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Altro che “riscatto sociale”

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La stagione del terzo, storico, scudetto conquistato dal Napoli è già alle spalle. A cancellare quella cavalcata trionfale ci ha pensato una stagione da incubo che ha dato il via alla grande fuga. Del fantomatico “riscatto sociale” non sono rimaste che le macerie.

E’ passato ormai più di un anno da quell’evento vissuto dai tifosi e dalla città come un’impresa storica. Bandiere, colori, festeggiamenti ed anche incidenti dovuti agli eccessi del momento. La storia si è ripetuta come all’epoca di Maradona, ed il tutto è stato bellissimo. Il successo calcistico venne salutato non solo come una vittoria sportiva ma addirittura come un fantomatico “riscatto sociale”.

Su questo termine si è detto molto in città: taluna stampa specializzata, così come molti addetti ai lavori, hanno inneggiato a questo riscatto sociale mentre altri, più accorti forse perché specializzati in altro, hanno chiaramente frenato quell’eccesso retorico. Si potrà dire che Napoli, e questo è certo, abbia avuto un boom di turisti ma il trend era già in netta salita da diverso tempo prima (da circa 10 anni, e quindi anche prima della pandemia di Covid-19).

Il tema del riscatto sociale associato al calcio è avvilente, e lo era già quell’anno. Certo perché, innanzitutto, negli stadi, lato spalti, si vede di tutto e di più, compresi atteggiamenti che spesso non vengono riportati dalla stampa per “quieto vivere” (una roba che col giornalismo c’entra poco). Un capitolo, questo, che si riprenderà più avanti, nel mentre è oggettivo che già all’interno del rettangolo verde questo riscatto non solo non sia arrivato ma non ci sia mai stato.

Dal riscatto sportivo al riscatto sociale: la sciocchezza che ci raccontiamo in casa

Il sistema nostro calcio è malato, e lo è ormai da molto tempo. Quest’affermazione, potrebbe essere associata banalmente all’attività sportiva e quindi farci pensare alle solite cose: l’errore arbitrale in favore di una certa squadra, le pressioni politiche della Lega Calcio e tanto altro ancora. Mai nulla di ciò sarebbe più sbagliato. Il male del calcio non è quello, almeno non solo quello.

Pensiamo ad esempio alla nazionale italiana che gioca gli Europei in Germania. La qualità della selezione è probabilmente di gran lunga inferiore alle nazionali del passato, e non basta certo l’ubriacatura dell’ultimo Europeo a cancellare le tante delusioni. Tra queste spiccano le mancate qualificazioni ai Mondiali per due edizioni consecutive, mai successo. Questo perché nei club giocano moltissimi stranieri, si pensa solo agli interessi, a pagare meno per avere di più, a costruire settori giovanili farlocchi creando un business anche tra i più piccoli. Il calcio-industria ha prodotto immensi mali e parliamo dell’aspetto del campo.

Bene, lo scudetto che doveva portare il riscatto sportivo ha forse prodotto il progetto di un settore giovanile? Ha forse allentato le storiche tensioni riguardanti un eventuale nuovo stadio? Ha forse portato nella società SSC Napoli una chiarezza d’intenti (ad esempio una scelta di dirigenti per costruire il futuro)? La risposta è lapalissiana.

Parliamo adesso del riscatto sociale, del quale la città non ha assolutamente bisogno e men che meno un riscatto che arrivi dal calcio. Dallo sport arrivano tante belle cose, ma il riscatto sociale potrebbe dover arrivare per un napoletano che giochi nella squadra della propria città e vada a vincere lo scudetto. Bene, l’ultimo napoletano che ha vestito la maglia del Napoli è Lorenzo Insigne. Vogliamo allargare il raggio? Quanti italiani militano nella formazione titolare del Napoli?

Nella prima giornata di quest’anno contro il Frosinone (partita fortunata che il Napoli vinse per 1-3) gli italiani erano appena 4 (tra cui Raspadori che poi avrebbe visto il campo poco e niente). Nella 20esima contro la Salernitana (altra partita fortunata vinta per 2-1) erano ancora solo in 4 (tra cui Gaetano che poi sarebbe andato via a gennaio e Gollini secondo portiere). Alla 38esima ed ultima di campionato contro il Lecce (lo 0-0 più brutto dell’annata) erano soltanto in 3.

Ovviamente nel frattempo grazie allo scudetto non sono sorte in città nuove scuole, nuovi edifici pubblici e le buche non sono state riempite. In alcuni quartieri l’immondizia la fa da padrona (ovviamente non nel quartiere Chiaia, dove vive l’elite di intellettuali/ereditieri), l’Anm non ha messo sui binari della metro nuovi treni e negli ospedali pubblici continuano a mancare.

La grande fuga via da Napoli: nessuno vuole restare

Evidentemente questo riscatto non l’hanno percepito nemmeno i calciatori azzurri. I primi due a lasciare, bisogna ricordarlo, erano stati Giuntoli e Spalletti, forse esasperati dagli atteggiamenti del presidente De Laurentiis (invecchia proprio male quella frase su Giuntoli juventino alla luce della scelta di Antonio Conte per la panchina).

Poi nella lista si era fatto aggiungere Victor Osimhen a stento trattenuto quest’anno e già con un piede mezzo fuori a dicembre (quando la stagione non era nemmeno a metà). L’inaspettato è accaduto, però, in questi ultimi giorni ed ha sbugiardato i giornalisti tifosi ed i giornali di tutta Napoli: Giovanni Di Lorenzo, il capitano, e Khvicha Kvaratskhelia, il giocatore più talentuoso della squadra, hanno fatto sapere tramite i loro procuratori di voler cambiare aria. Ora, che Antonio Conte fosse già stato o meno informato è da capire, ma certo la società non può far finta di cadere dalle nuvole. Che la maggior parte dei giornali, delle radio e delle tv specializzate non abbiano mezza notizia vera questo già lo si era percepito (e questa è la loro ennesima figura). Ora è venuto il momento per queste testate di fare le rettifiche e raccontare i “retroscena” con articoli che sbugiardano loro stessi.

La verità è che le cose non accadono mai in un giorno. Il Napoli sapeva bene dei mal di pancia, che poi si saranno tramutati in richieste di cessione da parte di alcuni (e bisogna capire di chi ancora non sappiamo nulla). Dunque Antonio Conte, che come si diceva voleva puntare tutto su Kvara e Di Lorenzo era già stato informato prima della firma?

In sostanza si rivedono le solite storie, e soprattutto non si vedono calciatori affezionati né alla città né alla squadra. D’altronde, l’unico caso davvero eclatante in questi anni è stato Dries Mertens mentre gli altri andavano e venivano. Niente, questo “riscatto sociale” proprio i calciatori azzurri non l’hanno percepito in alcun modo. Ora, per carità, la storia potrebbe ancora andare diversamente: il Napoli potrebbe decidere di far rispettare ad entrambi i propri contratti ed i due costretti a fare marcia indietro smentendo i propri procuratori (agenti che a volte, come si vede, fanno comodo…) ma i fatti restano.

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