Ebrahim Raisi, 63 anni, ultra-conservatore e Presidente della Repubblica islamica dell’Iran, noto per le sue posizioni nette e repressive, è stato coinvolto in un incidente areo fatale insieme ad altri esponenti a lui vicini, tra cui il suo Ministro degli Esteri.
Noto per una moltitudine di vicende, tra le quali: l’esecuzione dei prigionieri politici del 1988 che gli hanno valso l’appellativo di “Macellaio di Teheran”, l’interruzione dei negoziati JCPOA (il cui oggetto rinviene nel nucleare iraniano) con gli Stati Uniti, le posizioni internazionali assunte nei vari attuali conflitti armati che animano il nostro globo. Oltre che per aver ricoperto ruoli essenziali all’interno del sistema giudiziale iraniano, era identificato anche come potenziale candidato per diventare la prossima Guida Suprema dell’Iran, succedendo Ayatollah Khamenei.
Cos’è successo?
Nel viaggio di ritorno dall’Azerbaigian, in seguito ad un’inaugurazione di una diga, il convoglio aereo del Presidente è stato costretto ad effettuare un atterraggio d’urgenza a causa di, probabili, condizione metereologiche avverse. Una manovra complessa che è costata cara al veicolo su cui viaggiava il Presidente.
A ritrovare il veicolo sono stati dei droni turchi attraverso sistemi di rilevazione di calore che hanno permesso di individuare la struttura area ed accertarne la morte.
La situazione oggi
Attualmente il potere sembrerebbe essere consolidato nella linea di governo, il vicepresidente iraniano assumerà lui le redini fin quando non saranno indette nuove elezioni. Non sono da escludere possibili rivolte, dal momento in cui la situazione interna già risulta lacerata e ampiamente nevralgica.
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