Inaugurata il 9 novembre, la mostra “La variabile del tempo”, ripercorre 30 anni di attività artistica “metropolitana” di uno dei maggiori esponenti della street art italiana apprezzata e diffusa all’estero
In una nota diffusa per l’inaugurazione così viene definito: Massimo Sirelli è art e creative director: curioso, eclettico e poliedrico. Il suo approccio alle arti visive avviene in adolescenza tramite la graffiti art. Attraverso la prospettiva della strada impara a filtrare i linguaggi metropolitani: le scritte, la pubblicità, gli arredi urbani, i mezzi pubblici e i rifiuti, tutto diviene per lui ambiente di ricerca ed sperimentazione. Diplomatosi nel 2003 allo IED di Torino nel dipartimento di Digital e Virtual Design, per alcuni anni collabora come freelance con diverse agenzie di comunicazione, lavorando su noti marchi nazionali ed internazionali (Alpitour, Rai, Coca Cola, Ferrero, Seven, Fiat, Iveco, etc.). Nel 2006 apre lo studio creativo Dimomedia e i suoi lavori iniziano ad essere pubblicati su alcuni dei più importanti libri di grafica e web design al mondo (Taschen, Gestalten, PepinPress). È docente di Tecniche di presentazione e Portfolio presso lo IED di Torino e di Como. Nel 2013 Sirelli lancia il progetto AdottaunRobot.com, la prima Casa Adozioni di Robot da compagnia al mondo. Robottini Orfani del progresso industriale e del consumismo sfrenato, trovano il loro cuore e la loro anima attraverso l’opera e la ricerca dell’artista, che li assembla e cerca di dar loro una nuova “Famiglia”. Le sue opere hanno ispirato noti marchi della moda e del prodotto: Cirio, Amarelli, Jadise, con cui ha realizzato capsule in limited edition. Ha lavorato per American Express, Amarelli, Banca Ifis, Bordoni, Bosh, Brand Dubai, Callipo, Cirio, Dolly Noire, Dremel, Fondazione Prada, Giro d’Italia, Idra Water, Independent Republic, Insuperabili, Lavazza, Montblanc, Pastiglie Leone, SuperaBike Racing SBK, Tissot, Wired, Zero Assoluto. Le creazioni di Massimo Sirelli sono state in mostra presso Museo L. Castel di Pont St.Martin, Temporary Museum di Torino, Triennale di Milano, Villa Reale di Monza e in moltissime esposizioni e mostre in Italia e all’estero. È ambassador di Airc e collabora con la Onlus Insuperabili, ed è founder del progetto “La mia Calabria è bellissima”.
Nel suo intervento inaugurale della mostra, ha ringraziato i presenti ed ha confidato un pezzo del suo percorso artistico
«Grazie per la pazienza, grazie per la curiosità. Avervi qui per me è emozionante. Oggi, in qualche modo, sto condividendo con voi un lunghissimo percorso. Mi fa sorridere perché dietro questi trent’anni in realtà c’era bambino che consapevolmente stava inseguendo i suoi sogni e da quanto in quel 1995 realizzai il primo murale io non ho mai smesso di sognare e lavorare. Non, peraltro, il titolo è “30 anni di ricerca”. Io non so cosa stessi cercando veramente e forse non lo so nemmeno adesso. L’unica certezza è che appunto tutto torna in maniera ciclica nella mia attività, in maniera completamente libera, io non ho una formazione accademica, perché non c’è una scuola che ti insegna ad emozionarti. L’emozione e basta. Non puoi imparare. Ecco dietro ogni mia opera c’è questo. C’è un racconto di vita, di emozione. C’è una storia vera»
Di seguito alcune delle opere esposte
Lo abbiamo intervistato all’indomani dell’inaugurazione
Quando è stata la tua prima azione in questo campo?
Ero un bambino. 13 anni. l’esigenza di utilizzare le bombolette spray, di esprimermi su una superficie che non fosse il foglio. Erano già diversi anni, già dalle scuole elementari, che disegnavo questi murales, questi graffiti, che vedevo arrivare in tv, sulle riviste. E allora li facevo sui diari, li facevo sugli zainetti dei compagni e poi ho preso coraggio, ho detto vado sul muro. E così il primo murale, e non ho mai smesso.
Ora i tuoi lavori sono in giro anche per il mondo?
Sì, fra collezioni private ed esperienze pubbliche da New York a Dubai trovi cose che ho realizzato. Un sogno da ragazzino portato avanti sempre con costanza, costanza e meticolosità. Non ho mai smesso di crederci. Un’esigenza di esprimermi che forse ha superato la tecnica, ha superato lo studio. Ho sempre detto che c’è chi nasce fiume e chi è fiumara. Io mi sono sempre definito fiumana ma questo non mi ha impedito di arrivare al mare. La fiumara ha più difficoltà di percorso alle volte si secca e poi riparte e quando riparte riparte forte. Però dico se tu sei una fiumara che ci crede, arrivi. E io in qualche modo sono arrivato ad esprimermi e a soddisfare ecco quella che era la mia vocazione, la mia esigenza.
Tu hai detto che queste cose non si studiano nel senso che non si impara a scuola esprimere delle emozioni, perché?
Come in tutte le cose non ti puoi improvvisare. È necessario studiare, altrimenti passa un messaggio sbagliato. Quello che voglio dire io è che c’è non c’è emozione senza tecnica non c’è tecnica senza emozione. È fondamentale altrimenti è un esercizio di stile effimero, una ricerca di bellezza che poi è fine a sé stessa. Invece quando la bellezza può non ambire alla perfezione ma cerca di esprimersi con emozione, arriva. Ecco questo è quello che in qualche modo io ho cercato di fare, un racconto autentico e sincero.
Nel fare un’opera di questo tipo c’è il bisogno di un’autorizzazione o possono partire in maniera spontanea in spazi magari abbandonati?
Io mi sono espresso tanto in ambiente urbano senza mai chiedere il permesso, fino a un certo punto del mio percorso. Poi sono tornato in strada a dipingere nello spazio pubblico su invito e quindi un’altra deriva. Sono due approcci assolutamente validi. Tanti miei colleghi continuano a fare l’uno e l’altro e intervenire nello spazio urbano in maniera illegale. In questo periodo non è la mia esigenza. Però è stata e ogni tanto mi diverto a lasciare dei segni che faccio ancora adesso, in modo che inaspettatamente ti trovi di fronte a un mio tag che ti sorride; lascio questa faccina di robot in posti veramente sperduti. E questo mi diverte sempre farlo.
Nel nostro immaginario Street art magari è colui che aveva colpisce fa un segno un graffito una espressione, un segno e si scappa via. Ma è anche un’arte che viene fatta anche su commissione?
Nel mio caso ormai soprattutto su commissione. Spesso molti miei colleghi si impegnano nel lasciare un messaggio in qualche modo andando in lotta contro il sistema ma se il sistema è più forte zittisce quel messaggio e l’opera viene cancellata, ne resta magari una traccia, una foto. Invece quando tu sei amplificatore di un messaggio e che sei invitato dal sistema, ecco a quel punto puoi esprimere quel messaggio, come cavallo di Troia, senza che venga cancellato. Io ho sempre pensato: bene, oggi che ho questa possibilità di potermi esprimere, di essere invitato a lasciare la mia opera, ho una responsabilità. Che ne faccio di questa possibilità che mi è stata data? E allora cerco di utilizzarla al meglio. Per cui trovi tante mie opere, tanto del mio lavoro a sostegno di cause benefiche. Faccio tanta attività sociale; regalo tante tante delle mie ore non necessariamente per scopi economici. Quindi tante mie opere nascono gratuitamente.
Questo è il tuo lavoro, la tua professione. Hai fatto anche lavori anche per aziende, per fare loghi. Quali in particolare?
Mi sono occupato di comunicazione per vent’anni circa e ho studiato, ho una formazione legata a quello. Ho studiato multimedial design. Oggi trovi spesso il mio lavoro dietro a grandi marchi. Recentemente ho firmato una collezione per Callipo, Amarelli, Mont Blanc e tante tante altre attività. Per la Fondazione Prada ho ottenuto i miei workshop “un robot per amico”, in tutta Italia.
Alcuni dei robot in mostra
Di seguito alcuni scatti dell’inaugurazione
Quale è stata la tua esperienza più significativa all’estero?
Significativa per il valore simbolico dell’intervento, è stato dipingere al Bronx a New York. Nel luglio scorso sono stato appunto in un viaggio di vacanza e lavoro a New York e sono poi riuscito, grazie ad un curatore italo-americano, a dipingere in uno spazio culturale nel Bronx vicino a grandi nomi del dei graffitismo mondiale. Questo è il Santa santorum. Non c’è ora un nome che non si è espresso in questo spazio. Non mi conoscevano e in due giorni sono riuscito a organizzare tutto. È stato facilissimo ma perché sono loro più ricettivi rispetto a questo e senza velleità. Cioè: “C’è un italiano qui in città? Vuole dipingere? È bravo? Bene, benvenuto” e mi hanno ritagliato un piccolo spazio ma mi ha permesso di lasciare uno dei miei robot in mezzo a veramente maestri, padrini, pionieri dei graffiti. E quindi quello a livello simbolico cioè molto importante e lì è nato tutto. Cioè come andare a pregare in Palestina, a Gerusalemme per un cristiano. Cioè dove il tutto è nato. Lì sono nati i graffiti e ho dipinto con gli spray.
E quale è stata la più significativa in Calabria?
Ne ho fatte tante che hanno valori simbolici perché mi sono espresso veramente in luoghi sperduti, bucolici e che attraverso il mio intervento hanno ricevuto visibilità. Immagino l’ “abbrazzo di Marcedusa”, paesino con pochissimi abitanti. Da quando abbiamo fatto quell’intervento lì delle cose sono cambiate. Probabilmente l’intervento più importante, anche per dimensione, é l’intervento che ho realizzato sulla barriera frangiflutti del porto di Catanzaro. Quello è un vero e proprio intervento di Land Art. Stavo trasformando il territorio senza averne consapevolezza. Ero semi-autorizzato, avevo il beneplacito del Comune e ora è patrimonio del Comune.
Cosa ha significato il tuo intervento qui al MACA di Acri?
Il MACA è un museo importante e meriterebbe molta più risonanza e perché è una bomboniera da andare a scoprire è molto bello e mi rende orgoglioso esporre in questo posto
Quali progetti hai per il futuro?
La prossima mostra è il 6 dicembre [terminata il 7 gennaio ‘25] all’ Ex Convento dei Minimi a Roccella. Un racconto specifico sulla scultura e i robot. La “narrazione del gioco”, questo sarà il tema della Mostra.
Il messaggio di Silvio Vigliaturo
La sera dell’inaugurazione è giunto il messaggio di Silvio Vigliaturo, fondatore e direttore artistico del museo
«Si fa presto a dire “il risultato è quello che conta”
Nel percorso passano malumori e bellezza e tra una cosa e l’altra, siamo giunti alla 44^ mostra.
Ancora una volta si promuove il Territorio con questo evento dell’artista calabrese Massimo Sirelli che, con il suo lavoro ci porta, comunque, ad un respiro internazionale.
Facile lavorare e organizzare, anche a distanza, con le persone che collaborano con me. Nessuno supera nessuno, solamente così, con semplicità e serenità. Preziosi, gli amici che da sempre sostengono questo viaggio nell’arte dedicato ad Acri.
A proposito di “distanza”… sono qui con voi e la mostra, la potremo visitare insieme a dicembre.
Un grazie e un saluto. Silvio»
Abbiamo chiesto alla curatrice Antonella Beatrice Bongarzone il motivo della scelta di Sirelli
Perché Sirelli? Cosa rappresenta nel panorama artistico mondiale?
«Per noi è un onore festeggiare i suoi 30 anni di carriera, raccontati attraverso 30 opere. Non è stato semplice ripercorrere una carriera molto variegata come la sua. Lui nasce come “writer”, ma si connota poi come un artista a tutto tondo con pitture e sculture, con l’uso sapiente della materia e del riciclo dei materiali. La sua arte si trova per strada. Ma la sua è anche un’arte impegnata socialmente e dissacratoria, ironica e simpatica. È l’eroe la copertina della mostra. Sirelli qui ha un atteggiamento favolistico e sognante che guida quello che è il mezzo dei campioni, la “bicicletta” che fa viaggiare fra le nuvole, con una interpretazione di Fausto Coppi con i calzari alati ed il mantello. Gli elementi distintivi di un super eroe, anche dei nostri tempi. Ma Sirelli cerca, attraverso l’uso dei colori e dei materiali, di auspicare un mondo migliore, alimentato dal “bello”, come uno dei motti che ha contraddistinto la sua carriera “La mia Calabria è bellissima”».