Terzo settore: una riforma da completare

Terzo settore: una riforma da completare

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Il Terzo settore gioca un ruolo fondamentale per il nostro paese. A dirlo sono i numeri, adesso cerchiamo di capirne i motivi.

di Francesco Donzelli

Con oltre 350mila istituzioni no profit e ben 5 milioni di soggetti coinvolti tra volontari e dipendenti, il Terzo settore ha un impatto nell’economia nazionale stimato in circa 80 miliardi di euro, ossia l’8 per cento del Prodotto interno lordo.  

Numeri importanti che danno la cifra esatta del ruolo strategico di associazioni, volontari, gruppi ed enti no profit. Ma il Terzo settore è anche e soprattutto una grande rete di solidarietà e prossimità.  Basti pensare alle associazioni del mondo laico e cattolico che hanno aiutato quelle famiglie ulteriormente indebolite dalla situazione emergenziale covid. 

Per lungo tempo il mondo associazionistico e del no profit è stato governato da regole spesso confuse, disomogenee e talvolta contraddittorie. Proprio tali incertezze hanno spinto il legislatore ad adoperarsi per un riordino complessivo della normativa di riferimento. 

Il Codice del Terzo Settore

L’idea di una riforma organica nasce nel 2014 dall’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi. Il disegno di legge delega è stato discusso per diversi mesi e la firma definitiva arrivò nell’estate del 2016 con l’approvazione della legge delega 106/2016 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/06/18/16G00118/sg).  Cuore pulsante di questa grande riorganizzazione è il decreto legislativo 117/2017 (https://www.gazzettaufficiale.it/dettaglio/codici/terzoSettore), meglio noto come Codice del Terzo settore, composto da 104 articoli che sanciscono l’ambito di applicazione, i soggetti coinvolti, le regole di funzionamento, il regime fiscale. 

Benché la riforma abbia tardato ad entrare pienamente a regime (più avanti parleremo del RUNTS) e ancora oggi si assiste alla necessità di completarne l’iter con l’emanazione dei decreti attuativi, è comunque innegabile il suo impatto. 

Pensiamo all’art. 55 del Codice, il quale prevede espressamente il coinvolgimento degli enti del terzo settore da parte delle amministrazioni pubbliche, la cosiddetta co-progettazione.  L’importanza di tale articolo è rintracciabile finanche in una sentenza della Corte costituzionale (https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2020&numero=13).  Gli Ermellini, muovendo le mosse da un contenzioso tra Stato e Regione Umbria, arrivano ad affermare l’importanza dell’art. 55 quale strumento di attuazione dell’art. 118 comma 4 della Costituzione in quanto esso rappresenta “una delle più significative attuazioni del principio di sussidiarietà orizzontale”, avendo realizzato “per la prima volta in termini generali una vera e propria procedimentalizzazione dell’azione sussidiaria”. 

Come anticipato, la riforma del terzo settore ha dispiegato i suoi effetti gradualmente. Pensiamo al RUNTS (Registro Unico Nazionale del Terzo Settore) istituito dall’art. 45 del Codice per sostituire i precedenti registri delle Aps, delle Odv e l’anagrafe ONLUS, ma che è attivo solo dal novembre 2021. 

Una riforma incompleta

Purtroppo, quella del Terzo settore è una riforma incompleta, a causa della mancata emanazione degli oltre 40 decreti attuativi che servono per renderla pienamente funzionante. Accade così che, ancora oggi, il Terzo settore sconti un ruolo da comprimario, come dimostra anche il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). 

Infatti, su 273 pagine del Piano, il Terzo settore compare solo a pagina 211, esclusivamente nella Missione 5 che concerne l’inclusione e la coesione sociale. Questo non significa, sia chiaro, che il PNRR è scritto male. Ma è altrettanto vero che se il Terzo settore continua a soffrire di un’adeguata valorizzazione, anche in un documento importante come il PNRR, è riconducibile a quel mancato completamento dell’iter di riforma. 

Sono tante le cose ancora da fare e l’auspicio di osservatori e professionisti è che il legislatore possa intervenire quanto prima. Volendo tracciare una mappa delle priorità, possiamo dire che sono tre gli interventi più urgenti. 

Il primo intervento – quello sicuramente più impellente – riguarda l’emanazione dei decreti attuativi che servono a disciplinare in modo lineare le regole della vita associativa e amministrative, gli obblighi di trasparenza e rendicontazione, le agevolazioni fiscali, il ruolo del volontariato in rapporto alla Pubblica Amministrazione, ma anche le opportunità di finanziamento, la nuova impresa sociale, il servizio civile universale e i centri di servizio per il volontariato.

Il secondo intervento risponde alla necessità di creare un quadro fiscale e tributario chiaro, omogeneo e senza incertezze. Una proposta potrebbe essere quella di delimitare bene – e definitivamente – gli ambiti di competenza e differenza tra enti commerciali e non commerciali del terzo settore. 

Il terzo intervento dovrebbe vertere sulla rivisitazione del Libro I, Titolo II del codice civile che riguarda associazioni, fondazioni e soggetti privi di scopo di lucro. 

Solo completando l’iter della riforma, recuperando lo spirito del legislatore del tempo che l’ha avviata, sarà possibile dare al Terzo settore il giusto riconoscimento e una sua piena e definitiva valorizzazione. 

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