Razzismo contro il Napoli durante una competizione europea, le istituzioni italiane e UE prendano provvedimenti

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“Via Raffaele Stasi 40/46”.

Uno striscione apparentemente innocuo quello esposto ieri sera dai tifosi milanisti, durante la gara di Champions League “Milan-Napoli” ma che, invece, rappresenta un grave attacco alla dignità del popolo napoletano. In quel civico napoletano, infatti, è ubicato il negozio “acqua e sapone”. Chiaro il richiamo al solito coro contro i partenopei “senti che puzza, scappano i cani, stanno arrivando i napoletani, brutti terroni terremotati, che col sapone non si sono mai lavati”. Il calcio, come ogni altra disciplina sportiva, dovrebbe rappresentare un’occasione per superare le barriere territoriali e per promuovere la cooperazione e la solidarietà tra le persone. Invece, questo tipo di comportamento è del tutto incompatibile con i valori dello sport, che dovrebbe essere un momento di incontro e di condivisione.

No, non chiamatelo “sfottò negli stadi”. Questo episodio ha una definizione precisa: razzismo. Grave che si sia verificato durante una competizione europea.

Non solo è necessario condannare con fermezza questo tipo di comportamento e adottare misure concrete per contrastare il razzismo negli stadi ma è fondamentale che le autorità sportive e le istituzioni si mobilitino per individuare e sanzionare i responsabili di questo episodio razzista, garantendo la massima trasparenza e la massima severità nella loro applicazione.

Inoltre, occorre riflettere sull’importanza di fermare le partite non solo quando i tifosi scherniscono i giocatori per il colore della propria pelle, ma anche quando l’invettiva colpisce la provenienza territoriale della squadra avversaria, con epiteti lesivi della dignità dei popoli. Anche quando la provenienza si riferisce allo stesso perimetro nazionale. È razzismo, punto.

O forse i giocatori napoletani devono tingersi la pelle, per farsi rispettare?

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