Il disegno di legge sull’autonomia differenziata, presentato dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, il leghista Roberto Calderoli, è stato approvato in prima lettura dal Senato e, in seguito, incardinato in commissione Affari costituzionali alla Camera.
Si sono levate diverse voci critiche e sono state espresse preoccupazioni da parte di diversi mondi: dai partiti di centrosinistra, alle associazioni civiche sino agli amministratori locali e ai presidenti di Regione. Si teme la fine dell’unità nazionale con un significativo aumento delle diseguaglianze territoriali: si prospetta un futuro prossimo nel quale l’Italia sia differenziata e ancor piu’ diseguale.
I punti critici dell’autonomia differenziata
L’autonomia differenziata consente di attribuire alle Regioni che ne facciano richiesta, seguendo un intricato iter procedurale e burocratico, la gestione di settori strategici per lo sviluppo del territorio.
Le funzioni che possono essere trasferite alle Regioni rientrano tra quelle di legislazione concorrente indicate all’art.117 Cost., tra queste troviamo certamente il settore dell’istruzione, la tutela della salute, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia così come la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
Sulla carta, il ddl Calderoli prevede la promozione di forme di autonomia più incisive che siano contemperate alla necessità di rimuovere gli squilibri sociali ed economici che sussistono tra le regioni italiane e gli enti locali ai diversi livelli di governo.
Il nodo dei Lep
Tuttavia, il processo di riforma intrapreso dal governo Meloni, si trova di fronte ad un ostacolo importante, la determinazione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) e della loro concreta attuazione: difatti, se i Lep non dovessero essere definiti con precisione e, soprattutto, non si trovassero le risorse economiche necessarie per renderle effettive, si cristallizzerebbero disuguaglianze territoriali, sociali ed economiche, creando un’Italia differenziata.
Va detto che, come previsto previsto dall’art.4 del ddl Calderoli il trasferimento delle funzioni alle Regioni, con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, avvera’ successivamente alla determinazione dei LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard, nei limiti delle risorse rese disponibili nella legge di bilancio. Il trasferimento delle risorse deve essere coerente con gli obiettivi programmati di finanza pubblica e con gli equilibri di bilancio.
Il nodo politico
Dal punto di vista politico, nella maggioranza di governo, si osservano da una parte le spinte secessionistiche di una Lega che non ha mai rinnegato il suo passato padano, dall’altra parte, invece, il partito della premier assestato storicamente su posizioni centraliste e antifederaliste.
A fronte dell’assenza di un disegno complessivo di riforma da parte del destra-centro, si corre il rischio di approvare l’ennesima riforma pasticciata che contiene meccanismi dannosi per la tenuta unitaria del Paese: con artifici legislativi, si potrebbe comunque concedere maggiore autonomia alle regioni piu’ ricche, senza la determinazione puntuale dei Lep e delle risorse sufficienti.
Tra l’altro, per rendere il meccanismo meno diseguale e’ necessario che i LEP siano finanziati attraverso il criterio dei fabbisogni standard e non tramite l’iniquo criterio della spesa storica. Infatti, esiste la concreta possibilita’ che le Regioni con bassi livelli di tributi erariali maturati nel territorio regionale possano avere maggiori difficoltà ad acquisire le funzioni aggiuntive. Questa previsione non e’ difficile da immaginare se pensiamo allo stato attuale delle regioni italiane e dalle profonde differenze, in termini di servizi e risorse, che gia oggi dividono il Mezzogiorno dal Nord, le province dalla citta’, cosi’ come il centro dalla periferia.
Crescono le proteste e le mobilitazioni
In queste settimane stanno crescendo le proteste e le mobilitazioni, in tutto il Paese, da parte di cittadini, forze politiche di opposizione ed Enti locali.
L’approvazione del ddl in Senato si e’ svolto in un clima molto teso: i senatori democratici hanno intonato l’inno di Mameli, sventolando il tricolore. Mentre dagli scranni della Lega si e’ mostrata la bandiera con il Leone di San Marco, simbolo notoriamente utilizzato dall’independentismo veneto.
Si assiste alla partecipata mobilitazione dei sindaci. L’Anci Calabria ha organizzato l’iniziativa pubblica “No alla divisione dell’Italia”. L’Anci Calabria, guidata dalla sindaca di San Giovanni in Fiore, Rosaria Succurro di Forza Italia, accusa il governo di istuzionalizzare le disuguaglianze gia’ esistenti ed esprime un netto No ad un’Italia differenziata. Il nodo da sciogliere, spiegano i primi cittadini calabresi, restano i LEP da individuare con precisione e sostenuti dalle risorse necessarie a garantire l’unita’ della Repubblica.
In lotta anche i sindacati. La Flc CGIL ha lanciato una campagna nazionale dal titolo “Stesso Paese, stessi diritti; la conoscenza non si spezza: No al disegno di legge sull’autonomia differenziata”. La Flc sostiene che “il disegno di legge del Governo minaccia l’unità d’Italia su temi fondamentali come la sanità, la mobilità e l’istruzione, già compromessa dal dimensionamento scolastico”.
Inoltre, si aggiunge alle voci critiche anche la Conferenza episcopale siciliana, assemblea dei vescovi dell’isola, che ha espresso serie preoccupazioni rispetto al progetto di autonomia differenziata.
Evitare la “secessione dei ricchi“
Con il progetto di autonomia differenziata, nel concedere maggiore autonomia alle regioni si stabilisce, almeno sulla carta, che deve essere garantita l’unità nazionale, la coesione e la solidarietà sociale, cosi come ci si propone di rimuovere gli squilibri economici e sociali attraverso misure perequative e di solidarieta’.
Tuttavia, la “strada per l’inferno e’ lastricata di buone intenzioni”, sara’ difficile evitare la secessione dei ricchi e un’Italia differenziata. Infatti, senza la copertura dei Lep aumenteranno i divari in settori strategici quali: trasporti, istruzione, energia e sanità. In assenza di un cospicuo fondo perequativo gli investimenti saranno negati ai territori piu’ svantaggiati. Di contro, le regioni del Nord avranno piu’ gettito e risorse da poter investire per migliorare ulteriormente il livello dei servizi territoriali.
Questo portera’ ad una frattura insanabile tra il Nord e un Sud sempre piu’ impoverito e spogliato di risorse, aumentando le gia’ evidenti diseguaglianze tra i cittadini.