L’Europa e i porti del Mediterraneo: un rapporto controverso

0
392

Guerra in Ucraina e Gaza, missili a Suez, ETS, no Free Storage: la tempesta perfetta 

La prima parte di questo servizio, pubblicata il 13 scorso, voleva rammentare alcune caratteristiche fondamentali del Porto e l’importanza economica e sociale della Blue Economy, segnatamente degli scali marittimi del nostro Paese; voleva così consentire anche a chi non opera nel settore un corretto inquadramento dei gravi problemi e danni che derivano da nuove norme della UE, in realtà dalla eliminazione i ogni politica industriale della UE, sacrificata ai miti dell’economia neoclassica del mercato e della concorrenza, soprattutto al totem dell’ambiente. Per questo ha accennato alle caratteristiche del Porto, dei porti italiani nel Mediterraneo, al loro essere ampia parte della nostra cultura e società, del lavoro e insieme del commercio, al loro essere luogo ed attività di connessione, al loro rivestire un ruolo centrale nel nostro ordinamento, nella nostra Costituzione, nei trattati europei, nell’Europa, nelle TEN-T.

Questa seconda parte parla ora delle tasse sanzionatrici imposte dalla UE quale parte dell’europeo ETS – Emission Trading System, sistema che si vorrebbe sostenere essere fondato sul principio «chi inquina paga», quando qui sarebbe più esatto ritenerlo basato sul carbon mileage [i]; sistema basato sull’errato, antiscentifico presupposto che l’aumento del CO2 derivante dall’attività dell’uomo sarebbe la causa primaria dell’incremento della temperatura della Terra, di danni all’ambiente e alla vita dell’uomo, e sulla fantasia che sanzionando l’uso di energia da fossili con tasse così onerose che operatori del settore quantificano l’extra-onere per i container destinati all’Europa in 100mila euro in più a viaggio per navi da 8.000 Teu[ii] si risolva il problema  (forse perché si eliminerebbero molte delle persone, certo delle aziende e società tassate).

Critica poi la proposta della Commissione europea di modificare il codice doganale europeo, diminuiendo il periodo della custodia temporanea delle merci in transito (Temporary Storage).

Rileva che le norme e la proposta in questione, che non risolvono alcun problema, sono incompatibili con i principi costituzionali, con la natura e la finalità della UE e del WTO, creano solo inutili gravi costi e danni alla navigazione e ai porti europei del Mediterraneo, in particolare ai Porti europei di transhipment [iii], al punto di mettere a rischio tracollo [iv] soprattutto  i porti del Sud Italia, e così il porto di Gioia Tauro, ma di ledere anche, se non ancor più, le importazioni ed esportazioni europee, italiane, il Made in Italy[v].

Nota che queste norme e proposta producono gli indicati effetti negativi ora, proprio nel periodo peggiore [vi], nel quale il perdurare delle sanzioni alla Russia, delle guerre in Ucraina, Gaza e Medio Oriente danneggia l’economia europea e gli attacchi missilistici degli Houthi alle navi in transito pongono addirittura in discussione l’utilizzo del canale di Suez, fondamentale per la navigazione e l’economia del Mediterraneo e dei porti di questo [vii], e così la navigazione nel nostro mare, l’uso dei nostri Porti, ampia parte della notra economia[viii], poiché spingono gli armatori a circumnavigare il Capo di Buona Speranza, determinano l’incremento dei tempi di navigazione e delle spese per i carburanti e per le assicurazioni navali[ix], l’aumento dei costi dei beni in Europa e quello dei prezzi delle merci trasformate in Europa e spedite nel resto del mondo, come di quelle da questo inviate.

Infine invita i nostri legislatori, europei ed italiani, ad intervenire con maggiore energia per rilanciare la navigazione e l’economia, innanzitutto per eliminare queste norme e questa proposta, prima che divengano irrevocabili i gravi danni all’economia del Mediterraneo, ma prima di tutto ai porti italiani, all’economia Italia.

Il trasporto la logistica e i porti come <<oggetto primario del rilancio del nostro paese>> – ZES Unica e porti

Il trasporto, la logistica e i porti, con i relativi collegamenti intermodali, la integrazione di essi tra loro e con le reti europee, il loro essere parte dei settori economici che possono aumentare il potere d’acquisto sui territori, che possono sviluppare la capacità di esportare verso l’estero e di dare servizi a stranieri nel territorio, con le relative infrastrutture, le loro attività e i loro spazi di miglioramento economico dell’Italia ed innanzitutto del Sud d’Italia, <<potrebbero e dovrebbero essere oggetto primario del rilancio del nostro paese>>[x].

Essi avrebbero così una missione fondamentale in un contesto in cui sono aumentati i costi dell’energia, permane una pur non elevatissima inflazione strisciante, non sono del tutto condivise e consolidate politiche espansive europee; una missione da esplicare mirando innanzitutto ad agevolare il rilancio del Mezzogiorno, il suo sviluppo oltre che quale hub energetico, quale polo produttivo, centro di logistica economica e di trasporto intermodale, in coordinamento con le attività degli altri settori miranti allo sviluppo in Italia e nel Mezzogiorno[xi], come le filiere dell’agricoltura d’eccellenza e del turismo.

Ciò di fatto è stato riconosciuto dal legislatore italiano, che ha ritenuto necessario sviluppare una strategia per migliorare la competitività dei porti e attrarre investimenti e, per questo, ha anche posto quale presupposto, requisito e condizione per creare una Zona Economica Speciale (ZES)  che questa comprenda almeno un’area portuale con le caratteristiche stabilite dal regolamento UE n. 1315 dell’11 dicembre 2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, collegata alla rete transeuropea dei trasporti (TEN-T)[xii]. Il legislatore, nella legge n. 205/2017, modificata dalla legge n. 160/2019, creata al fine di favorire condizioni favorevoli allo sviluppo di nuovi investimenti, lo ha poi ribadito quando, prevedendo la possibilità di istituire Zone Logistiche Semplificate nelle regioni individuate dalla normativa europea come “più sviluppate”, ha ancora posto quale presupposto-requisito che queste includano almeno un’area portuale compresa nella rete transeuropea dei trasporti[xiii]. Infine, il legislatore lo ha di nuovo riconosciuto col decreto-legge n. 124/2023 e la Legge n. 162 del novembre 2023, che, a partire dal 1° gennaio 2024, pongono in vigore la Zona economica speciale per il Mezzogiorno – “ZES unica”[xiv], in relazione alla quale l’articolo 1, comma 249, della legge di Bilancio 2024 (Legge n.213 del 30/12/2023) prevede – per i crediti di imposta concessi in relazione agli investimenti che si effettueranno nel 2024, in conformità a quanto disposto dall’art.16 del D.L. n. 124/2023 – uno stanziamento di1.800 milioni di euro.[xv]

L’importanza fondamentale della navigazione e dei porti spesso ignorata

L’importanza economico-sociale della navigazione e del Porti, però, è comunque ancora spesso sottovalutata, certo poco comunicata, promossa e agevolata, dai media e dalle istituzioni italiane ed europee.  Accade anzi che organismi europei adottino, o promuovano, norme che creino gravi danni all’intero loro settore e allo stesso intero nostro sistema economico, innanzitutto ad enti ed impresa legati all’attività marittima che operano nel territorio europeo, nel Mediterraneo, in Italia, anche determinando profili di alterazione e peggioramento della concorrenza nei confronti dei concorrenti non europei, che non sono tenuti ad applicarle; ed i rappresentanti italiani negli organismi europei, incluso il parlamento, sono forse tardivi, e troppo timidi, nella difesa di questi interessi primari, o non sanno ottenere un adeguato ascolto[xvi].

La criminalizzazione della CO2, i falsi tristi miti dell'”Emergenza Climatica”, dell’’Ecologic Footprint’

L’assoluta importanza del settore sembra essere stata trascurata, paradossalmente, anche nella ideazione del sistema e delle regole elaborate e dettate dell’IMO (International maritime organization) per la <transizione green>, per il ‘Greener Shipping’, nel trasporto marittimo internazionale. Un sistema che aderisce al correlato contesto ed incide fortemente su questo, che impone la transizione, una rivoluzione, dell’intero sistema economico produttivo, sociale, che vuole si attui in modi e tempi che appaiono eccessivi, globalmente troppo onerosi per le imprese, per i consumatori finali, per i cittadini; mentre per questo servirebbe semmai un passaggio più lineare, meno traumatico, una serena collaborazione con “l’intervento di tutti gli attori coinvolti nella catena del valore, in primis aziende di beni di consumo e piattaforme di vendita globali, e molta tecnologia prima[xvii].

La stessa importanza del settore, lo stesso essere parte del sistema economico imprenditoriale globale, radicato in questo, sembrano poi essere altrettanto trascurati dalla UE quando prevede di espandere e inasprire il suo c. d. ’Emission Trading System’, o ETS, ed impone una <carbon tax> che fa sì che gli armatori e i porti siano controllati e tassati in modo illiberale.

L’unione europea vuole estorcere questo balzello con la motivazione irrazionale di voler ridurre radicalmente e quasi istantaneamente il Carbon Footprint, le emissioni di CO2 pro capite: lo esige quando ancora nessuno ha seriamente dimostrato che l’anidride carbonica, o biossido di carbonio, o CO2 – gas fondamentale per la vita sulla Terra per il ruolo centrale che riveste nel ciclo del carbonio, l’insieme di complesse reazioni chimiche da cui dipende il metabolismo di tutti gli organismi del pianeta – e l’incremento dell’effetto serra da esso causato siano causa di inquinamento o dell’incremento climatico, quale causa prioritariamente determinata dall’attività dell’uomo; lo fa ignorando tutte le validissime eccezioni poste dai più grandi studiosi e scienziati, come quelle di chi afferma che la leggenda ‘dell'”Emergenza Climatica” dovuta alla CO2 dice che il CO2 (0,04% dell’aria) sarebbe la principale “manopola di controllo” di condizioni meteorologiche e climatiche estreme, e che la CO2 dell’uomo – 4% dello 0,04% dell’atmosfera – sarebbe un importante pericoloso fattore di queste. …[xviii], mentre Perché la narrazione della CO2 fosse vera, sarebbe necessario che: 1. La CO2 dell’uomo (4%) controllasse il resto della CO2 (96%); 2. la CO2 fosse il principale regolatore di temperatura e clima. ENTRAMBE LE AFFERMAZIONI FALLISCONO CONTRO LA SCIENZA[xix].

Lo impone, mentre non è dimostrato nemmeno che abbia fondamento il concetto di impronta ecologica, di ecological footprint, reso base della ‘transizione green’, che questo non sia una mera narrazione priva di senso, fatta su calcoli che ignorano l’attuale stato delle scienze, della produzione e l’uso dell’energia e dell’agricoltura, che “misconosce tutte le acquisizioni del progresso tecnico[xx], che è dimostrato essere un racconto, più ancora che una teoria, antiscientifico, piuttosto che pseudoscientifico[xxi].

Un culto insensato meno radicato nel resto del mondo

La Commissione vorrebbe quindi stravolgere l’intera Europa, l’intero suo sistema produttivo, e in questo il sistema della navigazione e dei porti, senza che sia dimostrato che il suo ecologismo radicale sia una scienza, e non invece un culto insensato e sinistro, fondato su un’ideologia ‘irrazionale’’, ascientifica[xxii], sviluppata e basata su ragioni che non mirano e non portano, alla finalità dichiarata, ma su potenti interessi finanziari, su desideri di status e potere, su un malinteso, deviato desiderio di trascendenza[xxiii]

Lo fa mentre finge di ignorare che la maggior parte delle emissioni di CO2 prodotte dall’uomo nel mondo oggi sono prodotte dalla Cina, dall’India e degli USA, che l’Europa emette meno del 10% delle emissioni del resto del pianeta, che non partecipa della sua follia, di ignorare che nel 2022 il CO2 totale nel mondo è stato pari a 40,6 miliardi di tonnellate, che l’OCSE stessa stima che ci siano state solo 858 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 a livello globale da parte dell’industria marittima e che sono imputabili a paesi dell’UE solo meno di 300 milioni di tonnellate, lo 0,7 % dell’industria marittima che nell’insieme produrrebbe il 4% attribuito all’uomo di quel CO2 che a sua volta forma in toto lo 0,04% dell’atmosfera[xxiv].

La fuga dalle metodologie di normale buon senso

Ora, nessuno contesta l’opportunità di adottare metodologie di normale buon senso che riducano l’impatto ambientale, soprattutto in ambiti ristretti, cittadini, compatibili col sistema attuale, che non comportino l’immediati impegno di investimenti e rinunce tali da far crollare il sistema. Così, ad esempio, non si nega l’opportunità e le disposizioni che inducono a spegnere i motori da parte delle navi che si siano ormeggiate in aree urbane, o nella prossimità, e di somministrare a queste l’energia loro necessaria da terra, il c.d. cold ironing.

Non si comprende però perché, con quale diritto e a quali veri fini si voglia tassare e ostacolare il trasporto marittimo, settore produttivo primario, centrale dell’economia mondiale, in particolare di  quella italiana, solo per diminuire ancora quel pur già minimo 0,7% delle emissioni di CO2 imputato all’industria marittima UE , minima parte del 4% globale attribuito all’uomo del CO2, costituente lo 0,04% dell’atmosfera, quando peraltro non è nemmeno prima dimostrato  che esso sia tale da danneggiare la vita umana, e poi, semmai, che esso non possa essere diminuito in altro modo.

L’ETS non è «chi inquina paga», è “carbon mileage”

Queste norme, divenute (troppo) ampia parte della politica ambientale dell’UE,  di un sistema che “viene integrato e applicato in varia misura nelle diverse politiche ambientali dell’UE[xxv], secondo un modo di dire frequente, sarebbero fondate sul principio «chi inquina paga»; l’espressione in realtà dice però troppo, non è veritiera visto che letteralmente significherebbe che la tassa dovrebbe corrispondere all’inquinamento e ai danni di questo, e comporterebbe quindi innanzitutto l’analisi dei fenomeni di inquinamento effettivamente attuati che meritassero risarcimento e sanzione economica, dei danni causati, del risarcimento e delle sanzioni meritati; ciò quando  nel caso concernente le navigazioni marittime la tassa è commisurata direttamente al peso/spazio delle merci e dei beni trasportati e alla lunghezza del percorso precedente lo scarico in Europa, a prescindere da ogni analisi circa gli specifici contesti e gli effetti in questi.

L’ETS applica così il sistema del c.d. “carbon mileage” commisurando  la tassa-sanzione sostanzialmente al peso trasportato e alla lunghezza del percorso attuato, pur se studi condotti proprio sullo stesso “carbon mileage” hanno dimostrato che l’effetto può essere l’opposto di quello che comunemente si crede e persegue, anche in relazione alle alternative possibili; cosicché, come nota lo stesso WTO, semmai, “le miglia alimentari possono essere un problema che necessita di un’analisi caso per caso e di una verifica empirica[xxvi].

Lo applica, innanzitutto, mentre non è ancora stato individuato un carburante in grado di sostituire in toto, con efficacia, quello tradizionale per la navigazione di lunga distanza; cosicché gli operatori nautici non possono agire in modo da evitare del tutto la tassazione, né l’uso di prodotti il cui uso è presupposto della tassazione stessa.

ETS – Emission Trading System

Con la direttiva 2003/87/CE del 13 Ottobre 2003 l’Unione Europea ha ritenuto di applicare alla navigazione europea il c.d. Emission Trading System, ETS, inizialmente concepito solo per i sistemi e gli impianti industriali più inquinanti, fatto di pagamento-scambio delle quote di emissione di gas serra, che prevede che gli operatori di questi settori debbano possedere e restituire quote di emissione proporzionali alle loro emissioni effettive, che possono essere scambiate sul mercato del carbonio; sistema che il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica finora sintetizzava così: Il Sistema europeo di scambio di quote di emissione di gas a effetto serra (European Union Emissions Trading System – EU ETS) è il principale strumento adottato dall’Unione europea per raggiungere gli obiettivi di riduzione della CO2 nei principali settori industriali e nel comparto dell’aviazione. Il sistema è stato introdotto e disciplinato nella legislazione europea dalla Direttiva 2003/87/CE (Direttiva ETS).

Il meccanismo è di tipo cap & trade ovvero fissa un tetto massimo complessivo alle emissioni consentite sul territorio europeo nei settori interessati (cap) cui corrisponde un equivalente numero “quote” (1 ton di CO2eq. = 1 quota) che possono essere acquistate/vendute su un apposito mercato (trade). Ogni operatore industriale/aereo attivo nei settori coperti dallo schema deve “compensare” su base annuale le proprie emissioni effettive (verificate da un soggetto terzo indipendente) con un corrispondente quantitativo di quote. La contabilità delle compensazioni è tenuta attraverso il Registro Unico dell’Unione mentre il controllo su scadenze e rispetto delle regole del meccanismo è affidato alle Autorità Nazionali Competenti (ANC)[xxvii].

L’attuazione della direttiva 2003/87/CE in Italia era stata disposta con il decreto legislativo 4 aprile 2006, n. 216, che ha istituito il Comitato nazionale per la gestione della direttiva ETS e per il supporto nella gestione delle attività di progetto del Protocollo di Kyoto, l’autorità nazionale competente per l’assegnazione delle quote, il monitoraggio delle emissioni, il controllo delle compensazioni e la gestione del registro unico dell’Unione. La stessa direttiva ETS in seguito è stata modificata e integrata da diverse direttive successive, tra cui la ‘Direttiva 2009/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, che modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra’, per applicarla a nuovi settori e gas, e la direttiva 2018/410/CE, che ha introdotto nuove regole per il periodo 2021-2030, come la riduzione del tetto massimo delle emissioni, l’aumento delle aste, la revisione dei criteri per le assegnazioni gratuite e la creazione di una riserva stabilizzatrice del mercato.

In Italia il decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 30, ha recepito la direttiva 2009/29/CE, mentre il decreto legislativo 2 luglio 2015, n. 111, ha corretto e integrato il decreto legislativo 30/2013. Il decreto legislativo 10 giugno 2020, n. 55, ha quindi recepito la direttiva 2018/410/CE, adeguando la normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/2392 relativo alle attività di trasporto aereo e alla decisione (UE) 2015/1814 relativa all’istituzione e al funzionamento di una riserva stabilizzatrice del mercato.

Ora gli Stati membri UE sono tenuti a recepire, a partire dal 1° gennaio 2024,  la Direttiva (UE) del Parlamento Europeo e del Consiglio 2023/959 recante modifica delladirettiva 2003/87/CE, del 10 maggio 2023[xxviii]con la quale a tutte le navi con stazza lorda pari o superiore a 400 tonnellate si applicherebbe il sistema europeo dello ETS – Emission Trading System.

La discriminazione negativa degli investimenti

Come viene giustamente notato, la discriminazione tra porti europei e non europei incide già a livello di investimento e di scelta del porto su quale attuarlo: Una compagnia marittima che ha eletto un porto UE per le proprie attività di transhipment (sia essa CMA-CGM a Malta, MSC a Gioia Tauro o Cosco al Pireo per semplificare) ed effettuato cospicui investimenti per rendere tali impianti efficienti, dovrà mettere in conto che affronterà costi operativi ben maggiori (dovuti al regime ETS) rispetto ai propri competitors che avessero prescelto di operare (e investire) nei porti del nord Africa (Tanger Med e Port Said in testa)”[xxix].

Il rischio di discriminazione da evasione o elusione – L’insufficiente regola delle 300 miglia

Vi è poi un grave pericolo, meglio, una grave probabilità di alterazione della concorrenza per evasione od elusione della tassazione, e così anche il rischio che l’incisione fiscale del settore dell’economia non raggiungerebbe comunque gli obiettivi dichiarati della Direttiva.

Questa riconosce ciò, che l’elusione può innanzitutto attuarsi mediante “trasferimento delle attività di trasbordo verso porti al di fuori dell’Unione in assenza di una misura mondiale basata sul mercato” o di “misure di mitigazione[xxx], o anche mediante il compimento di distanze supplementari che possano essere percorse dalle navi proprio a scopi elusivi.

L’UE quindi vorrebbe cercare di evitare questi rischi e di diminuire i danni alla concorrenza dei porti europei di transhipment ponendo nell’ambito del più ampio sistema ETS quella che si è definita la “regola delle 300 miglia”, che esclude dalla definizione di “porto di scalo” i porti che si trovano al di fuori dell’UE ma a meno di 300 miglia nautiche da un porto europeo, nonché i porti in cui la quota di trasbordo di container superi il 65% del traffico totale di container del porto, così che la tassa sia applicata al percorso precedente tale scalo.

Sembra innanzitutto, a livello di sistema, di principi generali, grave che, pur se la stessa tassazione è in sé illiberale e illegittima, l’unione non ipotizzi nemmeno che il problema dell’eccesso di imposizione e insieme della discriminazione si risolva eliminando la tassazione stessa, o quantomeno diminuendola radicalmente, ma al contrario voglia farlo ampliando l’ambito della tassazione stessa anche al di fuori del territorio dell’Unione e della competenza unioniale.

Gli operatori poi ritengono che il sistema adottato non risolva il problema.

Così per l’European Sea Port Organization (ESPO), l’associazione dei porti europei, il principio di non considerare come porto di scalo quelli di trasbordo confinanti con l’Unione europea è solo una soluzione parziale anche perché pur se lo scalo in un porto di trasbordo extra-Ue è soggetto a questo regime speciale resta comunque più favorevole per le navi fare scalo in un porto extra-Ue che in un porto di trasbordo Ue, dal momento che quando le navi fanno scalo in un porto di trasbordo europeo, l’ultima tratta tra il porto di trasbordo e qualsiasi altro porto dell’Ue è soggetta alle tariffe ETS per il 100 per cento del viaggio, mentre se invece le navi fanno scalo in un porto di trasbordo extra-Ue la tassa viene contabilizzata solo il 50 per cento del viaggio.

Una tassazione contraria ai principi costituzionali, a principi e norme dell’UE

A chi scrive pare che questa tassa sia contraria ai principi costituzionali, che legano l’imposizione al reddito, in misura progressiva, innanzitutto all’art. 56 della Cosituzione[xxxi], che essa discrimini l’attività di navigazione rispetto agli altri settori imprenditoriali, produttivi, in modo che appare contrario alla natura e finalità, oltre che della nostra Carta, della stessa UE, antitetico rispetto ai suoi principi primari, agli interessi degli stati europei e ai poteri dell’Unione Europea, nella quale la legislazione fiscale dovrebbe essere legata agli interessi europei ed essere adottata all’unanimità dagli Stati membri.

Come la stessa unione rammenta in suo sito[xxxii], infatti, mentre essa Unione europea non detiene il potere di imporre o riscuotere le tasse, poiché tale potere è di competenza degli Stati membri dell’Unione. L’obiettivo principale della politica fiscale dell’Unione europea è il buon funzionamento del suo mercato unico, vale a dire garantire che l’attività economica transfrontaliera non sia ostacolata da barriere fiscali e che siano evitate distorsioni della concorrenza. Essa mira a garantire che i cittadini e le imprese non riscontrino difficoltà nella doppia imposizione, nella distorsione della concorrenza o nella richiesta di rimborsi fiscali e di informazioni sulle norme fiscali in relazione ad altri Stati membri.

La carbon tax nella versione in questione appare invece determini un’inutile barriera fiscale e una distorsione della concorrenza, una discriminazione negativa dei porti europei rispetto agli altri, contraria quindi anche ai principi cardine della globalizzazione, all’accordo istitutivo della WTO, della World Trade Organization (Organizzazione Mondiale del Commercio), al trattato che la regola e al primo dei suoi principi cardine, che  è quello di garantire la graduale liberalizzazione del commercio attraverso la negoziazione; tale principio trova esplicazione con la riduzione delle barriere commerciali, intendendo per esse sia i dazi doganali che le misure equivalenti.[xxxiii]

Questo tipo di norme e tasse, invece, crea limitazioni al sistema economico europeo e attua, o comunque non ostacola, la liberalizzazione attuata esclusivamente a vantaggio dei paesi non europei e a danno di questi ultimi.

Norme fiscali, onerose e sanzionatrici, che danneggiano la concorrenza e l’economia marittima e dei porti dell’Europa

La tassa appare insieme sanzionatrice e onerosa, quasi pensata per danneggiare la concorrenza e l’economia Europea, quelle dei porti e della navigazione, soprattutto dei porti e dei sistemi di trasporto della parte europea del Mediterraneo. Essa aumenta, ed altera,  la già forte concorrenza di sistemi e porti non europei, non tenuti alle regole, alle tasse ed ai costi europei[xxxiv], oltre che da quella tradizionale dei grandi sistemi di trasporto non mediterranei, dei porti europei del Northern Range, avvantaggiati naturalmente nel loro essere più direttamente inseriti nei percorsi dell’economia globale, quantomeno tra USA e UE, e ora tra tutto il mondo, visto il blocco di Suez. I costi e danni di esse si producono così in particolare sui porti, e sui sistemi di trasporto Mediterranei, soprattutto su quelli di transhipment, e per primi sugli italiani, come ad esempio il porto di Gioia Tauro (già oggetto di articoli in questo giornale).

I danni in Italia per il settore: 800/900 milioni o più – per il Sistema Italia qualche miliardo?

Come ha chiaramente spiegato al Sole 24 Ore, il 9 5 2023, Mario Mattioli, presidente di Confitarma e della Federazione del mare, «L’Ue insomma ci chiama a pagare la tassa sulla decarbonizzazione dal 2025 con base i consumi 2024; in pratica, se un armatore emette 100, paga la tassa sul 40% delle emissioni il primo anno (2025 su 2024), sul 70% il secondo anno (2026 su 2025) e sul 100% il terzo anno (2027 su 2026). Le nostre emissioni sono monitorate dagli enti di classifica e immaginando una carbon tax con crediti di carbonio pari a circa 92-95 euro a tonnellata, già sappiamo quale sarebbe l’aggravio sulla flotta: dal 2025, nell’arco di tre anni, andremo ad avere costi di 7-8 miliardi in più, di cui 800-900 milioni per l’Italia, a valere sulle navi che fanno almeno una toccata in Europa».

Altri operatori e esperti del settore indicano invece ipotesi e calcoli che portano a costi della sola tassa per l’intero settore in Italia molto maggiori, alcuni dell’ordine di 2 miliardi, come parrebbe, applicando i parametri e costi correlati alla tassa a tutti i viaggi che toccano i porti italiani ( o non li toccheranno più, per transitare altrove.

Anche adottando il calcolo già indicato, assumendo che il danno/costo immediato al settore fosse ‘solo’ di 800 milioni, si perverrebbe ad un costo sociale che, se si considerano gli effetti di ricaduta su imprese e, infine, cittadini consumatori dei prodotti trasportati, anche solo con un trascinamento, o moltiplicatore, negativo dell’1,5 (minore dell’attuale effettivo italiano e dell’ancor maggiore del Sud), determinerebbe un valore economico negativo, un danno al nostro Paese di oltre di 1 miliardo e 200 milioni di euro; danno che si potrebbe forse ridurre, ma certo non annullare, se l’importo della tassa venisse veramente impiegato con attenzione per la realizzazione di infrastrutture portuali o agevolando la realizzazione di navi nuove, meno costose in termini di utilizzo e uso di carburanti. Ma di ciò non si ha prova.

Ancor maggiore, comunque, il danno al sistema di trasformazione, che costituisce quasi l’intero sistema economico italiano

La diminuzione della custodia temporanea delle merci in transito (Free o Temporary Storage)

Altrettanto gravemente dannosa, se possibile in modo ancor più inutile e inspiegabile, sarebbe la proposta della Commissione Europea di modificare il codice doganale unioniale (CDU), di diminuire i tempi della custodia temporanea delle merci in transito, del deposito temporaneo in franchigia doganale (temporary storage), al punto che, secondo alcuni, di fatto le navi non potrebbero più fruirne per il transhipment.

Per far sì che i porti e sistemi di trasporto operino economicamente è finora previsto che le merci non unionali introdotte nel territorio doganale dell’Unione possano essere poste in custodia temporanea, in regime temporaneo di affrancamento dall’IVA e dai dazi doganali, dal momento in cui arrivano al porto fino a quando sono presentate in dogana e sottoposte a un regime doganale, oppure riesportate (articoli 139 e 144 del Codice Doganale dell’ Unione — CDU)[xxxv]. Solo se le merci non sono state vincolate a un regime doganale o riesportate entro il termine di 90 giorni, le autorità doganali adottano le misure necessarie per regolarizzare la situazione, compresa la confisca, la vendita o la distruzione, a spese del dichiarante. In questo caso in alternativa, le merci possono essere abbandonate allo Stato dal detentore delle merci o dal dichiarante, previa autorizzazione delle autorità doganali.

Il termine di 90 giorni è stato posto proprio perché normalmente sufficiente per potere disporre la riesportazione o la apposizione al regime doganale proprio, modalità e termini necessari per consentire utilizzo di porti e sistemi di trasporto miranti allo stesso transhipment

La Commissione Europea nell’ambito della modifica del codice doganale dell’unione vorrebbe però ora proporre di ridurre il termine a soli tre giorni; termini tale che il regime doganale ordinario si applicherebbe di fatto a tutte le navi che attracchino a un porto per scaricare il loro carico che può essere insufficiente a gestire il sistema di trasporto.

Un grave danno inutile creato nel momento peggiore

Con queste inutili norme si determinerebbe quindi un ulteriore danno economico, peraltro in un momento economico e dei trasporti del Mediterraneo pessimo: mentre nell’anno scorso il settore era in crescita, nonostante gli ultimi strascichi della politica impeditiva dei traffici adottata nella crisi sanitario-sociale, gli ostacoli della guerra in Ucraina e delle sanzioni alla Russia, quelli dei conflitti in Medio Oriente, lo hanno reso pessimo. Da ultimo, gli attacchi missilistici alle navi che vorrebbero percorrere il canale di Suez attuati dagli houthi, ribelli musulmani sciiti filo-iraniani che da quindici anni circa combattono per impossessarsi dello Yemen governato da arabi musulmani sunniti filo-sauditi, hanno reso l’ingresso del Canale un vero e proprio teatro bellico, impraticabile chissà per quanto, nonostante l’impegno di USA e UK per ricostruire anche qui la libertà di navigazione.

Come ormai spesso ribadito dai media, questi attacchi sono così gravi e pericolosi, ed hanno così terrorizzato la comunità marittima, che stanno inducendo molti armatori e  navi a far circumnavigare l’intera Africa, con grande aumento di percorrenza e costi, anche dei carburanti e delle assicurazioni, e quindi della stessa tassazione ETS, e soprattutto con molto minore, un vero crollo, dell’impiego dei porti Mediterranei, innanzitutto quelli italiani, che potrebbero di fatto essere quasi del tutto esclusi dai traffici.

Ciò quando Nel porto di Trieste, …, dal 28 dicembre non arrivano più navi portacontainer , e “Si rischia di avere carenza di materiali, in primis l’acciaio, e rincari dei costi che possono invertire la tendenza a ribasso dell’inflazione con ripercussioni nella realizzazione del PNRR. Federcostruzioni monitora con attenzione gli sviluppi e i possibili impatti sulla filiera. Attraverso il canale di Suez di solito passa circa il 12% del commercio globale e il 9% di prodotti legati al petrolio. La crisi nel Mar Rosso rischia di avere pesanti ricadute sulle supply chain internazionali e le forniture energetiche che potrebbero diventare più costose. Da Suez, infatti, transitano il 10% dei prodotti petroliferi raffinati, l’8% del gnl e il 5% del greggio. Per l’Italia da lì passa il 40% del nostro import-export marittimo per un totale di 154 miliardi di euro. Perdere questa rotta sarebbe un duro colpo non solo per i nostri porti – oltre a Trieste, potrebbero perdere traffico anche Genova, Gioia Tauro e La Spezia che sono i principali scali container e prodotti petroliferi – ma anche per gran parte del Made in Italy, dalla moda, all’alimentare, dalle automobili ai macchinari. L’industria italiana ha bisogno infatti di materie prime, ferro e acciaio soprattutto, ma anche di prodotti elettronici, microchip in testa, se il commercio si ferma creando carenza di materie prime e i costi energetici salgono, le conseguenze già segnalate dai produttori e dai distributori della filiera potrebbero presto farsi sentire, anche sui consumatori. Si segnalano già rilevanti ritardi nelle consegne[xxxvi].

In questo orrendo contesto, si applicherebbe da quest’anno il sistema ETS, con un ulteriore danno, causato, peraltro, adottandolo agli armatori, in relazione ai porti italiani.

I porti del Sud – Gioia Tauro

Come evidente, e sempre più spesso rammentato a livello diffuso, anche se forse non sufficientemente ribadito dalla politica, <<Dal punto di vista della localizzazione geografica, il Sud Italia è collocato in una posizione strategica invidiabile, in quanto si trova al centro del Mediterraneo e lungo le principali rotte mondiali est-ovest. Inoltre presenta un mercato locale che non richiede ingenti volumi di merci. Queste due caratteristiche rappresentano le premesse per la nascita di importanti hub di transhipment>> [xxxvii]. Ed anzi “il Sud Italia può davvero candidarsi ad essere l’hub dell’Europa sul Mediterraneo, in grado anche di interloquire con i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo. Quindi non solo un hub energetico, ma anche un luogo cruciale per il commercio internazionale[xxxviii].

In particolare, Gioia Tauro, per effetto della localizzazione baricentrica rispetto alle rotte intercontinentali che solcano il bacino del Mediterraneo da un estremo all’altro, per le sue caratteristiche fisiche e la dotazione infrastrutturale è già divenuto l’infrastruttura più importante nel sistema del trasporto merci della Calabria, centrale per lo sviluppo economico della regione, potenzialmente del Mezzogiorno, la cui attività comprende il trasporto intermodale delle merci (trasporto mare-strada e mare-rotaia), ma da sempre in essa vede la prevalenza delle attività di trasbordo di container, o transhipment (con percentuali sul totale dei container movimentati pari al 95%.[xxxix]

Un tipo di trasporto da sempre particolarmente idoneo acconsentire lo sviluppo del trasporto e dei commerci nel Mediterraneo, ed in Italia nel Sud[xl] così usato che il tasso di penetrazione del traffico “containerizzato” sul totale dei traffici marittimi era pervenuto al 67%, già nel 2012 ed è ancora poi aumentato.

Gioia Tauro opera anche quale “Hub & spoke”, ovvero determinando l’accentramento in un grande porto-hub di carichi aventi origine/destinazione in porti più piccoli, che mediante servizi feeder vengono trasportati dalla rotta principale a rotte regionali[xli]. In tal modo esso è divenuto il sesto porto di trasbordo del Mediterraneo (il primo, Algeciras, movimenta il 9,8% dei traffici containerizzati, i primi cinque il 43,8%,), il primo italiano[xlii].

Il 28 dicembre 2023 l’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centrale ha pubblicato che «Il porto di Gioia Tauro chiude l’anno con il record di container movimentati fin da quando è stato aperto, nel 1995.L’autorità di sistema portuale rende noto che il 27 dicembre sono stati raggiunti i 3,5 milioni di TEU movimentati in un anno, superando il record del 2008, quando ne sono stati movimentati 3,44 milioni. Il record premia il piano di rilancio avviato qualche anno fa dal Medcenter Container Terminal, acquisito dal gruppo Msc nel 2019, con l’ammodernamento delle gru, i dragaggi e il banchinamento di alcune porzioni dell’ampio porto di trasbordo (questi ultimi due interventi a spese dell’autorità portuale), oltre e una forte digitalizzazione delle procedure di sdoganamento e manifesto nave»[xliii].

L’incremento e il miglioramento di infrastrutture ferroviarie e stradali connesse al territorio, della ferrovia e dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, e la realizzazione del Ponte dello Stretto, sono già stati decisi nel nostro Paese; essi potranno consentire l’incremento del traffico merci da e per il porto, in particolare in adduzione. L’attuazione della Zona Economica Speciale (ZES), in un contesto di creazione di infrastrutture, dovrebbe favorire lo sviluppo delle zone retroportuali e l’insediamento di aziende, incluse quelle internazionali che svolgono attività industriale o logistica.

Anche Gioia Tauro però, come tutti i porti italiani, ed anzi tutti i porti europei, ma soprattutto quelli del mediterraneo, subirebbe danni e rischi dai citati due sistemi europei.

Il sistema fiscale europeo di ETS – Emission Trading System infatti crea un danno ai singoli porti, ma ancor più al sistema economico globale, incidendo negativamente sui costi della navigazione e di quanto trasportato, e quindi, essendo l’Italia economia di trasformazione, anche di tutto il suo sistema, del Made in Italy, tra i primi a quello della costruzione e dei materiali connessi[xliv]; mentre non potrebbe premiare i porti italiani, incluso Gioia Tauro, per essere oggetto anche di minore tassazione più di quanto non faccia già il vantaggio già dato dalla durata e lunghezza della navigazione, per l’essere più prossimo rispetto ai porti del nord, grazie al passaggio attraverso Suez, per le navi provenienti dall’oriente e quelle provenienti dall’Africa e dal Sud America (ma comunque non dall’America, dai porti degli USA)[xlv]. Mentre ben difficilmente potrà essere controllato il sistema di tassazione circa i passaggi intermedi, i luoghi di partenza, come già addirittura riconosce L’Europa che cita il rischio di elusione o evasione nei suoi stessi documenti.

Così, con questa tassa ingiusta ed onerosa ed eliminando di fatto il sistema europeo doganale e fiscale di custodia temporanea delle merci in transito (temporary storage), ponendo un limite eccessivo, che l’avvocato Rossi in una Sua intervista definisce ‘iugulatorio’, a questo, alla custodia temporanea delle merci in transito, si pone più a rischio l’attrattività e l’equilibrio economico di questo porto, e con questo, un nodo fondamentale del traffico di merce containerizzata nel Mediterraneo, si pone a rischio l’intero contesto che sta invece migliorando la potenziale attrattività di investimenti e di sviluppo economico-sociale.

La politica industriale del settore

Lo Stato e la politica italiani non sembrano abbastanza interessati al problema. Essi del resto pare abbiano di fatto abbandonato da tempo parte delle loro funzioni, in particolare quella di fungere da strateghi socio-economici, quella di identificare e di favorire un indirizzo favorevole dei processi di attuazione e rimodellamento della struttura produttiva, il ruolo di “decisori e risolutori di ultima istanza” dei problemi e delle opportunità di grande dimensione, anche di “promotori”, capaci di attivare l’intervento dei privati e di muoversi con essi, o tramite di questi[xlvi]. Come è accaduto nella storia della gestione di altri settori industriali, già fondamentali in Italia[xlvii] che forse solo da ultimo sembrano ricordati e menzionati positivamente[xlviii], anche nel settore della navigazione e dei porti, da molti secoli primario nel nostro Paese, i ruoli politici di vertice sembrano stati abbandonate nelle mani di organismi e burocrati europei, senza nemmeno pretendere che la gestione e il cambiamento di questo fosse deciso ed attuato in modi e tempi che non lo danneggiassero, men che mai che lo rilanciassero, che in esso fossero tutelati gli interessi italiani, innanzitutto dei lavoratori, della popolazione e del territorio.

Molti ritengano che ciò, che il distacco e il pressapochismo con cui la politica industriale è stata gestita nel nostro paese, non certo da oggi, siano espressione e prova della caduta della motivazione, preparazione e qualità della politica italiana, cosicché in mancanza di un cambiamento deciso vedono un paese senza visione, un futuro sempre più incerto.

Eliminare queste norme

Sembra opportuno quindi che la politica intervenga per evitare che quelle norme entrino in vigore, o quantomeno disponga che quelle si attuino in modo con non ostacolino questo sviluppo: queste norme infatti determinano inutilmente un grave danno al sistema marittimo europeo, che per esse dovrà affrontare costi e difficoltà che non subiscono i porti non europei, in particolare un danno al trasbordo, o transhipment. Un danno grave, una discriminazione negativa, per i porti e i sistemi marittimi del Mediterraneo europeo, italiani, e soprattutto per i porti del Sud Italia.


[i] Forse chiamarla ‘taxe carbone’, come in Francia le tasse che da oltre 5 anni hanno portato alle manifestazione dei Gilets jaunes, o, se non fosse impronunciabile per gli italiani, Brennstoffemissionshandelsgesetz (Legge sullo scambio di quote di emissioni dei carburanti) come una delle leggi contro le quali i tedeschi , in particolare agricoltori e camionisti, manifestano, per le quali parte della loro politica valuta di effettuare la restituzione col Klimageld, coi soldi per il clima; quelle leggi che (insieme coi problemi dell’Ucraina e dell’immigrazione) stanno facendo sì che  la destra di AFD sia nei sondaggi il primo partito tedesco

[ii] Alberto Rossi, segretario generale di Assarmatori e avvocato partner dello studio Advant Nctm,, L’autogol sul transhipment container rischia di far perdere completamente i traffici extra-Ue, 25 settembre 2023, in www.shippingitaly.it/2023/09/25/lautogol-dellue-sul-transhipment-container-costera-100mila-euro-in-piu-a-viaggio-per-navi-da-8-000-teu/: “l’esempio di una nave che parte da Singapore (porto non UE), scala Gioia Tauro (porto UE) e poi va ad Anversa (altro porto UE). La compagnia si troverà a pagare il 50% delle emissioni generate fra i primi due porti e il 100% di quelle fra i secondi due. Ma se lo scalo intermedio fosse a Port Said o a Tanger Med, ecco che anche sulla seconda tratta pagherebbe il 50%. La differenza – scrive il segretario generale di Assarmatori – per una nave di medie dimensioni di circa 8000 TEUs di portata è di circa 100 mila euro a viaggio (su un totale di 450 mila euro a viaggio). Le navi impegnate su questi trade sono migliaia, circostanza che porta il gap competitivo a decine di milioni di euro all’anno”.

[iii] Gli effetti della direttiva sul sistema di scambio delle quote di emission. Porti europei di transhipment a rischio tracollo. Redazione Port News, 14 settembre 2023

[iv] Gli effetti della direttiva sul sistema di scambio delle quote di emission. Porti europei di transhipment a rischio tracollo, cit.

[v] Paola Marone, Paola Marone, Crisi Canale di Suez. Ripercussioni sul Made in Italy, Centro Sud 24, 17 1 2024

[vi] Pur se le vicende della politica internazionale, con conflitti e sanzioni, avevano aumentato e reso più evidente l’importanza della marineria e dei porti italiani, i nostri scali hanno avuto le luci del palcoscenico da quando l’economia globale è stata caratterizzata da shock economici senza precedenti mettendo sotto gli occhi di tutti l’importanza della portualità italiana. Rileviamo che ciò ha portato ad una consapevolezza che il porto non è solo un’infrastruttura che ospita navi, passeggeri e merci, ma è un patrimonio che vuole, anzi deve essere competitivo con la riscoperta della blue economy quale elemento centrale dello sviluppo economico. Audizione di Assoporti, del 3 ottobre 2023, alla IX Commissione Trasporti della Camera dei Deputati

[vii] Situazione analoga, ma peggiore, rispetto al disastro accaduto quando il 23 marzo 2021 la gigantesca portacontainer “Ever Given”, della compagnia Ever Green, si era incagliata nel Canale di Suez, che aveva portato a bloccare <<il percorso più economico tra l’Asia e l’Europa, una scorciatoia normalmente attraversata dal 30% dei container, 10% delle merci e il 4,4% del greggio mondiale. Nel 2019, per esempio, il Canale ha visto il transito di circa 18.800 navi (+3,9% rispetto al 2018), pari a circa il 12% del traffico commerciale mondiale, che significa il passaggio di 1,03 miliardi di tonnellate di merci (+4,9% rispetto al 2018) e assicura all’Egitto un ricavo per i diritti di transito pari a circa 6 miliardi di Euro all’anno6. Le conseguenze del blocco sono disastrose, con centinaia di navi mercantili (soprattutto petroliere) che sono in attesa del transito. Ciò ha avuto un immediato riflesso sui costi dei prodotti derivati dal petrolio. Il danno che subiremo è notevolissimo, sia nel breve che nel lungo termine. Il transito nel Canale e la presenza (sosta e sbarco/imbarco merci) delle grandi navi mercantili è infatti determinante per la sopravvivenza e lo sviluppo dei porti del Mediterraneo centrale e orientale. Molte navi si sono già organizzate per evitare l’imbuto del Mar Rosso e stanno circumnavigando il Capo di Buona Speranza, anche se ciò allungherà il viaggio di 5.200 miglia nautiche (circa 9.600 km), per circa 7-12 giorni di navigazione in più rispetto al passaggio da Suez. Ciò accresce significativamente le spese per la compagnia armatrice ed espone le navi a un maggiore rischio di attacco da parte dei pirati, molto attivi nell’area sud-orientale del continente africano e nel Golfo di Guinea, anche se la presenza continuativa di dispositivi navali militari multinazionali (tra cui due unità della Marina Militare italiana) ne ha ridotto notevolmente l’efficacia. Il periplo africano potrebbe tuttavia indurre le grandi navi a non entrare nel Mediterraneo e a effettuare soste in Portogallo o, al massimo in Spagna (Barcellona, Valencia) per scaricare le loro merci, che da quei porti ripartirebbero per la consegna “al dettaglio” nel resto del Mediterraneo a bordo di navi mercantili decisamente più piccole. Il significativo calo di traffico merci diretto, per esempio, verso la Mitteleuropa attraverso i porti del meridione d’Italia o Genova, Livorno, Trieste, dovuto a ritardi o cancellazioni è capace di causare un danno all’economia nazionale calcolabile, nel breve termine, in qualche miliardo di Euro. Un danno che si aggiungerebbe a quello già enorme causato dalla pandemia e che rischia di frenare significativamente la ripresa, che sembrava essere alle porte.Per quanto riguarda l’aspetto economico più a lungo termine, nel caso in cui la situazione non venisse risolta rapidamente, la crisi potrebbe provocare – in un contesto di elevatissima concorrenza mondiale – la perdita di alcuni mercati, per effetto dell’impossibilità di contenere l’aumento dei prezzi dovuto alle maggiori spese di trasporto. Il significativo rincaro dei costi delle merci potrebbe dapprima comprimere la domanda e poi estinguerla, magari a favore di merci di minore qualità ma prodotte da concorrenti più cinici o sostenuti da un’economia nazionale in grado di sopperire economicamente alle lacune produttive dei propri imprenditori. Si tratta, quindi, di danni che potrebbero diventare anche politici, se protratti nel tempo.

Renato Scarfi,  L’importanza economica e geopolitica del Canale di Suez, 29/03/21, in www.difesaonline.it/geopolitica/analisi/limportanza-economica-e-geopolitica-del-canale-di-suez

[viii] Osvaldo De Paolini, Ecco perché l’economia italiana rischia di incagliarsi a Suez tra ritardi e nuova inflazione. Centro Sud 24, 17 Gennaio 2024

[ix] Francesca Galici, Attacco a una nave Usa nel Mar Rosso. Gli Houthi: “Siamo stati noi”. Centro Sud 24, 17 Gennaio 2024: Un incremento nell’ordine di decimi ha ripercussioni enormi sui costi di assicurazione, che per una nave del valore di 100milioni di dollari, valore medio di una grande nave che solca gli oceani di tutto il mondo, è aumentato dai 10.000 dollari per viaggio agli attuali 700mila dollari. Cifre enormi che nessuna compagnia è disposta ad accordare per un’assicurazione

[x]   CDP Think thank, I porti italiani possono ancora essere strategici? 19 ottobre 2020, www.cdp.it/resources/cms/ documents/Sistema%20portuale%20italiano.pdf.

[xi] V. il Rapporto Svimez 2023

[xii] L’art. 4, comma 2 del D.L. 91/2017 definisce le ZES: “…una zona geograficamente delimitata e chiaramente identificata, situata entro i confini dello Stato, costituita anche da aree non territorialmente adiacenti purché presentino un nesso economico funzionale, e che comprenda almeno un’area portuale con le caratteristiche stabilite dal regolamento UE n. 1315 dell’11 dicembre 2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, collegata alla rete transeuropea dei trasporti (TEN-T). Per l’esercizio di attività economiche e imprenditoriali le aziende già operative e quelle che si insedieranno nella ZES possono beneficiare di speciali condizioni, in relazione alla natura incrementativa degli investimenti e delle attività di sviluppo di impresa“.

[xiii] Le ZLS offrono semplificazioni fiscali e burocratiche, ma a differenza delle Zone Economiche Speciali (ZES) nel Sud, non includono il credito d’imposta per gli investimenti1. Le ZLS possono essere istituite con un DPCM su proposta della Regione interessata, per una durata massima di 7 anni, rinnovabile fino a un massimo di ulteriori 7 anni1. All’interno delle ZLS, sia le nuove imprese che quelle già esistenti possono beneficiare di procedure semplificate

[xiv] che comprende i territori delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia, Sardegna e che sostituisce le attuali Zone economiche speciali frammentate in 8 diverse strutture amministrative, creando così un ambito territoriale nel quale l’esercizio di attività economiche e imprenditoriali da parte delle aziende può beneficiare di speciali condizioni in relazione agli investimenti e alle attività di sviluppo d’impresa …[che] avrà un forte collegamento con lo sviluppo portuale e logistico del Mezzogiorno, essendo un’iniziativa varata per accogliere aziende import-export oriented che, quindi, hanno forti esigenze di movimentare le proprie merci per raggiungere i mercati di riferimento/approvvigionamentoAlfonso Mignone, Zes unica: quali opportunità per i porti meridionali? Porti e Zes, 6 Gennaio 2024, ove la ZES può far crescere l’export di un territorio fino al 4% aggiuntivo medio annuo e il traffico portuale container dell’8,4%; numeri di tutto rispetto che potrebbero dare un contributo importante alla nostra economia. Inoltre, questi strumenti sono ritenuti strategici anche dal PNRR che ha messo a disposizione una somma di 630 milioni di euro per sviluppare l’infrastruttura logistica, stradale e ferroviaria dei territori compresi nella ZES.

[xv] Luigi Fiaccola, Zona economica speciale unica. Stanziati 1.800 milioni di euro per il 2024, 08 Gennaio 2024, www.directio.it/News/Details/9586/zona-economica-speciale-unica-stanziati-1800/?from=paper

[xvi] Il caso più evidente è forse quello dei modi e tempi decisi in Europa per, a eliminazione di auto e macchine a motore endotermico, settore nel quale il nostro paese è tra quelli all’avanguardia e dispone di eccellenze, per attuare una rivoluzione imposta in modo brutale e irrazionale, prevedendo tempi che non consentono un processo di modifica non dannoso; così che molti operatori scompariranno, potranno fare la fine dello stabilimento di Crevacore della Magneti Marelli di componentistica per auto a motorizzazione tradizionale, e saranno sostituiti da altri, stranieri, che utilizzeranno tecnologie e sistemi non italiani.

[xvii] Achille Pierre Paliotta, ‘Greener shipping: l’ineludibile transizione ecologica nel settore marittimo,. 18 novembre 2022, https://www.agendadigitale.eu/smart-city/greener-shipping-lineludibile-transizione-ecologica-nel-settore-marittimo/

[xviii] Piers Corbyn, Man-Made Climate Change Does not Exist! https://readingunidebating.wordpress.com/

[xix] Piers Corbyn, Man-Made Climate Change Does not Exist!, cit.

[xx] Sylvie Brunel, docente alla Sorbona, in Développement durable, ha messo in discussione il concetto stesso di impronta ecologica, chiarendo come il calcolo che ne è alla base”misconosce tutte le acquisizioni del progresso tecnico, riposa su delle basi altamente discutibili, la cui caratteristica è di penalizzare sistematicamente tutte le attività legate alla modernità“. Inoltre, “quando un dato non entra nel suo sistema di calcolo, l’impronta ecologica non ne tiene conto, molto semplicemente. Pensiamo all’energia nucleare: impossibile calcolare il numero di ettari bioriproduttivi necessari per compensare l’energia nucleare. Dunque non se ne tiene conto!“. V. anche il suo successivo “Toutes ces idées qui nous gâchent la vie. Alimentation, climat, santé, progrès, écologie…“.

Et si l’empreinte écologique était complètement bidon…

[xxi] come invece in Does the shoe fit? Real versus imagined ecological footprints Linus Blomqvist , Barry W. Brook, Erle C. Ellis, Peter M. Kareiva, Ted Nordhaus e Michael Shellenberger, lo qualificano: L’impronta ecologica ha tanto valore scientifico quanto l’astrologia, la frenologia e le teorie della terra piatta. È tempo di trattare l’impronta ecologica come la teoria pseudoscientifica che è.

[xxii] Come denunciato reiteratamente da scienziati e premi Nobel: già da Ivar Giaever, Nobel per la Fisica nel 1973, che si è dimesso dall’American Physical Society per la sua eterodossia: “Va bene discutere se la massa del protone cambia nel tempo ma le prove del riscaldamento globale sarebbero incontrovertibili? E’ una nuova religione”, e che dichiara: “A mio parere, non esiste una vera crisi climatica. C’è, tuttavia, un problema molto reale nel fornire uno standard di vita dignitoso alla numerosa popolazione mondiale e una crisi energetica associata. Quest’ultimo viene inutilmente esacerbato da quella che, a mio avviso, è una scienza del clima errata. … La narrativa popolare sul cambiamento climatico riflette una pericolosa corruzione della scienza che minaccia l’economia mondiale e il benessere di miliardi di persone. La fuorviante scienza del clima si è trasformata in una massiccia pseudoscienza giornalistica scioccante. A sua volta, la pseudoscienza è diventata un capro espiatorio per un’ampia varietà di altri mali non correlati“. Da John Clauser, premio Nobel per la Fisica 2022: <<I fatti sono che negli ultimi 100 anni abbiamo misurato le temperature e queste sono salite di 0,8°C mentre tutto è migliorato nel mondo. Come possono dire che stiamo peggiorando la situazione se non abbiamo prove? Viviamo più a lungo, con una salute migliore, è praticamente migliorato tutto. Direi che il riscaldamento globale è fondamentalmente un non-problema. Basta lasciarlo fare da solo e si prenderà cura di sé. … Diventa difficile per me capire il motivo per cui quasi tutti i governi in Europa, ad eccezione del governo polacco, sono preoccupati per il riscaldamento globale. Questa è soltanto una questione politica. …Finora abbiamo lasciato un mondo più in forma rispetto a quando siamo arrivati, e questo continueremo a farlo con una sola eccezione, dobbiamo smettere con gli enormi sprechi, con questo voglio dire che enormi quantità di denaro sono sprecati per la questione del riscaldamento globale. Dobbiamo farlo, altrimenti faremo un passo indietro. La gente pensa che sia sostenibile, ma non lo è.>> Dal padre della elettrodinamica quantistica, Freeman Dyson, che lamentò cheSe non sei d’accordo con l’opinione della maggioranza sul riscaldamento globale, sei un nemico della scienza.  … Esiste una religione laica in tutto il mondo che possiamo chiamare ambientalismo”. che denunciò anche come sia stato (e come è) “irresponsabile manipolare l’opinione pubblica e attizzare il timore di un’imminente catastrofe climatica tra la popolazione”. In un appello di cinquecento scienziati, inclusi sessantadue premi Nobel (tra i quali Manfred Eigen, Jean-Marie Lehn e Christian B. Anfinsen, tutti Nobel per la Chimica, Philip Anderson, Nobel per la Fisica, i Nobel per la Medicina Julius Axelrod, Baruj Benacerraf e Rita Levi Montalcini, Nobel 1986) già nel 1992. Ne la ’European Climate Declaration’  inviata all’Onu, firmata finora da più di 1600 scienziati, tra cui altri premi Nobel, e uomini di cultura: There is no climate emergency. Climate science should be less political, while climate policies should be more scientific. Scientists should openly address uncertainties and exaggerations in their predictions of global warming, while politicians should dispassionately count the real costs as well as the imagined benefits of their policy measures (https://clintel.org/wp-content/uploads/2023/02/WCD-version-02182311035.pdf). Da Antonio Zichichi: “L’inquinamento esiste, è dannoso, e chiama in causa l’operato dell’uomo. Ma attribuire alla responsabilità umana il surriscaldamento globale è un’enormità senza alcun fondamento: puro inquinamento culturale. L’azione dell’uomo incide sul clima per non più del dieci per cento. Al novanta per cento, il cambiamento climatico è governato da fenomeni naturali dei quali, ad oggi, gli scienziati non conoscono e non possono conoscere le possibili evoluzioni future. Ma io sono ottimista. In nome di quale ragione si pretende di descrivere i futuri scenari della Terra e le terapie per salvarla, se ancora i meccanismi che sorreggono il motore climatico sono inconoscibili? Divinazioni ! Perché molti scienziati concordano sul riscaldamento globale dovuto all’attività umana? Perché hanno costruito modelli matematici buoni alla bisogna. Ricorrono a troppi parametri liberi, arbitrari. Alterano i calcoli con delle supposizioni per fare in modo che i risultati diano loro ragione. Ma il metodo scientifico è un’altra cosa”. Il Mattino”, 2017. Da altri premi Nobel, come Kary Banks Mullis, premio per la chimica del 1993, che affermava che le teorie sul cambiamento climatico sarebbero state promulgate come una forma di racket da parte di ambientalisti, agenzie governative e scienziati che tentano di preservare le loro carriere e guadagnare denaro, che la climatologia sarebbe ’a joke’ (V. Conferenza <<‘Climatology is ‘a joke’>> https://www.youtube.com/watch?v=Y1FnWFlDvxE). Da Carlo Rubbia, Nobel per la fisica 1984, Bakerian Medal and Lecture – Royal Society, Global Energy Prize for Conventional Energy, Dirac Medal, che, rilevata la naturale variabilità del clima, della temperatura, propone il cambiamento del sistema energetico con trasformazione del gas naturale senza CO2. www.youtube.com/watch?v=THSeL2QkvYo

Poche voci della vera scienza affermano invece circa le questioni climatiche quanto è purtroppo ormai stato acriticamente accettato dalla politica, mentre, soprattutto, non sono mostrate prove scientifiche condivise che dimostrino che l’uso dei combustibili fossili determini un danno determinante all’ambiente mentre ancora da più parti, da altri studiosi ed accademici si sostiene che è documentato che non esiste alcuna correlazione tra l’aumento della anidride carbonica e le fasi climatiche registrate nello stesso intervallo di tempo dall’inizio del periodo industriale (1980) a oggi, che anzi Si può così affermare che «La Natura, non l’attività dell’Uomo, governa il clima» (Singer et al. 2008). (Uberto Crescenti, Contributo delle scienze geologiche alla conoscenza delle variazioni climatiche del passato, in  AA.VV..  Dialoghi sul clima, a cura di Alberto Prestininzi, Rubbettino Editore. Edizione del Kindle, 2022).

[xxiii] Cosa c’è davvero dietro l’ascesa dell’ambientalismo apocalittico? Ci sono potenti interessi finanziari. Ci sono desideri di status e potere. Ma soprattutto c’è un desiderio di trascendenza tra le persone presumibilmente laiche. Questo impulso spirituale può essere naturale e sano. Ma predicando la paura senza amore e la colpa senza redenzione, la nuova religione non riesce a soddisfare i nostri più profondi bisogni psicologici ed esistenziali.” In una presentazione di Michael Shellenberger, Apocalypse Never. Why Environmental Alarmism Hurts Us All.

[xxiv] OECD Statistics Working Papers 2023/04 CO2 Emissions from global shipping – a new experimental database. www.oecd-ilibrary.org. Nel 2020 le emissioni di gas a effetto serra associate a questo settore industriale erano state stimate in 940 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, pari a circa il 2,5% delle emissioni globali di gas serra; che esse erano già inferiori a quelle del settore dell’aviazione e pari a circa un settimo circa delle emissioni totali del trasporto stradale. Shipping Italy, 26 agosto 2920.

[xxv] Relazione speciale della Corte dei conti europea presentata in virtù dell’articolo 287, paragrafo 4, secondo comma, del TFUE.

[xxvi] https://www.wto.org/english/tratop_e/envir_e/climate_change_e.pdfThe multilateral trading system and climate change: Indeed, some studies conducted on the “carbon mileage” of traded goods have shown that the effect can be the opposite of what is commonly believed. For instance, it has been argued that Kenyan flowers air-freighted to Europe would generate less CO 2 emissions than flowers grown in the Netherlands; or New Zealand lamb transported to the United Kingdom would generate 70 per cent less CO 2 than lamb produced in the United Kingdom. Therefore, food miles may be an issue in need of case-by-case analysis, and empirical verification. Così traducibile in Infatti, alcuni studi condotti sul “carbon mileage” dei beni scambiati hanno dimostrato che l’effetto può essere l’opposto di quello che comunemente si crede. Ad esempio, è stato sostenuto che i fiori kenioti trasportati per via aerea in Europa genererebbero meno emissioni di CO 2 rispetto ai fiori coltivati nei Paesi Bassi; o l’agnello neozelandese trasportato nel Regno Unito genererebbe il 70% in meno di CO 2 rispetto all’agnello prodotto nel Regno Unito. Pertanto, le miglia alimentari possono essere un problema che necessita di un’analisi caso per caso e di una verifica empirica. Infatti, alcuni studi condotti sul “carbon mileage” dei beni scambiati hanno dimostrato che l’effetto può essere l’opposto di quello che comunemente si crede. Ad esempio, è stato sostenuto che i fiori kenioti trasportati per via aerea in Europa genererebbero meno emissioni di CO 2 rispetto ai fiori coltivati nei Paesi Bassi; o l’agnello neozelandese trasportato nel Regno Unito genererebbe il 70% in meno di CO 2 rispetto all’agnello prodotto nel Regno Unito. Pertanto, le miglia alimentari possono essere un problema che necessita di un’analisi caso per caso e di una verifica empirica

[xxvii] Emission Trading | Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (mase.gov.it)

[xxviii] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32023L0959

[xxix] Così Alberto Rossi, intervistato da Giuseppe Lo Re  nella Gazzetta del Sud, 29 Settembre 2023

[xxx] Con l’aumento dei costi del trasporto marittimo risultante dall’estensione della direttiva 2003/87/CE alle attività di trasporto marittimo, in assenza di una misura mondiale basata sul mercato, sussiste un rischio di elusione. Gli scali«elusivi» in porti al di fuori dell’Unione e il trasferimento delle attività di trasbordo verso porti al di fuori dell’Unione non solo ridurranno i benefici ambientali dell’internalizzazione del costo delle emissioni generate da attività di trasporto marittimo, ma possono anche comportare emissioni aggiuntive a causa della distanza supplementare percorsa per eludere le prescrizioni della direttiva 2003/87/CE. È pertanto opportuno escludere dalla definizione di «porto di scalo» alcune soste in porti non dell’Unione. Tale esclusione dovrebbe essere rivolta ai porti situati nelle vicinanze dell’Unione, dove il rischio di elusione è maggiore. Un limite di 300 miglia nautiche da un porto sotto la giurisdizione di uno Stato membro costituisce una risposta proporzionata a tale comportamento elusivo, che bilancia l’onere supplementare e il rischio di elusione. Inoltre, l’esclusione dalla definizione di porto di scalo dovrebbe applicarsi solo alle soste delle navi portacontainer in alcuni porti non dell’Unione, laddove il trasbordo di container rappresenta la maggior parte del traffico di container. Per tali spedizioni il rischio di elusione, in assenza di misure di mitigazione, consiste anche in uno spostamento della piattaforma portuale verso porti al di fuori dell’Unione, aggravando gli effetti dell’elusione. Per garantire la proporzionalità della misura e fare in modo che questa conduca alla parità di trattamento, è opportuno tenere conto delle misure in vigore nei paesi terzi che hanno un effetto equivalente a quelle della direttiva 2003/87/CE.

[xxxi] Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.

[xxxii] https://eur-lex.europa.eu/IT/legal-content/glossary /eu-tax-policy.html,

[xxxiii] Maria Rosaria Salzano, Dazi doganali e regole della WTO: Usa contro Ue e Cina, 29/09/2019, https://www.iusinitinere.it/dazi-doganali-e-regole-del-wto-guerra-commerciale-usa-ue-e-cina-11811

[xxxiv] Alla concorrenza dei grandi porti del Northern Range, si è infatti aggiunta l’agguerrita competizione non solo dei porti del Mediterraneo occidentale, ma anche di quelli del Nord Africa e dell’East Med, che negli ultimi anni hanno sperimentato una rapida ascesa. Tra questi, spiccano nel segmento container, il porto del Pireo (+18,4% di TEU), quello di Algeciras (+8,7% di TEU) e il Tanger Med (+4,8% di TEU). CDP Think thank, I porti italiani possono ancora essere strategici? Cit.

[xxxv]  In custodia temporanea è assicurata la vigilanza doganale delle merci, in quanto sono immagazzinate in un deposito autorizzato di custodia temporanea o in qualsiasi altro luogo designato o approvato e controllato dall’ufficio doganale in cui le merci sono presentate. (taxation-customs.ec.europa.eu/customs-4/customs-procedures-import-and-export-0/customs-procedures/temporarystorage_en?prefLang=it&etrans=it)

[xxxvi] Paola Marone, Crisi Canale di Suez. Ripercussioni sul Made in Italy, cit.

[xxxvii] Matteo Chimenti e Michele Dal Dosso, Analisi dell’evoluzione del transhipment: strumento di supporto strategico per i policy maker del futuro Mezzogiorno d’Italia, 2015. https://www.sr-m.it/wp-content/uploads/woocommerce _uploads /2015/09/rs-evoluzione-transhipment.pdf.

[xxxviii] Roberto Occhiuto, presidente della Regione Calabria, intervenendo al Forum “Verso Sud: La strategia europea per una nuova stagione geopolitica, economica e socioculturale del Mediterraneo“, 20 Maggio 2023.

[xxxix] tipo di trasporto che si attua con un complesso insieme di diverse modalità, azioni e procedure di trasferimento di contenitori (sbarco/reimbarco), da nave a nave (“via transhipment”) o, più spesso, da nave a terra e quindi da terra ad altra nave, per giungere poi al destinatario finale

[xl] V. Matteo CHIMENTI e Michele DAL DOSSO, op.loc. cit.,

[xli] Relay”: prevede l’intersezione presso un hub di grandi dimensioni di traffici movimentati lungo le rotte di pari livello. Generalmente il modello relay viene adottato per ottimizzare il load factor delle grandi navi portacontainer e coinvolge servizi operativi sulle rotte Est-Ovest con quelli operativi sulle rotte Nord-Sud;

• “Interlining”: si realizza con l’incrocio di servizi paralleli su scali portuali comuni a tutti. Solitamente, l’adozione di questo modello presuppone consorzi o alleanze fra shipping company che, scambiando i carichi in coincidenza dei porti di intersezione, sono in grado di ampliare la propria offerta di trasporto di linea.

Matteo CHIMENTI e Michele DAL DOSSO, op. loc. cit.

[xlii] Nel 2016 la quota di mercato assorbita da questo porto nella movimentazione di container nei porti Italiani è stata pari al 26% del totale nazionale (poco più di 9.7mln di TEUs, seguito dal porto di Genova, 21,7% e da quello di Marina di Carrara, 12%).

[xliii] Rosella Cerra, Gioia Tauro. Record ed espansione del porto. Nonostante l’ETS e l’insuccesso della politica, Centrosud 24, 31 Dicembre 2023

[xliv] Paola Marone, Crescita sostenibile del settore edilizia: un progetto industriale nazionale e un regime fiscale efficiente e flessibile tra i punti chiave https://www.ingenio-web.it/articoli/paola-marone-dichiara-l-impegno-di-federcostruzioni-nella-sfida-per-il-made-in-italy-innovazione-e-sostenibilita-al-centro-del-futuro-delle-costruzioni/

[xlv] «La tassazione sui percorsi più lunghi favorirà inevitabilmente le tratte brevi, come quelle che passano per Gioia Tauro. Fino ad oggi le lunghe tratte sono state preferite soprattutto per la presenza di paradisi fiscali, che questa destra non ha mai voluto combattere, come nel caso del porto di Anversa in Olanda. Con il sistema ETS viene inevitabilmente agevolato il percorso più breve come quello che passa per Gioia Tauro. Per quale ragione, viene poi da chiedersi, una nave da carico, anche per viaggi transoceanici, dovrebbe fermarsi a porti intermedi come quelli africani, se la merce che trasporta o parte di essa è destinata all’Europa?» Così il parlamentare europeo Piernicola Pedicini al Corriere della Calabria, citato da Rosella Cerra, cit.

[xlvi] Ciò soprattutto nel periodo dell’”imbroglio liberista”, del mito del mercato e, insieme, dell’unione quale controllore delle nostre vite, dell’adorazione della concorrenza quale valore unico, dell’equilibrio del bilancio quale unica certezza del futuro e del Patto di stabilità quale risurrezione, nel quale l’importante ’esperto’ del Presidente del Consiglio Mario Monti e consigliere economico del Governo Draghi, Francesco Giavazzi, sognava (forse un incubo) che In questo mondo per crescere servono creatività e flessibilità, non una politica industrialeche affida le scelte allo Stato.

Nella presentazione del libro di Pierfranco Pellizzetti e Emilio Carnevali, Liberista sarà lei! L’imbroglio dei liberisti di sinistra, si nota: “La pratica incontrollata del ‘laissez faire’ e della deregulation, con cui sono state distrutte le fondamenta dello Stato sociale e ricacciati in basso strati sempre più ampi di cittadini, ha manipolato fino a stravolgerlo il patrimonio di valori della civiltà democratica, e ha sottomesso la politica ai voleri del “dio mercato”. Un’operazione che viene da lontano, e che oggi ha conquistato e assorbito anche buona parte dello schieramento chiamato a opporvisi, e da cui deve necessariamente innescarsi il processo di ricostruzione. La sinistra”.

[xlvii] Quale l’industria automobilistica, l’automotive, sostanzialmente lasciata ormai nelle mani del gruppo Stellantis (quando nello stesso settore altri paesi europei avevano difeso i propri  interesse primari, come as es. la Germania nel caso dell’Opel,) o il siderurgico, con le confuse vicende dell’Ilva di Taranto e del complesso siderurgico di Piombino. V. Mattia Marasti,  Stellantis e Ilva, il futuro sempre più incerto dei lavoratori e un paese senza visione, 12 Gennaio 2024, https://www.valigiablu.it/stellantis-ilva-lavoratori/#quale-vuole-essere-la-politica-industriale-del-paese.

[xlviii]“Noi abbiamo fatto una battaglia, parzialmente vinta, ma che dobbiamo chiudere. Impedire di comprare e di vendere dal 2035, che è domani mattina, le auto a benzina e a diesel è una follia, è un’idiozia, non aiuta l’ambiente. Vendere solo auto elettriche è un regalo alla Cina, significa chiudere aziende in Italia e licenziare operai”.Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, ad Agorà, su Rai3, 17 1 2024.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui