Appena finita la mostra che per oltre un mese è rimasta allestita presso il Museo Archeologico di Lamezia Terme all’interno del Festival dei libri contro le mafie Trame. Decine di opere proveniente dalle operazioni di sequestro di beni alla mafia. Due le sezioni. Una di opere provenienti da “Palazzo della Cultura Pasquino Crupi” di Reggio Calabria, ed una di opere provenienti dal deposito dell’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati (ANBSC). Queste ultime per la prima volta vengono esposte al pubblico dopo la confisca. Questa è la cosa straordinaria, la novità.
Inaugurata il 18 giugno e terminata il 28 luglio, la mostra Visioni Civiche – L’arte restituita. Dalle opere confiscate alle mafie al bene comune, è stata curata dalla Associazione MetaMorfosi, partner di Trame in questa operazione.
Si spiega infatti sul sito di Trame:
“La Fondazione Trame e Associazione MetaMorfosi, con il Patrocinio del Ministero degli Interni ed il sostegno della Fondazione CDP, ente no profit del Gruppo Cassa Depositi e Prestiti nell’ambito della prima edizione del bando Ecosistemi Culturali, presentano Visioni Civiche – L’arte restituita. Dalle opere confiscate alle mafie al bene comune un inedito progetto espositivo curato dal professor Lorenzo Canova che, da 18 giugno al 28 luglio, porterà in mostra nel Complesso Monumentale di San Domenico di Lamezia Terme, sede del Museo Archeologico Lametino, una selezione di opere d’arte sequestrate alla criminalità organizzata. Occasione per la presentazione della mostra, in un simbolico allineamento di temi e obiettivi, è il Festival dei libri sulle mafie Trame, che dal 2011 accoglie ogni anno oltre 10 mila presenze caratterizzandosi come un evento dal forte richiamo culturale sul territorio nazionale”.
Un evento unico quello di quest’anno, che si ha già l’interesse di replicare. L’idea di questa mostra è nata proprio da Nuccio Iovene, presidente della Fondazione Trame, all’indomani del suo insediamento come presidente, avvenuto circa due anni fa.
Intervista a Nuccio Iovene
Come è nato questo progetto e quali risvolti ha avuto e avrà.
Quest’anno vi sono due novità: una è che per la prima volta sono state esposte opere d’arte dopo la confisca, e la seconda è che abbiamo messo insieme opere della collezione di Campolo e di Mokbel: il “re dei video poker della Calabria” e “mafia capitale”.
l’idea è nata partendo da una considerazione. Quando si pensa ai beni confiscati, la mente va direttamente ai terreni, gli appartamenti, gli immobili, le imprese. Difficilmente si pensa che anche vi siano stati mafiosi che abbiamo investito in opere d’arte o riciclato denaro in opere d’arte. Invece questo è avvenuto. Ad esempio, fra le tante cose che hanno confiscato a Mokbel, c’era un’intera galleria d’arte di via Margutta a Roma, per questo lui si trovava tutte queste opere. Noi ne abbiamo selezionato una piccola parte della collezione, quelle che più ci interessavano in relazione al discorso artistico che volevamo fare: 22 opere di Mokbel e 22 di Campolo, tutte nell’ambito dell’arte contemporanea del Novecento. Che avessero anche una coerenza artistica e stilistica. Praticamente una volta sviluppata l’idea e presentata al Ministero, all’Agenzia dei Beni Confiscati, alla città Metropolita di Reggio Calabria, è cominciato il lungo iter del progetto. Ma il tutto è stato possibile realizzarlo solo perché è stato selezionato dalla Fondazione Cassa Depositi e Prestiti per il Bando Ecosistemi Culturali, fra trecento progetti presentati. Ne sono stati scelti dieci, cinque al Nord e cinque al Sud, e fra cui il nostro. È stata poi una corsa con il tempo, avendo saputo di avere superato il bando a gennaio, ed il festival si fa a giugno.
L’obiettivo quale era?
Non solo fare vedere queste opere d’arte quindi far capire che esisteva anche questo lato dei beni confiscati, questa dimensione. Abbiamo avuto anche un incontro con il comandante del nucleo dei carabinieri Tutela Patrimonio Culturale della Calabria, il Comandante Geloso, che ha raccontato tutta la parte relativa all’arte antica, ai reperti archeologico perché vengono sottratti negli scavi o nelle zone di interesse archeologico. C’è una realtà vera e propria con un’attività rilevante considerata però meno significativa.
Al momento le opere d’arte, dopo essere state confiscate e autenticate dovrebbero rientrare nel circuito dei musei e delle gallerie pubbliche, dovrebbero cioè avere una destinazione. È successo così per quanto riguarda quelle di Campolo poiché, essendo lui di Reggio Calabria, anni fa sono state donate alla città M. di RC. Che le ha collocate al Palazzo della Cultura Pasquale Crupi.
Per quanto riguarda le altre opere delle confische?
Le altre sono ancora nei depositi, oltre a quelle di Mokbel anche tante altre.
per quanto riguarda le opere d’arte di questo genere, ossia opere d’arte moderna e contemporanea non esistono realtà espositive museali. Ad esempio, nel Museo Archeologico di RC, c’è un’intera sala di opere archeologiche recuperate, ma, ripeto, non di opere moderne. Quindi questa è stata la prima operazione di questo genere. Che ha anche l’obiettivo di restituire questo patrimonio ai cittadini e sollecitare il Ministero e l’Agenzia dei Beni Confiscati a dare una destinazione.
Possono essere messe all’asta?
Sono opere che non possono nemmeno essere messe all’asta, perché c’è il rischio che ritornino ai proprietari. Su questo c’è un dibattito molto acceso. Le associazioni, Libera, anche noi di Trame, chiediamo un utilizzo sociale, di privato sociale o di terzo settore dei beni confiscati. Perché se dovessero rientrare in un circuito economico con lo scopo di fare cassa, il rischio è che se li riprendano i diretti interessati. È per questo che la gran parte non viene messa all’asta e vengono acquisiti come patrimonio pubblico destinati ai comuni e vengono poi assegnati.
Quindi noi abbiamo proposto, alla luce del fatto che siamo stati capaci, insieme al Comune, al Museo, al Ministero, di realizzare questo progetto, che anche Lamezia possa diventare in futuro uno dei luoghi nel quale destinare le opere così da fare una “galleria di arte restituita”, riprendendo la definizione che abbiamo dato al progetto.
Il rischio che però si corre è che il ciclo criminale che vi sta dietro a queste opere d’arte venga messo in secondo piano. Ossia il cittadino va al museo o alla mostra, vede Fontana o De Chirico e non approfondisce. Sicuramente le opere d’arte vanno valorizzate in quanto tali, ma va conosciuta la storia criminale.
Questa è quindi la prima realtà. Quale conseguenza sta avendo?
Venerdì sarò a Reggio Calabria, perché adesso che abbiamo chiuso la mostra, la novità è che, mentre quelle di Mokbel sarebbero dovute tornare all’Agenzia dei Beni Confiscati, questa, qualche giorno fa, ci ha scritto dicendoci di portare tutto al Museo di Reggio. Insomma questa cosa è servita a destinare le opere che noi avevamo selezionato, a Palazzo Crupi, e quindi di rimanere in Calabria. Ma il nostro obiettivo è di replicarla. Fare una verifica di quante opere d’arte confiscate ci sono. Chi sono i criminali e le oro storie che vi stanno dietro. Ad esempio l’elenco che mi aveva fornito l’Agenzia dei Beni Confiscati, era di quasi duecento opere. Noi ne abbiamo selezionato solo 22 di Mokbel. Oltre a De Chirico e Ligabue vi sono anche opere minori, ma sono rappresentative di questo interesse per l’arte della mafia.
Possiamo pensare che la mafia ha anche l’attenzione e la sensibilità per l’arte o c’è altro?
Un obiettivo è di affermare il loro prestigio sociale, e farsi accettare in società dimostrando di avere anche opere d’arte e di non essere “massari” come quelli di una volta ed esibizione di ricchezza. Ma il secondo obiettivo è il riciclaggio. Come i preziosi, l’oro e i diamanti, le opere d’arte crescono di valore. Su questo tema esiste un documentario che abbiamo presentato il trailer l’altro giorno al Museo di Lamezia, “Follow the Painting”. Si segue cioè l’opera d’arte, dal riciclaggio all’interesse della criminalità organizzata per l’arte.
Quindi il bilancio è positivo?
Assolutamente sì, sia in termini di presenze dici il numero di presenze, sia per l’apprezzamento che abbiamo registrato, e sia perché alla fine di questo percorso le opere d’arte sono rientrate in un circuito pubblico. E proprio ieri abbiamo avuto la comunicazione che le 22 opere di Mokbel sono state destinate al Museo di Reggio Calabria (venerdì conferenza stampa alla quale siamo stati invitati). Ma noi abbiamo detto pubblicamente, all’inaugurazione della mostra a Lamezia, di fare un atto formale, una lettera come Comune e come Museo, in cui si chieda che anche Lamezia, dando la disponibilità di spazi adeguati, venga inserita nel circuito dei luoghi dell’”arte restituita”.
Opere da Lamezia destinate a Reggio. Una occasione persa per Lamezia?
Attualmente non aveva lo spazio adeguato. Ma su questo possiamo lavorare
Un precedente nel 2018 con l’ “Arte Liberata – dal sequestro al Museo”
In quell’occasione furono 69 le opere esposte, contenente anche “Una rara scultura di Jean Arp, due di Arnaldo Pomodoro, un nucleo di dipinti di Victor Vasarely e un Giorgio Armani ritratto da Andy Warhol; e poi l’Arte Povera di Giuseppe Penone, il collage di Giulio Paolini, i pattern di Sol LeWitt, le proteste su tela di Emilio Vedova, fino a un precoce empaquetage di Christo e a un’installazione di Chen Zhen”, per come riportato da Arte.it.
Arte restituita e Arte liberata che ritorna alla collettività. Ma il percorso è ancora lungo.