Diana Biondi: ennesimo caso di suicidio universitario

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Diana Biondi

Diana Biondi è solo l’ennesimo caso di suicidio tra gli studenti universitari da aggiungere a quelli degli ultimi mesi. Questa volta si tratta di una giovane donna di Somma Vesuviana, in provincia di Napoli. Sono in corso le indagini al fine di confermare il reale svolgimento della dinamica. Gli studenti, stanchi rivendicano sempre più un sistema universitario che li aiuti ad affrontare il percorso di studi con l’adeguato sostegno.

Diana Biondi e le bugie ai familiari sul percorso di studi: un motivo di preoccupazione troppo comune tra gli studenti italiani

Nel pomeriggio del 1 marzo è stato ritrovato il cadavere della giovane Diana Biondi. La giovane aveva 27 anni e frequentava la facoltà di Lettere Moderne all’Università degli studi di Napoli Federico II. Il corpo è stato avvistato per caso da un gruppo di giocatori di bocce.

Si erano perse le sue tracce dal giorno 27 febbraio, in cui secondo le testimonianze dei colleghi si sarebbe regolarmente recata all’università per seguire i corsi. Tuttavia, la sera Diana non è tornata a casa, dove i suoi genitori la attendevano preoccupati, la sera stessa ne hanno denunciato la scomparsa.

Avrebbe compiuto il tragico gesto nel comune di sua residenza, appendendo la borsetta alla recinzione di un ristorante chiuso da tempo e si sarebbe poi lanciata nel vuoto, in un dirupo nella zona di Santa Maria Castello.

Le indagini sono in corso, tuttavia l’ipotesi più plausibile è che la motivazione del tragico gesto sia legata al percorso universitario della ragazza. Sembrerebbe infatti non aver sostenuto alcuni esami e che addirittura non avesse pagato la retta di iscrizione. Tuttavia i familiari credevano che avrebbe dovuto discutere la tesi a breve. Tali informazioni sono attualmente in fase di verifica da parte dei carabinieri.

Altri casi di suicidio tra gli studenti: cause e conseguenze

Quello di Diana Biondi non è l’unico caso di suicidio a cui abbiamo assistito nell’ultimo periodo. Solamente pochi giorni fa una ragazza di origini sudamericane residente a Milano, diciannovenne, appena entrata nel mondo universitario e iscritta al primo anno della facoltà di Arti e turismo si è tolta la vita nei bagni dell’Università IULM di Milano, un gesto estremo, straziante e senza ritorno. Il cadavere è stato ritrovato da un custode che stava facendo il giro di apertura degli Istituti, con una sciarpa attorno al collo con l’altro capo appeso ad una porta del bagno, privo di segni di violenza. Ai suoi piedi era presente una lettera d’addio nella quale saluta parenti e amici, manifestando le sue intenzioni. Anche in questo caso i genitori avevano denunciato la scomparsa della figlia, che non aveva fatto ritorno a casa.

Nella lettera la ragazza riconduce il gesto a motivazioni personali, inoltre definisce la sua vita “un fallimento”. Porge le sue scuse, soprattutto ai genitori per averle pagato gli studi, e fa riferimento ad un esame in particolare al quale non si è mai presentata.

Questo caso è divenuto popolare sui social ed è stato particolarmente discusso proprio poiché le affermazioni della ragazza procurano sgomento. Come può essere percepita la vita un fallimento, a 19 anni? Tale domanda lascia si aggiunge ad una lunga serie ed apre un dibattito più ampio in cui è l’intero sistema scolastico e formativo ad esser messo in discussione.

In merito il rettore dell’università di Milano si è espresso cosi: “L’università deve aiutare gli studenti a credere in se stessi, dimostrando che noi docenti abbiamo fiducia in loro. Non può rinunciare alla sua missione primaria, che è quella di sviluppare in tutti l’amore per la conoscenza, essendo un luogo in cui si possa apprendere e crescere, ovvero imparare ad affrontare la vita e le sue prove. Faremo il possibile perché l’amore per la vita torni a respirare in ogni angolo del nostro campus”. Conclude il rettore, racchiudendo il significato ultimo delle riflessioni sull’argomento.

La responsabilità crescente investe gli Atenei. Disagi da non ignorare, cosa possiamo imparare

In Italia l’Istituto nazionale di statistica (Istat) stima circa 4000 suicidi all’anno, di cui oltre 500 soltanto fra gli under 34, 200 tra gli under 24. Tra i 1000 e i 1500 giovani vengono invece salvati in extremis.

“Francesco si sentiva umiliato perché non riusciva a superare un esame. Riccardo aveva mentito ai suoi genitori sulla data della laurea. Claudio era stato punito per aver copiato” altri nomi, cognomi e dichiarazioni delle famiglie sono presenti nell’esaustiva inchiesta pubblicata dal Tpi di cui riportiamo il link: https://www.tpi.it/cronaca/suicidi-studenti-uccisi-da-aspettative-inchiesta-20230217983585/.

Il collettivo universitario Cambiare Rotta dello IULM ha commentato: “Una nostra coetanea si è tolta la vita dentro la sua università. Un gesto estremo che conferma come questo modello di eccellenza sia un modello che uccide, come questo sistema sia fallimentare per gli studenti”.

Il caso di studenti universitari che si tolgono la vita costituisce ormai una vera e propria piaga sociale. In una nota ufficiale anche L’Unione degli universitari (UdU) denuncia il sistema universitario dichiarando: “Il sistema universitario è incapace di ascoltare e supportare coloro che manifestano difficoltà durante il percorso di studi, anzi, li sottopone ad uno stress continuo e a pressioni sempre maggiori. Da troppo tempo le nostre richieste vengono ignorate dalla politica, che parla di un senso distorto del merito anziché di inclusione, ascolto e supporto psicologico”

Altre dichiarazioni, questa volta provenienti da colleghe di una ragazza suicida a Milano, affermano: “ci viene chiesto perennemente di ambire all’eccellenza e ci viene insegnato che il nostro valore dipende dai voti, questo sistema continuerà ad uccidere.”

Non si può fare a meno di chiedersi quando le istituzioni decideranno di dare maggior peso a tali tragedie e di intervenire preventivamente con strumenti adeguati di supporto per gli studenti.

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