Crisi agroalimentare. Proteste in tutta Europa. Fabbris: il Made in Italy è un bluff

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Nelle giornate di lunedì e martedì la protesta degli agricoltori ha paralizzato le principali arterie della Calabria, con lunghe file di trattori e mezzi agricoli. Bloccati anche tratti autostradali. Riporta l’ANSA «E’ la protesta messa in atto, dalla Sila fino a Catanzaro, dagli agricoltori calabresi per protestare contro “l’aumento sproporzionato del prezzo del gasolio agricolo e delle materie prime, la concorrenza sleale dei prodotti internazionali e le politiche dell’Unione europea che favoriscono la vendita di prodotti non salubri, come la carne sintetica”.
Nel Cosentino, i mezzi sono partiti dalla Sila per arrivare a Cosenza utilizzando la statale 107 silana-crotonese e si sono radunati a Vagliolise nei pressi della stazione ferroviaria.
 “Protestiamo per far sopravvivere il mondo agricolo”». La protesta ha coinvolto diverse altre aree della regione, in particolare la costa ionica, con cortei da Crotone fino a Steccato di Cutro.

La mobilitazione è stata indetta dai Comitati Autonomi degli Agricoltori e da altre sigle autonome, contro il caro gasolio, contro le politiche agricole dell’Unione Europea, contro il governo e gli stessi sindacati. Le proteste si sono registrate in diverse regioni d’Italia. Così dalla Sicilia, Calabria, Puglia, Campania, fino alla Toscana e all’Emilia-Romagna, anche in Italia si dimostra una dura protesta che ha avuto inizio in Francia ed in Germania.

Calabria bloccata dai trattori

Proteste in tutta Europa

La protesta, nata in Germania, ha coinvolto anche Francia, Romania e Polonia. Le motivazioni sono diverse, con sfumature alle realtà territoriali. Ma alla base vi è una critica alle stesse politiche del Green Deal: «I rappresentanti dell’agricoltura industriale lamentano maggiori oneri finanziari, standard ambientali troppo onerosi a fronte di costi più elevati per carburante, pesticidi e fertilizzanti», spiega europatoday.

Da un versante diverso si protesta contro l’inquinamento e l’uso eccessivo di pesticidi, come dichiarato sa Slow Food Germania. Insomma, una contestazione con diverse rivendicazioni, che ha raccolto e fatto esplodere un diffuso malcontento che continuerà nei prossimi giorni. intanto a giorni si attende un incontro a Bruxelles con i vertici competenti per individuare soluzioni.

Fabbris: il Mady in Italy è diventato un grande bluff

In una lunga riunione online, domenica 21 gennaio, Altragricoltura e la Confederazione per la Sovranità Alimentare, hanno espresso grave preoccupazione per un settore in crisi da decenni. Spiega Gianni Fabbris di Altragricoltura

«Le campagne italiane sono sprofondate in una crisi profondissima che viene da 30 anni di scelte politiche che hanno ridotto la funzione della nostra agricoltura”. Continua “il Mady in Italy è diventato un grande bluff. I redditi dell’agroalimentare si sono spostati dalla produzione, dal lavoro, alla finanza e alla commercializzazione”. Spiega «circa 35 anni fa l’Europa dismette le scelte strategiche che avevano portato a finanziare la funzione produttiva dell’agricoltura europea che usciva dalla guerra, quando l’Europa era affamata e aveva bisogno di cibo a buon prezzo». Precisa poi «Arriva la globalizzazione e cambia completamente la strategia europea, che sceglie di tagliare sull’agroalimentare».

Un budget che 40 anni fa era il 45% dell’intera spesa comunitaria, tagliando di più sull’agricoltura Mediterranea che su quella continentale, poiché la prima comporta molto più lavoro. «Per fare un chilo di pomodori, fragole o uva occorre più lavoro che fare un chilo di mais, patate o barbabietole» spiega ancora Fabbris. Con la delocalizzazione queste produzioni sono state spostate nel Nord Africa e nell’Est del Mediterraneo, avendo le stesse produzioni a costi enormemente più bassi. «Sono gli stessi produttori italiani europei che spostano gli investimenti finanziati dai sistemi bancari per produrre lì e importare qui».

Continua affermando che «il nostro Mady in Italy è il marchio della pasta trasformata (per fare un esempio), è l’industria agroalimentare e non certo la materia prima che c’è dentro». Insomma una crisi che le organizzazioni sindacali di categoria negano e non vedono. Poiché a riconoscerla, «dovrebbero riconoscere il loro fallimento», conclude Fabbris

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