Lo scudetto del Napoli come riscatto del Sud

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Lo scudetto del Napoli

Lo scudetto del Napoli è il ‘perfetto’ simbolo di una città mai domata e dell’intero Sud che riconosce e valorizza le proprie capacità.

di Annamaria Pisapia

Lo scudetto del Napoli: tre il numero perfetto

E sono tre! Pochi? Dipende.

Per la scuola pitagorica e per il movimento filosofico-scientifico, il tre è per definizione il numero perfetto, rappresentativo dell’unità cosmica tra cielo, terra e uomo. Ma volendo restare in un ambito più ‘terreno’, mi verrebbe da dire che è anche una questione di intensità, ricordando l’iconica battuta del grande Massimo Troisi, rivolta ad un inesperto e quanto mai problematico Robertino in campo amoroso. 

È indubbio che, dall’inizio alla fine del campionato, i tifosi del Napoli abbiano vissuto un crescendo di emozioni, frutto delle incredibili prestazioni da parte dei giocatori, che hanno colto di sorpresa non solo loro, ma tutto il mondo del calcio.

Lo scudetto del Napoli come presa di coscienza del Sud: un cambiamento iniziato con Maradona

Ecco, si potrebbe dire che è uno scudetto ‘diverso’ da quelli conquistati finora dalle squadre del Nord, perché arriva in un momento di maggiore consapevolezza per Napoli e per il Sud, che riscopre il proprio valore e le proprie capacità.

Questa conquista ha posto più che mai in evidenza quella che è la funzione del calcio: la trasposizione scenica della storia sociale, politica e culturale di una città, laddove l’identità e il senso di appartenenza di un popolo vengono affidati e diffusi da una squadra che li rappresenti.

Per lo scudetto del Napoli si avverte un coinvolgimento pressoché totale, anche da parte di chi non si era mai occupato del fenomeno calcio, che amplifica le conquiste dei due precedenti scudetti vinti nel 1987 e nel 1990, che segnarono l’inizio del cambiamento: una ‘fuga per la vittoria’ guidata da un leader vincente come Maradona.

Il rapporto del pibe de oro con Napoli fu, fin dal primo momento, un riconoscersi a vicenda: i tifosi fecero propria la sua stessa voglia di riscatto, quella che dalle favelas lo aveva condotto all’olimpo degli Dei. L’impegno di Maradona in quegli anni fu dato, forse, da una rabbia che incanalava verso un’energia propulsiva: riuscì a percepire e a denunciare, prima ancora degli stessi tifosi del Napoli, il becero razzismo che emergeva ad ogni trasferta della squadra, urlato dagli spalti di altre città.

Maradona aveva capito che c’erano motivazioni che andavano al di là della competizione sportiva. Motivazioni che determinavano un inspiegabile effetto collaterale: un’improvvisa sordità da parte di tecnici ed istituzioni, ragion per cui non venivano applicate eventuali sanzioni disciplinari.

Trentatré anni dopo, i napoletani sono cambiati. Il Sud è cambiato: ha da tempo cominciato a fare i conti con la sua storia, a scrollarsi di dosso quel senso di minorità acquisita in oltre 162 anni.

Dal “ciuccio e fichella” al cavallo rampante

È giunto il tempo per il Napoli di scrollarsi di dosso la figura “d’o ciuccio e fichella cu 33 piaghe e ‘a funa fraceta“, come simbolo di disfatta e arrendevolezza che gli stessi napoletani si appiopparono nel 1928, dopo l’ennesima sconfitta subita dalla propria squadra, per restituire a quel cavallo rampante, simbolo di una città mai doma, il ruolo che gli fu assegnato dalla Società Sportiva Calcio Napoli nel 1926 – anno di nascita della SSC – quale rappresentazione di trionfo e di riscatto.

Lo scudetto del Napoli? Non è uno scudetto qualunque, ma quello ‘perfetto’.

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