Il Pd a guida Schlein lascia più interrogativi che certezze. Sicuramente, adesso, tutti guardano a sinistra con curiosità.
Che qualcosa stesse cambiando, o che sarebbe potuta cambiare, tutti ne avevano la percezione. Le primarie del Pd sembravano un campionato di quelli strani, che qualche volta nella Serie A di calcio abbiamo visto negli anni ’90. Pronti e via c’è la corazzata, Stefano Bonaccini, Presidente dell’Emilia Romagna. Punto fermo della politica italiana, modello di buona amministrazione capace di resistere mentre l’Italia si colorava di blu. Forse proprio per questo, vista la vittoria risicata all’ultima tornata, aveva deciso di fare un salto in avanti per non rischiare più. Poi c’erano gli altri: Paola De Micheli non aveva, in tutta onestà, convinto nessuno e dai gazebo è uscita malissimo peggio di Gianni Cuperlo. Elly Schlein rappresentava il nuovo, una cosa che piace, ma partiva svantaggiata e di parecchio sotto la corazzata.
Con tanta forza di spirito, bisogna concederglielo, Elly Schlein ha convinto gli elettori, i non iscritti che però, evidentemente, votano Pd. Ne ha richiamati oltre 1 milione al voto e questo è un dato ottimo, incoraggiante. Talmente in tanti hanno votato per lei che il voto degli iscritti è stato ribaltato: Bonaccini in testa nella prima fase scala al secondo posto. Vince lei e vince il “nuovo”, che alla sinistra (ma anche alla destra) degli ultimi vent’anni piace molto.
Il Pd di Schlein vira a sinistra: diritti e lavoro ma è un punto interrogativo
Elly Schlein ha avuto grandi meriti, che poi si sono concretizzati nella sua vittoria. Si è fatta portabandiera di tutti coloro che andavano contro questo Pd incancrenito, fermo su posizioni novecentesche, e che rappresentava la sinistra solo esternamente. La Schlein resta un caso particolare: è una non iscritta al Pd, ha appoggiato il Pd e con il Pd è stata eletta deputata in questa legislatura. Di per sé è un outsider, e questo la dice lunga sul Pd in generale e sulla propria organizzazione interna.
Al di là di questo, però, la Schlein ha un’idea molto chiara ma che nel Pd non è assolutamente più maggioritaria. L’ultimo segretario veramente di sinistra è stato Pierluigi Bersani, poi il partito si è spostato sempre più al centro abbandonando i temi della sinistra classica.
La Schlein, che mette al centro il lavoro ed i diritti, dovrà lottare e riformare il partito dall’interno o finirà come Bersani nel 2013. Se c’è una cosa che insegnano queste primarie, infatti, è che gli elettori hanno voglia di sinistra, quella vera. Ora tocca al Pd reagire e devono farlo insieme, questa sarà la prima missione della Schlein.
Un punto interrogativo resta: cosa succederà in questi quattro anni? E’ chiaro che se guardiamo la mobilitazione in favore della Schlein ci sono i presupposti perché Giorgia Meloni entri, quanto meno, in apprensione. Vero, questo, quanto anche il fatto che in 4 anni di cose possono succederne: una legge elettorale ad esempio.
La futura coalizione sarà Pd – M5s, ma potrebbe non essere necessaria
Un discorso a parte, meramente politico, lo merita la questione legge elettorale e futura coalizione. Lo spostamento del Pd su posizioni simili a quelle del M5s esclude Renzi e Calenda da una possibile coalizione. Bonaccini aveva detto che, in caso di elezione, la prima telefonata sarebbe stata ai due leader del Terzo Polo. Poco male, perché la Schlein, che pure dice di voler dialogare con tutti, trova in Giuseppe Conte un possibile alleato ed un orizzonte condiviso.
Resta però da capire se le scommesse degli analisti saranno confermate. In ballo, non ce lo scordiamo, c’è la legge elettorale che potrebbe confermare le ipotesi o dissolverle. Certo se si votasse con la legge attuale non ci sarebbero dubbi, ma le possibilità che tutto rimanga com’è sono davvero poche. Prima di tutto perché i partiti di destra, attualmente al governo, già scricchiolano nelle intese e se Berlusconi resiste questa spaccatura sarà evidente. Non bisogna poi sottovalutare Matteo Salvini che è a caccia di consensi h 24 e che più si avvicinano elezioni più allenta il guinzaglio della Meloni. In sostanza, alla destra del futuro potrebbe non convenire più andare unita e quindi cambiare la legge elettorale. In quel caso, eliminate le coalizioni, M5s e Pd dovrebbero confrontarsi post elezioni e, in base alle percentuali, fare un governo ma venendo da una campagna elettorale che li ha spinti a pescare dallo stesso lago.
Certezze, per ora, ce ne sono davvero poche. Le prime prove saranno alcune regionali (tra cui la Campania) e le Europee. Lì, più che nei sondaggi, il nuovo partito di Elly Schlein, capirà quanto ha iniziato a pesare.