Economia di sottrazione o economia del bene comune: una visione sulla “Megamacchina”.
di Vito Umberto Vavalli
La scienza triste, la decrescita felice e la Megamacchina
Secondo una celebre affermazione di Thomas Carlyle, filosofo e saggista scozzese dell’800, l’economia è una scienza triste. Che il motivo fosse all’epoca la sua contrarietà all’abolizione della schiavitù o le posizioni di Thomas Malthus, pessimista per antonomasia che prevedeva una condizione di crescenti ristrettezze dei popoli della Terra per l’aumento demografico, resta il fatto che la necessità di fare i conti con la limitatezza delle risorse quando ci si confronta con i budget per finanziare progetti o per gestire entrate e uscite della famiglia, è semplicemente ineludibile.
Il rapporto tra quanto desiderato e le effettive disponibilità di mezzi è un problema che Stati, imprese e cittadini affrontano quotidianamente, con gradi di tristezza più o meno elevati.
La teoria dello sviluppo si scontra con il dissidio, apparentemente insanabile, tra i limiti contenuti nel primo rapporto del Club di Roma (opinabile ma segnaletico) e le evidenze di bisogni crescenti della popolazione mondiale, il cui soddisfacimento sta incidendo da oltre mezzo secolo sulla capacità di rigenerazione delle risorse naturali. È infatti del 1971 l’esordio dell’Earth overshoot day, posizionato al 25 dicembre di dell’anno, che misurò l’eccesso di consumi dell’umanità rispetto alla capacità del Pianeta di rigenerarne; da quel giorno fino alla fine dell’anno i consumi corrispondono ad una sottrazione di risorse alle future generazioni. Nel 2022 la data fu il 1° agosto, vale a dire, in termini di sostenibilità, utilizzo di risorse pari alla disponibilità di 1,7 Pianeti. Che si tratti di una misura approssimativa è indubitabile; in costanza di metodologie di calcolo e di rilevazione delle grandezze, sembra tuttavia interessante valutare la tendenza del quadro che ne deriva.
L’obiezione di mancata inoppugnabile dimostrazione scientifica nulla toglie all’opportunità di esercitare il ‘principio di precauzione’ o di un approccio euristico al tema. Data la posta in gioco, si tratterebbe, semmai, di invertire l’onere della prova. Non sarà poi un caso che più confessioni religiose, interpreti di una coscienza diffusa, convergono sulla necessità di avere cura del Creato, come accoratamente esortato in Laudato si’.
Dinanzi ai dilaganti effetti perniciosi di funzionalismo, neoliberismo, globalismo e turbocapitalismo, sono emerse (talora con un certo seguito) correnti di pensiero alternative o in opposizione a quelle di mainstream, tra cui l’economia civile, la bioeconomia, l’economia dei beni relazionali, la sociobiologia, l’economia dei beni comuni e la teoria della decrescita.
L’intento dell’articolo è di avviare con le Lettrici e i Lettori di questa testata giornalistica, libera e indipendente, una dialettica utile ad introdurre nello scenario sociale, economico e politico elementi che solitamente sono fuori dall’ambito delle riflessioni più frequentate.
Partiamo da una prima considerazione sulla decrescita, che qui in Italia ha avuto l’aggiunta di “felice” per mano di Maurizio Pallante, in verità assente dalla proposta iniziale di Serge Latouche, il quale peraltro oggi si definisce obiettore della crescita sregolata, e vedremo più avanti cosa quest’ultimo aggettivo identifica.
L’idea originale muove dalla critica all’ideologia del produttivismo e del consumismo, pressoché un pensiero unico a livello globale che, in concreto, si pone essenzialmente l’obiettivo di evidenziare le fallacie dell’imperante sistema di mercato capitalistico, fondato sul paradigma estrattivo. Cerca e prospetta visioni di progresso (‘sviluppo’ è termine rigettato per il sotteso fuorviante contenuto ideologico) che puntano in direzioni meno problematiche sia per la biosfera (non per il Pianeta, come spesso si afferma erroneamente) sia per la condizione umana, in media, tutt’altro che felice.
Per Latouche, poiché l’economia capitalista detta le regole, opera il controllo della tecnologia e sospinge alla globalizzazione, rende governabile la razionalizzazione di quasi ogni dimensione del vivere umano, scomponendolo in unità calcolabili; difatti, «… poiché́ la tecnica è diventata l’ambiente dell’uomo moderno, è quest’ultimo che deve adattarsi a lei (e non lei a lui); essa costituisce il suo quadro di vita» (La Megamacchina. Ragione tecno-scientifica, ragione economica e mito del progresso. Saggi in memoria di Jacques Ellul, 1995, p. 124). Non si tratta di affermazioni del tutto nuove, sebbene risultino oggi rafforzate nella loro sistematizzazione scientifica in quanto arricchite dalle analisi e dalle evidenze statistiche degli ultimi cinquant’anni. Basta rileggere “L’Uomo a una dimensione” (Herbert Marcuse, 1964) o quelle di altri autori che partendo da vari ambiti delle scienze umane – e non solo, visti almeno un paio di lavori di Orwell, per non parlare degli innumerevoli romanzi di fantascienza – hanno preconizzato scenari distopici, che oggi alcuni storici, leggendo i processi in atto, definiscono come Capitalesimo o Neofeudalesimo. Forse l’opera cinematografica che meglio riesce a trasmettere il senso del mondo in cui viviamo è Matrix (1999); se in quella raffigurazione metaforica traducessimo l’energia proveniente dai corpi incapsulati in moneta, avremmo capito con buona approssimazione al vero come avviene l’estrazione di valore dall’esistenza delle persone e dall’ambiente; ancor più ora che si cominciano ad intravedere le implicazioni dell’intelligenza artificiale e della prossima altrettanto pregnante Rete quantistica.
La struttura dei poteri forti e la disaffezione dell’elettorato al voto
Ma, a mio sommesso avviso, i cittadini cominciano ad avvertire la distanza sempre più marcata tra cura del bene comune – la quale sola giustifica la delega in una democrazia rappresentativa aderente al dettato costituzionale e volta all’effettività nella gestione della res pubblica – rispetto alla struttura dei poteri.
In estrema sintesi, l’assetto odierno è così schematizzabile:
1. la moneta e il connesso credito, nativamente beni comuni, sono totalmente asserviti a logiche bancarie, fuori da qualsiasi controllo degli elettori. Poiché la produzione e la circolazione della moneta e la disponibilità e allocazione del credito si basano esclusivamente sull’incorporazione di fede pubblica, fiducia e speranza, e non esiste nessuna Carta costituzionale dei Paesi OCSE che ne preveda la sovranità in capo alle nazioni, coloro che guidano le scelte in questo settore controllano pro domo proprio una parte preponderante della vita di cittadini e aziende;
2. le regole e i disciplinari per la produzione, distribuzione e somministrazione dei beni e di buona parte dei servizi (a partire dagli alimenti per arrivare all’energia e ai servizi idrici, passando per quasi tutto il resto), sono codificate da organismi che rispondono di fatto alle multinazionali, le quali governano in modo gentile, ma fermo gli enti di normazione tecnica;
3. i protocolli clinici e farmacologici sono oramai indirizzati per strani quadri giuridici ad essere appannaggio del’OMS, altro organismo di matrice prevalentemente privata per l’asservimento di un altro bene comune, la salute, che non prevede nessun istituto democratico di guida, sorveglianza o supervisione.
Ma come, non ci sono la Costituzione, le leggi, il Parlamento, il Governo e le authority? dirà qualcuno, sottovalutando l’operare intrusivo di schemi, variamente articolati, basati sull’azione delle lobby che puntano programmaticamente alla ‘Cattura del regolatore’.
A mio giudizio, è partendo da questi elementi che diviene chiara e ragionevole la disaffezione dell’elettorato verso le urne: in verità, rimane ben poca cosa su cui esercitare realmente il libero arbitrio, salvo esprimersi per lo più in termini di bandiere, casacche e connesse tifoserie su quel che resta. Il che, ovviamente, significa ottundere le intelligenze, che d’altronde non è in quest’ambito che sono più di tanto richieste. A ben vedere, le qualità personali più ricercate sono altre. Non a caso, i plutocrati definiscono coloro che partecipano oggi al censo politico con un appellativo assai eloquente: clown.
La “Tragedia dei beni comuni” , le coscienze alterate e la megamacchina
Ma veniamo al tema della ‘sregolatezza’ accennato con riferimento a quanto sostenuto da Latouche, e non solo da lui.
In verità, come si desume facilmente dal quadro qui appena tratteggiato, a quanto pare, è proprio attraverso le regole che vengono attuati i programmi di controllo della società.
Il punto è però che sottraendo alla collettività il potere di orientare alla cura del bene comune la politica – assoggettata ad obiettivi di PIL, spread e al vincolo di bilancio, funzionali alla ‘Megamacchina’, ma palesemente incoerenti con il benessere dei cittadini –, si svolge per intero quella che si definisce in dottrina ‘Tragedia dei beni comuni’, che consente a pochi, anzi: a pochissimi, di sottrarre illegittimamente ai più risorse per natura collettive, e che per effetto di tale metodica spoliazione assumono il carattere di ‘private’, cioè tolte (nomen omen).
È nella sfera biopolitica, dunque, che mancano norme adeguate a salvaguardare il benessere dei cittadini e della società.
Che si sarebbe potuto giungere a questo esito fu illustrato con estrema lucidità da Michael Heart e Antonio Negri in “Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione” (2000); più di recente, Franco Fracassi descrive con una serie di inchieste e saggi la genesi delle dinamiche in corso di avvaloramento, che giunge a condensare in “IV Reich” (2023). In verità, nell’ultimo quarto di secolo sono stati pubblicati innumerevoli altri importanti lavori di autori che, fuori dal coro, hanno affrontato questi temi, da Tony Judt, a David Graeber, Maurizio Pallante, Ugo Mattei e a tanti altri, mossi dall’intento di valutare – da pensatori liberi – le implicazioni di tendenze sostenute dagli apparati tecnoburocratici che riguardano l’odierna esistenza dei popoli e il futuro dell’umanità.
Ovviamente, la narrazione veicolata dai mass media e dall’accademia è ben altra, giacché un sufficiente grado di omologazione è indispensabile per sopravvivere senza troppi problemi. Nell’ambito del governo dell’immaginario collettivo, la regola prevalentemente cui conformarsi ricade nell’alveo del Tittytainement, che ha sostituito e aggiornato il vetusto panem et circenses.
Conoscenza e informazione inanellano oramai con crescente velocità machiavellici esempi di torsione di questi beni comuni, indispensabili per una democrazia realizzata, ma non si tratterebbe in assoluto di una novità: da sempre sono i vincitori a scrivere la storia. Senonché, si è passati dalla dimensione fisiologica relativa a specifici eventi a quella patologica, che riguarda oramai l’esistenza quotidiana delle persone, intrisa di reality, serie televisive, social, Rete, fake news, e connesse categorie disfunzionali rispetto ad una vita autentica. È l’artificio à la carte, che imbambola e confonde le categorie del vero.
D’altronde, non gli è forse che il popolo scelse Barabba e che Giordano Bruno fu arso vivo, diversamente da Galileo Galilei che abiurò? Siamo d’accordo: spesso il tempo è galantuomo e, specie dopo la loro scomparsa, rende giustizia ai divergenti, ma storia magistra vitae, e persone disposte a diventare santi, martiri o rivoluzionari, mettendo in gioco tutto o quasi per un credo o un ideale, sono sempre state una sparuta minoranza. Non solo: talvolta possono anche servire per spettacolarizzare pantomime funzionali all’idea di una libertà in apparenza non denegata, ma, per l’appunto, solo in apparenza …
Non a caso, una delle figure più ricercate dagli apparati di potere è quella dello spin doctor, comunicatore di massa che sa come argomentare e ‘girare’ utilmente le questioni più convenientemente per definire in modo utile il percorso di modificazione della percezione di idee politiche e morali. Si tratta del procedimento noto come Finestra di Overton. Grazie all’applicazione di questa metodologia, si riescono a manipolare – con esito pressoché certo se sorretta da un’informazione addomesticata – le coscienze della maggioranza, tanto più facilmente se rese deboli da assopite capacità critiche, oramai poco o per nulla sviluppate da un’istruzione scolastica (altro bene comune asservito e traviato) coerente con gli obiettivi del sistema e, soprattutto, da una sempre più pervasiva capacità di indurre alterazioni profonde negli storytelling interiori per incidere sul basilare principio di realtà.
Siamo alla frutta e, come di norma accade, da qui a poco qualcuno ci presenterà il conto.
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