suole designare come azienda”. Tito Ravà, Diritto industriale, UTET, Torino, 1973, pag. 7, che poi (a pag. 37)  rammenta come per la dottrina dominante “l’azienda comprende ogni elemento patrimoniale facente capo all’imprenditore per l’esercizio della sua attività specifica: comprende quindi cose e diritti, crediti e debiti”.

Configurano azienda un insieme di “beni strumentali, atti, nel loro complesso e nella loro interdipendenza, all’esercizio d’impresa, si deve ravvisare una cessione di azienda soggetta ad imposta di registro” circa il quale “… non si richiede che l’esercizio dell’im-presa sia attuale, essendo sufficiente l’attitudine potenziale all’utilizzo per un’attività d’impresa, nè è esclusa la cessione d’azienda per il fatto che non risultino cedute anche le relazioni finanziarie, commerciali e personali”. (Rigetta, Comm. Trib. Reg. Torino, 20 Luglio 2000). Cass. civ., Sez. V, 19/11/2007, n. 23857. In caso di cessione dell’azienda, è stato affermato che “pur non richiedendo che l’esercizio dell’impresa sia attuale (bastando la preordinazione dei beni strumentali tra loro interdipendenti ad integrare la potenzialità produttiva dell’azienda, che permane an-corché non risultino cedute le pregresse relazioni finanziarie, commerciali e personali), presuppone il trasferimento non già di uno o più beni considerati nella loro individualità giuridica, ma di un insieme organicamente finalizzato “ex ante” all’esercizio dell’atti-vità di impresa, e non è pertanto configurabile nell’ipotesi in cui il contratto abbia riguardato un complesso immobiliare assembla-to e coordinato “ex post” dall’acquirente con i fattori occorrenti per elevare il compendio così costituito al rango di azienda, che in quanto tale non esisteva prima del trasferimento”. (Rigetta, Comm. Trib. Reg. Latina, 16 Giugno 2005). Cass. civ., Sez. V, 30/01/2007, n. 1913. Ai sensi dell’art. 2555 cod. civ. l’azienda, quale complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa, è compiutamente identificata mediante la specificazione del tipo di attività svolta e dei locali nei quali essa è esercitata, trattandosi di indicazioni idonee a comprendere l’insieme degli elementi organizzati in detti locali e destinati allo svolgimento dell’attività dell’impresa, mentre la analitica individuazione di detti beni rileva al solo scopo di prevenire eventuali contestazioni in ordine alla riconducibilità degli stessi alla azienda; pertanto, deve ritenersi correttamente pronunciata dal giudice di merito, ex art. 1497 cod. civ., la risoluzione del contratto per mancanza delle qualità promesse ed essenziali per l’uso a cui la cosa è destinata, qualora l’azienda, trasferita ai sensi dell’art. 2556 cod. civ., sia risultata priva di un elemento essenziale per l’esercizio dell’attività commerciale dedotta in contratto anche se esso non sia stato menzionato tra i beni aziendali. (Nella specie, è stata pronunciata la risoluzione della cessione di un’azienda alimentare che, essendo sprovvista delle canne fumarie – peraltro non indicate fra i beni aziendali – non era stata in grado di svolgere l’attività di cottura dei cibi alla quale era preordinata per mancanza delle prescritte autorizzazioni amministrative, di cui il cedente aveva dichiarato l’esistenza). (Rigetta, App. Ancona, 28 Maggio 2002). Cass. civ., Sez. II, 15/05/2006, n. 11130

[1] “quando si parla di navi nel diritto internazionale pubblico … il termine nave è un’espressione sintetica rappresentativa di un complesso di diritti e doveri soggettivi dello Stato di cui la nave stessa  abbia la nazionalità” Giorgio Conetti, Sulla nozione di nave nel diritto internazionale pubblico, ove rammenta la sentenza inglese del 1865 (Lloyd v. Guibert) “ove la nave si considera, ai fini della sua utilizzazione in alto mare, dell’esercizio di competenza civile e penale nei confronti delle persone a bordo e riguardo ai contratti ivi conclusi, come un’isola navigante (a floating Island, termine poi ripreso nel trattato dell’Oppenheim) su cui lo Stato di bandiera pos-siede una sovranità altrettanto assoluta che sul proprio territorio”, e che per il Quadri “la nave altro non sarebbe che la comunità na-vale viaggiante appartenente allo stato allo stesso modo di cui gli appartengono i sudditi, le potestà sulla nave altro non essendo che potestà sugli individui che compongono la collettività a bordo”.

[1] Giorgio Conetti, Sulla nozione di nave nel diritto internazionale pubblico, cit.

[1] Giorgio Conetti, Sulla nozione di nave nel diritto internazionale pubblico, cit.., ove rammenta la sentenza inglese del 1865 (Lloyd v. Guibert) “ove la nave si considera, ai fini della sua utilizzazione in alto mare, dell’esercizio di competenza civile e penale nei confronti delle persone a bordo e riguardo ai contratti ivi conclusi, come un’isola navigante (a floating Island, termine poi ripreso nel trattato dell’Oppenheim) su cui lo Stato di bandiera possiede una sovranità altrettanto assoluta che sul proprio territorio”, e che per il Quadri “la nave altro non sarebbe che la comunità navale viaggiante appartenente allo stato allo stesso modo di cui gli appartengono i sudditi, le potestà sulla nave altro non essendo che potestà sugli individui che compongono la collettività a bordo”.

[1] V. Trib. Trieste, 01/02/2011

[1] Chiara Luna, nota a Corte di Cassazione, sez. III, 13 febbraio 2013 n. 3554, che conferma il precedente della stessa Corte del 1° giugno 2004 n. 10484, in http://www.ordineavvocatiroma.it

[1]   Giuseppe Guizzi, Mercato finanziario, voce nell’Enciclopedia del Diritto, Aggiornamento V, Giuffré, Milano, 2001, pag. 746

[1] “Uno sbocco dei commerci, il cui accesso da parte delle navi mercantili deve essere preservato dagli Stati senza discriminazioni, co-me naturale complemento della libertà dei traffici marittimi. … . ‘mercato’ nel quale vengono prestati determinati servizi: quando assumono un rilievo intercomunitario in conformità al test applicativo proprio delle libertà fondamentali, essi risultano così assogget-tati alle norme di cui agli articoli 49 e seguenti TCE ”. S. M. Carbone, P. Celle, M. Lopez de Gonzalo, Il diritto marittimo, IV ed. Giappichelli, Torino, 2011, pag. 133. F.  Munari, Porti e mare tra autonomia e mercato. La trasformazione dei porti da aree demaniali portuali a mercati: amministrazione e gestione delle aree portuali tra sussidiarietà e privatizzazione, in Diritto marittimo, pp. 374-398 (2004), ne rileva la duplice “vocazione” di spazi appartenenti al demanio marittimo e luoghi di esercizio di attività eco-nomiche

[1] Chiara Maria Mauro, Un secolo di ricerca scientifica, cit.

[1] “ne risulta un sistema caratterizzato da una pluralità di fonti relative al diritto marittimo, ovvero un ‘polisistema’ nel quale si iscrivono molteplici ‘microsistemi’. In tale ambito, il codice della navigazione coesiste con le leggi speciali e con le normative di diritto internazionale uniforme, né si può ritenere che queste abbiano, rispetto al codice, una funzione puramente integrativa, in quanto, al contrario, lo svuotano di porzioni assai rilevanti della materia e ne riducono la portata” V. S. M. Carbone, P. Celle, M. Lopez de Gonzalo, Il diritto marittimo, cit., pag. 6.

[1] “l’importanza dei porti risulta evidente dai seguenti dati, che troppo spesso vengono dimenticati. L’87,4% del nostro “import extra-europeo” e il 98% del nostro “export extra-europeo” avviene via mare. Il 50% di tutto il nostro commercio estero, nonostante confiniamo con potenze economiche come la Germania, la Francia, per non parlare di Svizzera Austria Slovenia, passa via mare”. Giuseppe Perasso, Consigliere del CNEL, Introduzione ai lavori del convegno Il sistema portuale italiano tra esigenze di riforma e diffi-coltà congiunturali, Roma, 3 febbraio 2009.

[1] “La letteratura sul tema è vasta, e concorde nelle conclusioni: gli investimenti nelle infrastrutture hanno un effetto positivo (e significativo) sul potenziale di crescita del PIL; altrettanto vale per gli investimenti delle imprese in innovazione, R & D, tecnologie e capitale umano; la discussione è, sostanzialmente, solo sulla misurazione e sull’entità di questo effetto. 11 Ma oltre all’effetto keynesiano di moltiplicatore per la crescita, gli investimenti sono anche tra i fattori decisivi della produttività dell’intera economia, nazionale ed eu-ropea”. Franco Bassanini e Edoardo Reviglio, “Le istituzioni europee alla prova della crisi: investire per crescere e per competere”, capi-tolo della ricerca di ASTRID, “Le istituzioni europee alla prova della crisi”, a cura di G. Amato e R. Gualtieri,

[1] v. Carl Schmitt, Terra e mare. Una riflessione sulla storia del mondo, Adelphi, Milano 2002,  Giancarlo Montedoro, Attualità di Carl Schmitt nella lettura di Giannini e Nigro, in http://www.giustizia-amministrativa.it. C. Galli, Introduzione in E. Jünger – C. Schmitt, Il Nodo di Gordio, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 21, citato anche da Francesco Boco Il concetto originario di Nomos, in http://www.ekpyrosis.it. V. anche Giancarlo Montedoro Nomos e Grundnorm in Europa ed al di là dell’Europa (riflessioni in margine al libro di Sergio Ortino “La struttura delle rivoluzioni economiche”) pubblicato il 28 febbraio 2011, in www.giustizia-amministrativa.it.

[1] Attualmente 2.200 operatori portuali impiegano circa 110000 lavoratori. In totale i porti rappresentano fino a 3 milioni di posti di lavoro (diretti e indiretti) nei 22 Stati membri che dispongono di uno sbocco sul mare e costituiscono una fonte significativa di gettito fiscale per le autorità locali, regionali e nazionali. Il 96% di tutte le merci e il 93% di tutti i passeggeri che transitano per i porti dell’U.E. utilizzano i 319 porti marittimi indicati nella proposta della Commissione sugli orientamenti dell’Unione per lo sviluppo della rete transeuropea di trasporto (TEN-T). Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio, cit

[1] Porto, voce dell’Enciclopedia dell’arte antica Treccani ,1965, PORTO (ἐμπόριον, portus)

[1] Plutarco, Vita di Pompeo, 50.

[1] “Già nel diritto romano i porti venivano inseriti (insieme a fiumi, rive e spiagge maritti-me) nella categoria delle res publicae, che, come tali, erano dominium del popolo ro-mano, tutelabili per il tramite dell’actio iniuriarium, avente natura penale. Tale impo-stazione è stata mantenuta negli Statuti e negli ordinamenti delle città marinare del Me-diterraneo, sorte a partire dal secolo XI, e, tra le grandi codificazioni nazionali dei seco-li XVIII e XIX, anche il Code Napoléon riservava ai porti natura demaniale. Il nostro ordinamento positivo si è perfettamente adeguato a tale impostazione e sin dal codice civile del 1865 il legislatore ha inserito i porti nell’ambito del demanio dello Stato. Tale scelta è stata confermata anche dal legislatore del 1942 con il codice civile e il codice della navigazione; infatti, l’art. 822, comma 1, cod. civ. annovera i porti tra i beni ap-partenenti allo Stato e facenti parte del demanio pubblico, mentre l’art. 28 lett. a) cod. nav. Ne sancisce la natura di beni rientranti nell’ambito del demanio marittimo”. Greta Tellarini, I porti e le classificazioni, Rivista di diritto dell’Economia, dei Trasporti e dell’Ambiente, 28 giugno 2008, ove v., in particolare, la storia giuridica del porto precedente la l. 84/1994 e l’analisi sulle competenze Statali e Regionali circa il porto, con la notazione che “La dottrina costituzionalista tende, tuttavia, ad interpretare la potestà legislativa concorrente non più secondo i rigidi criteri della separazione, ma secondo i criteri dell’integrazione e della differenziazione, per cui dovrebbe considerarsi legislazione di principio tutta la disciplina statale, anche di dettaglio, relativa ai porti, comune a tutte le regioni, che potrà essere integrata e modificata dal legislatore regionale solo in presenza di un interesse specifico della Regione a differenziare parte della disciplina statale, evitando, comunque, il contrasto con l’unità giuridica ed economica dell’ordinamento. … sarebbe … auspicabile, qualora si volesse sostenere l’esigenza di mantenere l’esclusiva competenza statale nei porti di maggiore rilevanza, un intervento di modifica dell’art. 117 Cost. con legge di rango costituzionale, al fine di evitare discutibili tentativi di superamento del dettato costituzionale tali da sollevare, nella maggior parte dei casi, seri dubbi di costituzionalità ”. Nell’Italia unita fu “il libro II del codice di commercio (r.d 25 giugno 1865,n2360), che rappresentò il primo corpus legislativo in materia di navigazione marittima, nel quale trovò collocazione anche la disciplina dell’ ordinamento Amministrativo portuale. Inizialmente, gli aspetti relativi alle attività commerciali che si svolgevano nei porti, erano disciplinate dal cod. di commercio, mentre gli aspetti amministrativi venivano regolati dal cod. della Marina mercantile del 1877. Fondamentali furono i successivi interventi sull’ordinamento portuale con il tu sui porti (r.d 2 aprile 1885,n 3095), il regolamento per la sanità marittima (r.d 29 settembre 1895,n.636) e molti altri, per cui i provvedimenti in vigore alla data dell’emanazione del codice della navigazione del 1942 erano notevoli. Roberta Egidi, “Evoluzione dell’ ordinamento portuale; prospettive“, in http://www.demaniomarittimo.com

[1] “Tale scelta è stata confermata anche dal legislatore del 1942 con il codice civile e il co-dice della navigazione; infatti, l’art. 822, comma 1, cod. civ. annovera i porti tra i beni appartenenti allo Stato e facenti parte del demanio pubblico, mentre l’art. 28 lett. a) cod. nav. Ne sancisce la natura di beni rientranti nell’ambito del demanio marittimo”. Greta Tellarini, I porti e le classificazioni, Rivista di diritto dell’Economia, dei Trasporti e dell’Ambiente, 28 giugno 2008.

[1] Cristiana Carcelli, Autorità portuale e modi d’uso dei beni demaniali marittimi, relazione al convegno “Autorità Portuali e Nuova gestione dei Porti”, Livorno, 13-14 marzo 1997, negli Atti, Cedam, Padova, 1998, pag. 76. “Per la loro vasta estensione, per il loro cospicuo valore economico e per le loro molteplici utilizzazioni, i beni pubblici destinati dal legislatore alla navigazione marittima costituiscono la categoria più importante del demanio statale: il demanio marittimo”. D. Gaeta, Il demanio marittimo, Milano, 1965, p. 1.

Circa il nomos come principio fondamentale della suddivisione dello spazio (questo “ordo ordinans ”), la libertà dei mari, la distinzione fra due ordinamenti spaziali, terraferma e mare libero, e quella per la quale “Il nomos della Terra è un’istituzione territoriale capace di interpretare e rappresentare il diritto di ogni popolo all’occupazione e divisione della terra. Soggetto del nomos della Terra è lo Stato, soggetto del nomos del Mare è la società, il potere marittimo, la superiorità economica” v. Carl Schmitt, Terra e mare. Una riflessione sulla storia del mondo, Adelphi, Milano 2002; idem, Il nomos della terra, 1974, nella traduzione italiana Adelphi, Milano, 1991, e la sintesi circa quest’ultimo, dalla quale la citazione, di Giancarlo Montedoro, Attualità di Carl Schmitt nella lettura di Giannini e Nigro, in _lettura.htm. Al riguardo nota che «Il concetto di nomos non ha quindi a che fare con una “natura” (terra e mare non sono determinazioni geografiche, ma storiche; il conflitto politico non esiste come fatto naturale, o zoologico, ma solo umano), con una “legge” scientifica o giuridica o morale, né con una “misura” metafisica o con un radicamento originario, ma indica piuttosto la misura che nasce dalla dismisura, la forma politica orientata non da un’armonia ma da un “taglio” che crea uno spazio politico, e che istituisce una normalità derivandola non da una norma ma da un atto concreto di differenziazione» C. Galli, Introduzione in E. Jünger – C. Schmitt, Il Nodo di Gordio, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 21, citato anche da Francesco Boco Il concetto originario di Nomos, in http://www.ekpyrosis.it

[1] Claudio Angelone, Le concessioni demaniali ad associazioni sportive, in La navigazione da diporto, cit., pag. 49.  “Per vero, alla eccezionalità dell’istituto concessorio, correlato ad una ad una rigida applicazione dell’art. 36 cod. nav., ha fatto seguito, in un primo tempo, una interpretazione c.d. <<evolutiva>> delle stesse norme da parte dell’Amministrazione marittima, … , e, successivamente, una estensione dell’istituto concessorio …”.

[1] Sabino Cassese, Massimo Severo Giannini, cit., pag. 5, ove nota come questa definizione fu un tentativo di Giannini “di dare sostanza giuridica alla teoria dell’ordinamento giuridico ”.  E’ dall’analisi del fenomeno “ordinamento”, nel contesto internazionale, che lo stesso A., mentre rammenta che altri ritengono che  “istituzioni internazionali, imprese multinazionali, mercati transnazionali, incidono in varia misura sugli affari internazionali; tuttavia essi, lungi dall’agire in un vuoto politico, sono costantemente chiamati a fare i conti con i governi nazionali” (e cita qui Marco Cesa, Le vecchie novità della globalizzazione, in Riv. ital. sc. pol., n. 3, 2002, pagg. 417-418) o che “Oggi viviamo un processo di globalizzazione analogo a quello di un secolo e mezzo fa, ma senza le istituzioni globali in grado di affrontarne le conseguenze. Possediamo un sistema di governance globale, ma siamo privi di un governo globale” (e cita Joseph Stiglitz, In un mondo imperfetto. Mercato e democrazia nell’era della globalizzazione, Roma, Donzelli editore, 2003, pag. 5), espone “La tesi che … si fonda, invece, sulla convinzione che un meccanismo di governo dell’economia globalizzata esiste, anche se esso presenta caratteristiche non riconducibili al modello tradizionale di potere pubblico statale. La “comunità” globale presenta tutti e tre gli elementi degli ordinamenti giuridici: plurisoggettività (principalmente Stati), organizzazione (principalmente organizzazioni internazionali), normazione (per lo più convenzionale o pattizia, ma anche regolamentare). Vi sono, infatti, circa 200 Stati (189 sono quelli membri dell’ONU), circa 2000 organizzazioni internazionali, non meno di 400mila dipendenti di apparati sovrastatali, 50mila trattati internazionali (quelli registrati all’ONU), un numero non calcolato di regolamenti, direttive ed altri atti promananti dalle organizzazione internazionali o transnazionali (la sola Unione europea ne ha prodotti circa 1500 nell’anno 2000).

Questo ordinamento giuridico presenta quattro tratti distintivi. Il primo è che non è retto da un’autorità superiore, ma da forme di coo-perazione ed integrazione tra i soggetti che ne fanno parte. Esso, pur in assenza di un “governo”, presenta i vantaggi di limitare gli effetti esterni negativi dell’azione decentrata; di consentire la circolazione delle informazioni; di permettere di scegliere i sistemi più convenienti; di tenere sotto il controllo di un’opinione pubblica mondiale i regimi politici. Questo sistema mostra, però, anche inconve-nienti: il mutamento delle “regole del gioco”; il rischio di blocco decisionale; il pericolo di defezioni delle minoranze, sul modello della “itio in partem” nei collegi medioevali. A differenza dagli ordinamenti giuridici retti da un’autorità superiore, il sistema mondiale non è uniforme, ma differenziato: presenta aree settoriali o geografiche con alto grado di istituzionalizzazione ed aree dove questa è molto limitata. Il secondo tratto distintivo è che la sua organizzazione non ha un centro. …. Il terzo elemento proprio dell’ordinamento giuri-dico globale è che le istituzioni internazionali sono prive di investitura popolare. … Il quarto elemento caratterizzante riguarda la costi-tuzione di uno spazio giuridico globale, con una grande varietà di statuti e conseguenti possibilità di arbitraggi. Innanzitutto, vi è uno spazio giuridico, nel senso della eliminazione di barriere (specialmente nel campo economico e finanziario). …”. Sabino Cassese, L’ordine giuridico globale, relazione tenuta al Convegno “Dalla cittadinanza amministrativa alla cittadinanza globale” presso l’Università degli studi di Reggio Calabria il 30 ottobre 2003.

[1] “un sistema di principi giuridici piuttosto che di precetti legislativi”. Vittorio  Emanuele Orlando, Principi di diritto amministrativo, Barbera Firenze V ed. 1888, così citato anche in Luigi Ferrajolo, La cultura giuridica nell’Italia del Novecento, Laterza, Roma-Bari, II ed., 1999. pag. 21. Secondo una definizione, una sintesi ormai classica, “l’ordinamento giuridico presenta le seguenti caratteristiche: a) esso, attraverso l’insieme di regole di condotta che vengono poste, crea la propria organizzazione con i suoi centri di potere: crea cioè le autorità alle quali si assoggettano, più o meno liberamente, i subditi legum … b) l’ordinamento compie costantemente, senza mai arrestarsi, una discriminazione fra ciò che lo interesse e ciò che non lo interessa: esso decide sulla rilevanza dei comporti umani, decide cioè quali comportamenti debbano essere regolati dal diritto e quali debbano restare nella sfera della libertà di fatto di ciascun individuo. Per questo si parla della relatività del diritto … c) l’ordinamento giuridico, ancora, è capace di completarsi da sé: ciò vuol dire che l’ordinamento stesso rifugge dalle lacune, mediante il ricorso a procedimenti di analogia …d) esso infine predispone gli opportuni mezzi per disciplinare le reazioni, che la comunità esprimerebbe altrimenti in modo non controllato, contro i violatori delle norme giuridiche; …. gli ordinamenti giuridici sono di numero indefinito, in quanto molteplici sono i fini e gli interessi capaci di raggruppare gli uomini”.

Tale che “non è una somma di vari parti, siano o non siano queste delle semplici norme, ma un’unità a sé – e un’unità, si noti bene, non artificiale o ottenuta con un procedimento di astrazione, ma concreta ed effettiva – …  qualcosa di diverso dai singoli elementi che lo compongono”. Santi Romano, L’ordinamento giuridico, cit., pag. 12. V. anche Santi Romano, Frammenti di un dizionario giuridico, e Lo Stato moderno e la sua crisi, 1909, ora nella raccolta di ugual titolo, Giuffrè, Milano, 1969.  V. anche Norberto Bobbio, Teoria dell’ordinamento giuridico, Torino, 1960 e Giappichelli, 1993; A. Massera, Santi Romano tra “Diritto Pubblico” e “Ordinamento Pubblico” in Quaderni Fiorentini, 18, 1989, 617 e ss.. Amedeo G. Conte, Filosofia dell’ordinamento normativo. Torino, Giappichelli, 1997; Antonio Leo Tarasco, La consuetudine nell’ordinamento amministrativo –  contributo allo studio delle fonti non scritte , op. loc. cit

[1] A partire dalla Lex Rhodia, che mirava a limitare, se non impedire,la organizzazione di naufragi e l’impadronirsi di relitti, e dalle regole da secoli poste circa i diritti e le remunerazioni dei marinai. V. La Lex Rhodia: una legge della dogana di Rodi. in: Congresso Società Italiana Storia del Diritto“Mediterraneo. Un mare di diritti, 26/27 novembre 2021. V. anche la Tabula De’ Amalpha

[1] Si potrebbe rammentare che la rivoluzione e l’indipendenza americana sono iniziate con la rivolta dei contrabbandieri, con lo slogan “no taxation without representation”(niente tasse senza rappresentanti in parlamento), il Tea party e, per contro, le “leggi intollerabili” del governo inglese, che determinavano in particolare la chiusura del porto di Boston.

[1] Elemento base delle comunità avanzate, tale che “nessun governo è legittimo se non mostra uguale considerazione per la sorte di tutti quei cittadini sui quali pretende di esercitare la sovranità e dei quali pretende fedeltà”. R. Dworkin, Virtù sovrana. Teoria dell’uguaglianza, Harvard University Press, Cambridge – London 2000, nella traduzione italiana, Feltrinelli, Milano 2002. V. Gianfranco Zanetti, Eguaglianza, in Le basi filosofiche del costituzionalismo, a cura di Augusto Barbera, cit., pag. 43 ss., ove, a pag. 65, dopo aver citato Dworkin, conclude: “Trattare le persone come eguali significa far sì che a ognuno sia permesso di usare, per i suoi progetti di vita, non più di una quota eguale delle risorse accessibili a tutti; non significa una eguaglianza <<di risultato>>, cioè uguale ricchezza – o eguale povertà – per ognuno. Eguaglianza tra i cittadini-individui significa inoltre, nel pluralismo etico delle moderne socieà multiculturali, riconoscimento e tutela dei gruppi minotari dei quali va rispettaa la specifica <<differenza>>. L’odierna riflessione liberale sull’eguaglianza è, insomma, sempre anche una riflessione sui limiti dell’eguaglianza”.

[1] V., ad es., Breve storia dei Caravana del Porto di Genova, in http://www.circololuigirum.genova.it/ Caravana_Roselli.htm. La Compagnia dei Caravana, nata almeno nel medioevo, e regolata in statuto quantomeno dal giugno 1340, aveva norme tali che “ … ci appare a primo tratto qualcosa di simile ad una moderna cooperativa di lavoro.”

[1] Marta Moretti, Porti, trasporti e cultura del mare nelle città d’Italia, per i 150 anni dall’Unità. Porti_trasporti_e_cultura_del_mare_nelle_citta_dI.pdf

[1] Così in “Mediterraneo prossimo venturo: il riavvio dei processi di ricomposizione dopo la crisi globale”, testo realizzato dal Censis in collaborazione con Federazione del mare, in occasione della giornata europea del mare, www.federazionedelmare.it. V. Sergio Marini, Presidente della Camera di Commercio Italo-araba, intervento alle Giornate del Consiglio di Cooperazione del Golfo in Italia, 20 ottobre 2009, e seminario circa le relazioni economiche e commerciali tra l’Arabia Saudita e l’Italia, 12 ottobre 2011. E’ “appena il caso di ricordare che buona parte della moderna storiografia concorda sul fatto che, per secoli, l’area del Mediterraneo ha detenuto il primato dello sviluppo economico e ha fornito l’ambiente adatto alla nascita dell’homo oeconomicus, inteso sì come soggetto razionale che persegue il proprio vantaggio, ma in un contesto teologico-morale, le cui dimensioni antropologico di riferimento rinvia alla nozione ben più ampia di homo agens”. F. Felice, Quale futuro per il capitalismo: la prospettiva dell’economia sociale di mercato, in Capitalismo prossimo venturo, pag. 147.

[1] S. M. Carbone, P. Celle, M. Lopez de Gonzalo, Il diritto marittimo, cit.; Berlingieri F., Note sulla legge 28 gennaio 1994, n. 84 su riordino della legislazione in materia portuale, in Dir. mar., 1994, p. 238 ss.; Carbone S.M., Il diritto marittimo, Attraverso i casi e le clausole contrattuali, p. 129 ss.; Carbone S.M., Munari F., La legge italiana di riforma dei porti ed il diritto comunitario, in Foro it., 1994, IV, p. 367 ss.; Carbone S.M., Munari F., La disciplina dei porti tra diritto comunitario e diritto interno,; Grigoli M., Pubblico e privato nella nuova realtà portuale, in Dir. mar., 1998, p. 228 ss.; Casanova M., Note sulla legge n. 84 del 1994 di riordino della legislazione in materia portuale , in Econ. Dir. terz., 2000, p. 311 ss; Xerri Salamone A., L’ordinamento giuridico dei porti italiani.; Longobardi R., I porti marittimi, Torino, 1997.

[1] CDP Think thank, I porti italiani possono ancora essere strategici?  Cit., pur se “nonostante la presenza di un numero elevato di porti, si assiste a una forte concentrazione del mercato” Cassa depositi e prestiti, Il sistema portuale e logistico italiano nel contesto competitivo euro-mediterraneo: potenzialità e presupposti per il rilancio,  rapporto nel quale vi erano Le informazioni sono aggiornate ai dati disponibili al 30 04 2012, in  http://www.cassaddpp.it/static/upload/por/porti_e_logistica.pdf, pag. 10, 15, 23, 29.

[1] CDP Think thank, I porti italiani possono ancora essere strategici?  Cit.

[1] Un paese con un’elevata vocazione al commercio estero, con una produzione diffusa sul territorio forse non patisce la frantumazione dell’offerta, ma al contrario se ne giova”. ISFORT, Osservatorio nazionale sul trasporto merci e la logistica, rapporto su Il futuro dei porti e del lavoro portuale, 15 luglio 2011, in http://www.isfort.it/sito, pag. 28,nota che “Mentre non abbiamo nessun grande armatore italiano nel settore container, noi siamo leader europei nel settore “Traghetti” e nel settore “Ro-Ro”-

[1] http://www.simone.it/catalogo/v218.pdf..

[1] https://planbleu.org/wp-content/uploads/2021/12/MARITIME_TRANSPORT.pdf.

[1] ttps://www.assoporti.it/media/12508/adsp_movimenti_portuali_annuale_2022.pdf

[1] Marta Moretti, Porti, trasporti e cultura del mare nelle città d’Italia, cit.

[1] CDP Think thank, I porti italiani possono ancora essere strategici?  19 ottobre 2020, www.cdp.it/resources/cms/ documents/Sistema%20portuale%20italiano.pdf

[1] Così come, peraltro, senza navi e flotte Può notarsi che nella costituzione tedesca è prevista la flotta mercantile (nel testo riportato dalla traduzione in francese nel sito del governo tedesco): Article 27 [Flotte de commerce] L’ensemble des navires marchands allemands forme une flotte de commerce unique. Probabilmente ricordo della richiesta di cessione della flotta mercantile subita dopo la prima guerra mondiale. V. John Maynard Keynes, Le conseguenze economiche della pace, The economic consequences of peace, 1919, ora in “Le mie prime convinzioni”, traduzione sull’edizione del 1951, Adelphi, Milano, 2012, pag. 88: «alla flotta tedesca si era addirittura impedito di andare a pescare un pò di aringhe»; v. anche John Maynard Keynes, Per una revisione del Trattato (A revision of the Treaty, 1922).

[1] The European Union simply cannot function without its seaports. 90 % of Europe’s cargo trade in goods passes through the more than 1200 seaports existing in the 22 maritime Member States of the EU and more than 400 million passengers pass through Europe’s ports every year using ferry and cruise services. Without seaports, the European Union would not exist as an economic world power. Without seaports, there would be no internal market”. Così il sito di ESPO -European Sea Ports Organisation, HTTP://WWW.ESPO.BE/

[1] V. il General Agreement on Tariffs and Trade, ed il primario principio in esso posto, per il quale “1. Tutti i vantaggi, favori, privi-legi o immunità, concessi da una Parte contraente a un prodotto originario da ogni altro Paese, o a esso destinato, saranno estesi, immediatamente e senza condizioni, a tutti i prodotti congeneri, originari del territorio di ogni altra Parte contraente, o a esso de-stinati. […]”, e v. anche il General Agreement On Trade In Services, in http://www.wto.org

[1] V.  Camera dei deputati XVI LEGISLATURA Documentazione per l’esame di rogetti di legge Riforma della legislazione in materia portuale – A.C. 5453 – Schede di lettura n. 6908 ottobre 2012: “Il 18 ottobre 2007 la Commissione ha adottato una comunicazione sulla politica portuale europea (COM(2007)616) volta ad individuare le misure necessarie per promuovere un sistema portuale efficiente a livello UE.

La comunicazione traccia un quadro della situazione del sistema portuale UE caratterizzato dall’esistenza di circa 1.200 porti commerciali, sottolineandone, in particolare, il grande contributo ai fini della coesione territoriale, dello sviluppo regionale e della creazione di posti di lavoro. Sebbene i maggiori porti europei possano essere considerati in linea di massima efficienti sotto il profilo economico e dei servizi offerti, continuano a registrarsi strozzature in numerosi porti dovute principalmente al divario tra le capacità di stoccaggio e quelle di carico e scarico, all’insoddisfacente gestione dei terminal, all’inefficienza degli itinerari e degli accessi marittimi, ai lunghi tempi di attesa, alle cattive condizioni di lavoro, alle formalità amministrative lunghe ed onerose.

In particolare i porti si trovano ad affrontare una serie di sfide: la crescita della domanda di trasporto internazionale; la necessità di una gestione dei porti più rispettosa dell’ambiente; il ricorso sempre più frequente alle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni con la conseguente necessità di una più adeguata formazione del personale; la diversificazione modale a vantaggio della ferrovia, delle vie navigabili interne e del trasporto marittimo che richiede una gestione più oculata delle capacità portuali esistenti; la necessità di stabilire un dialogo con le parti in causa e le amministrazioni locali; l’esigenza di conciliare lo sviluppo e la gestione dei porti con la normativa UE, in particolare per quanto riguarda le regole in materia di trasparenza e di concorrenza.  

Dopo aver sottolineato l’importanza di collegamenti affidabili e sostenibili con l’entroterra per lo sviluppo dei porti, la comunicazione individua una serie di opzioni per fare fronte all’aumento della domanda di capacità portuali:

§       lo sfruttamento ottimale delle capacità portuali esistenti e, solo in seconda istanza, la costruzione di nuove capacità;

§       una migliore applicazione della direttiva 2000/59/CE relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico al fine di ridurre lo scarico di rifiuti in mare;

§       la gestione sana delle acque e dei sedimenti mediante la partecipazione dei porti alle consultazioni sulle questioni connesse alla gestione dei bacini idrografici;

§       la riduzione delle emissioni inquinanti delle navi e degli altri mezzi di trasporto in provenienza o a destinazione dei porti;

§       il miglioramento dell’interfaccia tra le navi e la terraferma grazie all’applicazione di sistemi di identificazione automatica delle navi e di scambi di dati sulla sicurezza marittima basati sul ricorso alle nuove tecnologie;

§       la semplificazione delle procedure amministrative e doganali mediante il ricorso alle operazioni on-line e la creazione di uno sportello unico per il trattamento dei dati;

§       il miglioramento dell’efficienza dei porti e l’elaborazione di indicatori di prestazione validi per tutte le modalità di trasporto;

§       la definizione a livello locale delle modalità per la gestione dei porti, evitando un’armonizzazione delle pratiche a livello UE e garantendo un adeguato grado di autonomia alle autorità portuali, anche sotto il profilo finanziario;

§       l’adozione di orientamenti in materia di aiuti di Stato a favore dei porti per stabilire un quadro giuridico per il finanziamento pubblico;

§       la diffusione delle migliori prassi sulla trasparenza degli oneri portuali, incentivando il ricorso a tali oneri anche per favorire l’uso di navi meno inquinanti;

§       la trattazione dei problemi in materia di concorrenza con i porti dei paesi terzi nell’ambito delle relazioni esterne dell’UE, incoraggiando la cooperazione con i paesi vicini al fine di stabilire regole di concorrenza più armoniose;

§       l’avvio di un dialogo strutturato tra i porti e le città per consentire una maggiore integrazione tra queste due dimensioni;

§       l’istituzione di un comitato europeo di dialogo settoriale per il settore portuale anche al fine di favorire la partecipazione delle parti sociali all’ammodernamento ed alla creazione di posti di lavoro più numerosi e di migliore qualità;

§       l’elaborazione di un quadro per il reciproco riconoscimento della formazione dei lavoratori portuali per favorirne la mobilità sull’intero territorio dell’UE;

§       un controllo rigoroso dell’applicazione nei porti delle regole comunitarie in materia

[1] “Le attività economiche che interessano il settore portuale si collocano nella fase di congiunzione fra due modalità di trasporto di merci, quello marittimo e quello terrestre (su strada o ferrovia). Esse costituiscono quindi una sorta di “anello di congiunzione”. Il ruolo intermedio delle attività portuali e la conseguente impossibilità di identificare un unico mercato di “sbocco” del settore costituiscono la principale peculiarità rispetto ad altri settori dell’economia”. Autorità Garante della concorrenza e del mercato, “Indagine conoscitiva nel settore dei servizi portuali”, pag.11, ove nota che “Una particolare eccezione può essere costituita dai servizi portuali per le navi c.d. feeder, che trasportano merci provenienti o destinate a navi più grandi: in questo caso le attività portuali collegano due modalità di trasporto identiche (via mare)”.

Sergio Bologna, in Aspetti evolutivi della portualità italiana, negli atti del seminario CNEL “Il sistema portuale italiano tra esigenze di riforma e difficoltà congiunturali”, Roma, 3 febbraio 2009, afferma che “Sarebbe auspicabile che analogo ripensamento si facesse largo anche tra coloro che si interessano di economia dello shipping e portualità (maritime economy) e si cominciasse a guardare un po’ meno verso il mare, scrutando l’orizzonte per vedere quanto è grande la nave che si avvicina, e un po’ di più verso terra, cercando di capire cosa è cambiato nell’assetto economico del territorio che si usa chiamare Hinterland e come si comporta il cittadino/consumatore”.

[1] “va fatto uno sforzo in più) sull’integrazione verticale, ovvero si impone una più forte integrazione tra il sistema dei porti (i.e. water-front) e il sistema dei retroporti, che sono attivi in alcune aree”. Ennio Cascetta, già Assessore ai Trasporti – Regione Campania, Il ruolo dello stato, delle regioni e delle autorità portuali per una governance ottimale degli scali italiani, nel convegno Il sistema portuale italiano tra esigenze di riforma e difficoltà congiunturali, cit.. In questo stesso convegno, però, Annamaria Furlan, Segretario Confederale della Cisl, ha notato che “I centri cosiddetti “intermodali” raccolgono e manipolano le merci usando le telecomunicazioni, spesso a grande distanza dai porti, per servire contemporaneamente porti e territori e ottenere così maggiori economie di scala. Non si può non tenere conto che è nella prossimità dei grandi centri di consumo e di produzione che si vanno a collocare le grandi strutture interportuali de-stinate a smistare le merci e a lavorarle. Si sta acquisendo sempre più consapevolezza che la priorità di effettuare operazioni di lavorazione finale delle merci è sempre meno prevalente, in quanto dall’Estremo Oriente arrivano sempre più frequentemente prodotti finiti destinati direttamente ai mercati finali di consumo. La Spagna, ad esempio, con un ragionamento di sistema strategico e di respiro europeo, supportata dalla Francia, vuole avere il consenso della Unione Europea per costruire un asse ferroviario dedicato che colleghi il centro intermodale di Duisburg con i porti di Valencia, Tarragona e Barcellona. Non si costruisce, quindi, una nuova infrastruttura terminale che deve poi ripagare i suoi costi di costruzione e di avviamento, ma si utilizza uno snodo già esistente per potenziarne la recettività puntando sui benefici effetti delle economie di scala”. Può essere utile rammentare che Duisburg, centro di rilievo nel settore del commercio, della produzione siderurgica e della logistica, è sito alla confluenza dei due grandi fiumi tedeschi, Reno e Rhur, e che in esso vi è Duisport, il più importante porto fluviale d’Europa.

[1] M. Libertini e S. Cadeddu, ne La prima attuazione della riforma costituzionale, in Urbanistica e appalti, 2003, 11, 1245 ss.

[1] Art. 16. Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche.

[1] Valerio Onida, Le Costituzioni. I principi fondamentali della Costituzione italiana, nel Manuale di diritto pubblico a cura di Giuliano Amato e Augusto Barbera, il Mulino, Bologna, vol. 1, Va ed., 1997, pag. 77 e ss., pag 85 ss. E pag. 105.

[1] “La persona umana è vista cioè come centro dell’organizzazione sociale e politica, titolare di diritti anteriori allo Stato”. … “Il principio personalista comporta però che vi sia un limite invalicabile agli interventi dei pubblici poteri nella sfera dell’individuo, sia pure per il conseguimento di fini di pubblico interesse e di obiettivi voluti dalla collettività”. Valerio Onida, op. loc. cit., pag. 89. pag. 100

[1] Gustavo Zagrebelski, Fondata sul lavoro – la solitudine dell’art. 1, Einaudi, Torino, 2013, pag. 43; l’A. lamenta il rovesciamento del diritto “sotto gli occhi di tutti, come prevalenza dell’effettività sulla legittimità. Innanzitutto, il mondo del lavoro è in fase di decostruzione. I due principii-guida delle relazioni industriali, l’unitarietà e la generalità, sono insidiate dalla frammentarietà e dalla specialità” (pag. 45 e ss.).

[1] “Per effetto dell’art. 35, 1° comma, il lavoro, in tutte le sue forme, si consolida con la stessa ampia rilevanza con la quale si annuncia quale fondamento della Repubblica nella parte prima”. Giuseppe Di Gaspare Il lavoro quale fondamento della Repubblica, 2008, https://iris.luiss.it/retrieve/handle/11385/4102/197/1%20-%20Di%20Gaspare%20_Lavoro.pdfcit., pag.14.

[1] Giuseppe Di Gaspare, Il lavoro quale fondamento della Repubblica, cit..

[1]   V. Franco Bassanini Edoardo Reviglio The Financing of EU Strategic Infrastructure, St. Petersburg International Economic Forum St. Petersburg, June 20-22, 2013 The Logistics Impact: Port, Rail, And Road Development To Spur Growth

[1] che, a sua volta, è “il modo più immediato, … alla portata di tutti, attraverso il quale i cittadini possono rendersi autonomamente attivi, esercitando senza intermediazioni di sorta o senza passive aspettative del posto, il loro diritto/dovere costituzionale al lavoro”. Giuseppe Di Gaspare Il lavoro quale fondamento della Repubblica, cit., pag.16.

[1] nel quale “tra i diversi ruoli esercitati dallo Stato nell’ambito economico, particolare rilievo ha rivestito quello di imprenditore. L’art. 41 della Costituzione disegna un sistema ad economia mista” Anna Maria Citrigno, op. loc cit, pag.38

[1] L’Unione infatti, pur se per anni ha teso troppo spesso a valori finanziari (V. “I difficili rapporti tra disciplina comunitaria e nazionale in tema di contratti pubblici”, di Domenico Galli, in Una nuova pubblica amministrazione: aspetti problematici e prospettive di riforma dell’attività contrattuale, a cura di Claudio Franchini e Federico Tedeschini, Giappichelli ed., Torino, 2009, pag. 8 e ss.) e da più parte della dottrina, ed anche da alcune istituzioni europee, è stata interpretata in base a presupposti e teorie più che discutibili, anche circa la loro stessa giuridicità (quali quelli che hanno spinto a porre le norme del TFEU circa la finalità della stabilità dei prezzi), si è avvicinata ai principi dell’ordinamento nazionale quantomeno già prima della Carta dei diritti fondamentali di Nizza e poi con l’entrata in vigore, il 1° dicembre 2009,  del Trattato di Lisbona, per alcuni “un vero e proprio spartiacque, una vera e propria rivoluzione copernicana che modifica con la gerarchia delle fonti l’intero quadro degli strumenti di tutela dei diritti fondamentali della persona umana, primi tra tutti quelli sociali, che costituiscono l’essenza di un diritto comunitario del lavoro che supera l’ambito solo economico/patrimoniale”. Ezio Bonanni, Trattato di Lisbona nuove fonti normative e tutele nel diritto del lavoro, in Diritto dei Lavori, anno IV, n. 2, maggio 2010

[1] Articolo 170 (ex articolo 154 del TCE)

1. Per contribuire al raggiungimento degli obiettivi di cui agli articoli 26 e 174 e per consentire ai cittadini dell’Unione, agli operatori economici e alle collettività regionali e locali di beneficiare pienamente dei vantaggi derivanti dall’instaurazione di uno spazio senza frontiere interne, l’Unione concorre alla costituzione e allo sviluppo di reti transeuropee nei settori delle infrastrutture dei trasporti, delle telecomunicazioni e dell’energia.

2. Nel quadro di un sistema di mercati aperti e concorrenziali, l’azione dell’Unione mira a favorire l’interconnessione e l’interoperabilità delle reti nazionali, nonché l’accesso a tali reti. Essa tiene conto in particolare della necessità di collegare alle regioni centrali dell’Unione le regioni insulari, prive di sbocchi al mare e periferiche.

Articolo 171 (ex articolo 155 del TCE)

1. Per conseguire gli obiettivi di cui all’articolo 170, l’Unione:

– stabilisce un insieme di orientamenti che contemplino gli obiettivi, le priorità e le linee principali delle azioni previste nel settore delle reti transeuropee; in detti orientamenti sono individuati progetti di interesse comune;

– intraprende ogni azione che si riveli necessaria per garantire l’interoperabilità delle reti, in particolare nel campo dell’armonizzazione delle norme tecniche;

– può appoggiare progetti di interesse comune sostenuti dagli Stati membri, individuati nell’ambito degli orientamenti di cui al primo trattino, in particolare mediante studi di fattibilità, garanzie di prestito o abbuoni di interesse;

l’Unione può altresì contribuire al finanziamento negli Stati membri, mediante il Fondo di coesione istituito conformemente all’articolo 177, di progetti specifici nel settore delle infrastrutture dei trasporti.

L’azione dell’Unione tiene conto della potenziale validità economica dei progetti.

2. Gli Stati membri coordinano tra loro, in collegamento con la Commissione, le politiche svolte a livello nazionale che possono avere un impatto rilevante sulla realizzazione degli obiettivi di cui all’articolo 170. La Commissione può prendere, in stretta collaborazione con gli Stati membri, qualsiasi iniziativa utile per favorire detto coordinamento.

3. L’Unione può decidere di cooperare con i Paesi terzi per promuovere progetti di interesse comune e garantire l’interoperabilità delle reti.

Articolo 172 (ex articolo 156 del TCE)

Gli orientamenti e le altre misure di cui all’articolo 171, paragrafo 1, sono adottati dal Parlamento europeo e dal Consiglio, che deliberano secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni.

Gli orientamenti ed i progetti di interesse comune che riguardano il territorio di uno Stato membro esigono l’approvazione dello Stato membro interessato.

[1] https://www.rfi.it/it/rete/in-europa/corridoi-ten-t.html

[1] Come noto la rete transeuropea (TEN – trans european network) è un insieme di infrastrutture di trasporto, energia e telecomunicazioni che collegano tutte le regioni dell’Unione europea e i paesi vicini. Lo scopo della TEN è di favorire il mercato interno, la coesione economica e sociale, la sostenibilità ambientale e la competitività dell’UE. Di essa è parte la rete transeuropea dei trasporti (TEN-T) articolata su due livelli: una rete globale, che garantisce la connettività di tutte le regioni dell’UE, e una rete centrale, che è composta da quelle parti della rete globale che sono della massima importanza strategica per l’UE, i 9 corridoi terrestri prioritari definiti nel 2013 dai regolamenti EU 1315/2013 e 1316/2013 (TEN-T Core Network Corridors), che dovrebbe essere completata entro il 2030, mentre la rete globale entro il 2050.

La rete centrale collegherà:

1.             94 grandi porti europei con linee ferroviarie e stradali,

2.             38 grandi aeroporti con linee ferroviarie che portano alle città principali,

3.             15 000 km di linee ferroviarie convertite ad alta velocità,

4.             35 progetti transfrontalieri destinati a ridurre le strozzature.

[1] Circa il Ponte, in Centro Sud 24 v. Rosella Cerra, Ponte sullo stretto entra in campo la Cina, 21 Aprile 2023; Ugo Mastelloni, Ponte sullo stretto, opera mastodontica da approfondire: un banco di prova importante, 16 Agosto 2023; idem, Ponte sullo stretto, Prof. Siviero: “Ponte opera necessaria, dalla sua costruzione innumerevoli vantaggi”, 21 Agosto 2023.

[1] https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2023/12/18/trans-european-transport-network-ten-t-council-and-parliament-strike-a-deal-to-ensure-sustainable-connectivity-in-europe/

Contributo esterno

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui