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In genetica, l’idoneità di un organismo all’ambiente, cioè il suo valore adattativo. Si può esprimere come la probabilità con cui uno dei due alleli di uno stesso gene viene trasmesso alle generazioni successive rispetto all’altro. Questa differenza dipende dalle caratteristiche fenotipiche che l’allele produce in condizioni di omo- o di eterozigosi. Si può dare una valutazione quantitativa della f. assegnando il valore 1 a quello dei tre genotipi, AA, Aa, aa, che presenta la minima mortalità, cioè la f. più alta, e assegnando agli altri il valore relativo in funzione dell’unità, che risulta dal rapporto con la mortalità del primo. Il valore di f. può variare quindi da 0 (mortalità o sterilità totale) a 1 (valore adattativo massimo).
Le funzioni degli organismi e le condizioni dell’ambiente in cui essi vivono e anche l’atto o il processo di adattarsi, cioè di raggiungere la correlazione suddetta.
L’a. può rivestire due aspetti, a seconda che interessi il singolo individuo o una sua parte ( a. fisiologico) o una serie di individui, attraverso le generazioni ( a. genetico). L’a. fisiologico o funzionale è espressione di una facoltà, geneticamente determinata, di far variare entro certi limiti strutture e funzioni per adeguarsi al cambiamento di circostanze esterne.
Così la pelliccia dei Mammiferi è più folta e lanosa nei mesi freddi. Alcuni microrganismi elaborano determinate reazioni soltanto se vengono a trovarsi in un substrato in cui vi sia la sostanza attaccabile da tali enzimi ( a. enzimatico).
Ogni specie di esseri viventi è notevolmente idonea all’ambiente in cui vive. Di solito colpiscono di più alcuni a. particolari, come quelli alla vita parassitaria, alle acque termali o sovrassalate, e via dicendo: in realtà ogni specie rappresenta un insieme di a. più o meno perfetti e complicati.
Il problema dell’origine degli a. è uno dei più importanti della biologia. L’obsoleta concezione finalistica riteneva che la congruenza degli organismi con l’ambiente fosse dovuta a un disegno prestabilito: ogni specie è stata creata per vivere in un determinato ambiente.
La concezione evoluzionistica invece scorge nell’a. un processo attivo, per cui gli organismi si sono andati modificando a seconda delle esigenze determinate dalle variazioni dell’ambiente. Secondo l’interpretazione di Lamarck, non ammessa dalla biologia moderna perché gli esperimenti non l’hanno dimostrata, l’organismo sarebbe suscettibile di acquisire, per azione dell’ambiente, caratteri capaci di trasmettersi ereditariamente ai discendenti (ereditarietà dei caratteri acquisiti).
Così l’ambiente, con le sue variazioni, determinerebbe l’a. direttamente. Secondo l’interpretazione attuale, l’a. è il risultato di una selezione costante che varie condizioni ambientali operano sugli organismi (selezione naturale) favorendo i più idonei, quelli cioè che, in un dato ambiente, sopravvivono e si riproducono di più (➔ fitness).
La selezione naturale si esercita sulla variabilità genetica casuale determinata sia dalle mutazioni sia dalla ricombinazione genetica che si verifica alla meiosi per il riassortimento indipendente dei cromosomi e per il crossing over.
In una popolazione vi sono pertanto, a opera del caso, individui preadattati a condizioni ambientali diverse che potranno essere favoriti rispetto ad altri al mutare delle situazioni (per es., animali con occhi ridotti adatti alla vita ipogea, mosche con ali atrofizzate adatte ad ambienti ventosi ecc.).
Questa concezione dell’origine degli adattamenti per opera della selezione, derivante dalle teorie di Darwin, ha in suo favore molti dati sperimentali.