Arch. Pica Ciamarra: “Ecco come riqualificare il Real Albergo dei Poveri”

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Pica Ciamarra

L’Architetto Pica Ciamarra è stato intervistato in esclusiva per Centrosud24. Il professore ha spiegato come riqualificare il Real Albergo dei Poveri, un’immensa struttura sita a Piazza Carlo III nel centro della città di Napoli.

di Maurizio Russo

La riqualificazione del Real Albergo dei Poveri potrebbe essere ad una svolta già il prossimo 8 marzo, con la firma annunciata di un protocollo d’intesa tra il Ministero alla Cultura, guidato dal napoletano Gennaro Sangiuliano, l’amministrazione comunale ed altri soggetti pubblici e privati.

Sul tavolo già ci sono cento milioni di euro del fondo complementare al PNRR, più quindici milioni per incremento costi. Molte le idee in campo: una sezione espositiva per opere d’arte antica che oggi sono giacenti nei depositi del MAN, con eventuale laboratorio di restauro; un hub della cultura enogastronomica napoletana collegato alla facoltà di Agraria; il trasferimento di una parte significativa della Biblioteca Nazionale di Palazzo Reale.

Accanto a queste destinazioni, vi sono poi le esigenze espresse dal sindaco Manfredi per attività molteplici al servizio dei quartieri vicini e dell’intera città, già partite nello scorso mese di dicembre a seguito di una call per un catalogo di iniziative per l’Albergo dei Poveri.

È possibile riunire tutte queste idee in una cornice di senso coerente? Conciliare tante funzioni diverse in uno stesso contenitore?

«La domanda è retorica perché la risposta è certamente affermativa. Oggi siamo sempre più lontani da una concezione monofunzionale delle tipologie architettoniche. Ciò è vero a maggior ragione per un gigante urbano come l’Albergo dei Poveri, un edificio di enormi capacità e potenzialità dove è possibile mettere insieme tante cose. Le stesse biblioteche odierne si sono fortemente evolute, divenendo piattaforme di attività multiple».

L’architetto napoletano Massimo Pica Ciamarra non ha bisogno di presentazioni. Professore di progettazione architettonica all’Università di Napoli, in oltre sessant’anni di attività professionale ha legato il suo nome a edifici e progetti fortemente innovativi, tra cui ricordiamo il complesso universitario di Monte Sant’Angelo, il polo tecnologico del CNR a Fuorigrotta, Città della Scienza con il recente ampliamento di Corporea, ma soprattutto – per quello che qui interessa – la biblioteca “sociale” di Pistoia, forse l’esempio più significativo in Italia dell’evoluzione che a livello internazionale caratterizza una delle tipologie architettoniche più antiche e rilevanti nella storia urbana. Ha inoltre realizzato le biblioteche universitarie del Molise e di Salarno-Fisciano. È quindi tra i più titolati a parlare su questo tema.

Architetto Pica Ciamarra, come stanno cambiando oggi le biblioteche in Europa e nel mondo?

«Le biblioteche in tutto il mondo tendono a diventare luoghi poliedrici e complessi. Abbiamo promosso una riflessione su questo tema affascinante con un numero speciale della rivista internazionale di architettura Le Carré Bleu (n. 3/2021, a cura di Marco Muscogiuri), facilmente rintracciabile in rete. A livello europeo si sono diffusi diversi modelli di biblioteca contemporanea.

Il più noto è forse quello francese della “médiathèque”, che ha il suo prototipo di assoluto rilievo nel Centre Pompidou di Parigi, realizzato a metà anni ’70 su progetto di Renzo Piano e Richard Rogers, un luogo di attività molteplici: “biblioteca pubblica d’informazione”, museo d’arte moderna e contemporanea, luogo di conferenze ed eventi con sale di cinema e teatro, spazi dedicati ai bambini e alla musica, oltre ai tradizionali punti di ristoro e book-shop. Su questa scia, negli ultimi 20 anni, sono nate decine di biblioteche con tante attività diverse legate alle esigenze territoriali e alla taglia delle strutture».

In questo senso è esemplare il caso della biblioteca Sangiorgio di Pistoia, forse la più avanzata biblioteca di nuova generazione in Italia, realizzata dallo studio Pica Ciamarra Associati nel 2007. Oltre ad essere dotata di un cospicuo patrimonio librario, in scaffali liberamente accessibili o a deposito, la Sangiorgio propone un ricchissimo calendario di eventi rigorosamente gratuiti – quasi mille all’anno – frequentati da circa 400.000 persone, un numero notevolissimo per una città di 90.000 abitanti.

Grazie alla collaborazione di alcune centinaia di “cittadini attivi”, sono proposte attività di formazione (corsi di lingue, bridge, scacchi, alfabetizzazione digitale), iniziative esperienziali per bambini e ragazzi, azioni a sfondo sociale (scambi di libri e indumenti usati, letture a domicilio per anziani e ammalati). Una grande varietà di spazi consente di studiare e lavorare anche in gruppo con il supporto delle fonti presenti in biblioteca, tecnologie informatiche e stampanti 3D, senza dimenticare gli eventi più strettamente legati ai libri.

Fondamentale per il successo della biblioteca è stata la costante capacità di costruire un’offerta non “per” i cittadini ma “con” i cittadini, quindi sulla base delle esigenze e delle capacità della comunità di riferimento. Ciò tuttavia, come ha riconosciuto la direttrice della biblioteca Sangiorgio, Maria Stella Rasetti, è stato innescato “da una struttura innovativa e dalle azioni che rendeva possibili”.

Professor Pica Ciamarra, quale difficoltà pone l’installazione di una biblioteca di nuova concezione in una struttura monumentale come l’Albergo dei Poveri?

«L’Albergo dei Poveri è un elemento molto significativo della storia di Napoli, parte dell’immaginario collettivo, anche se mai completato e realmente utilizzato dalla città. È quindi doveroso riservare ad esso un atteggiamento prudente di protezione e conservazione. Certamente, è una struttura molto più rigida di quella di Pistoia, che era una fabbrica dismessa.

Tuttavia, anche in situazioni monumentali è possibile inserire elementi di modernità, come ci è capitato di fare in altre circostanze. Penso per esempio al restauro di Palazzo Corigliano con Ezio De Felice, dove abbiamo assimilato ai nuovi usi anche le parti greco-romane rinvenute nell’edificio».

Come si potrebbe operare per Palazzo Fuga?

«Io ritengo che si possa lavorare per “allestimenti” nelle sale attuali, anche con solai ammezzati ma leggeri, che possono essere di legno o di metallo, da appoggiare alla struttura portante originaria. In questo modo è molto facile risolvere l’esigenza espositiva espressa dal ministro Sangiuliano.

Anche per una biblioteca tradizionale, gli spazi di deposito, ricerca e consultazione potenzialmente ci sono. Se invece penso a qualcosa di più innovativo, ad una biblioteca modernamente intesa con una molteplicità di occasioni di apprendimento sociale e culturale, partecipate dai cittadini, allora c’è bisogno di determinare diverse condizioni di esperienza, introducendo elementi contemporanei in termini di disegno, articolazione degli spazi, tecnologie, cromatismi e apertura verso l’esterno.

Devo creare sorprese, se così posso dire. Non conoscendo in dettaglio lo stato dei luoghi, né il programma dell’amministrazione, posso solo esprimere come posizione culturale che avere una complessità degli spazi per me è sostanziale. Non è escluso che molto si possa fare considerando che l’Albergo dei Poveri è incompiuto, con grandi cortili vuoti che aspettano di essere utilizzati e valorizzati».

Che ruolo potrebbe giocare nel futuro di Napoli un Albergo dei Poveri riqualificato e restituito ai cittadini?

Un ruolo pari al progetto visionario che l’ha ispirato, sicuramente di rilievo metropolitano, anche grazie alla fermata di piazza Carlo III della nuova linea prevista dalla stazione alta velocità di Afragola a Cavour.

Lo immagino come un edificio aperto e vitale per buona parte della giornata – se non h24 come accade in strutture analoghe nel mondo – permeabile da tutti i lati verso la città: l’aeroporto di Capodichino, la stazione centrale, la collina di Capodimonte e soprattutto l’Orto Botanico e l’asse che giunge al MAN. Un luogo che definisco di “condensazione sociale”, in grado di rispondere sia alle aspettative dei quartieri vicini che della città nel suo complesso.

Ma per arrivare a questo risultato occorre dare una svolta: il protocollo d’intesa dovrebbe condurre ad un progetto d’insieme da portare avanti fino in fondo in alcuni anni. Ciò non toglie che alcuni spazi possano essere messi in sicurezza per essere utilizzati immediatamente dall’amministrazione».

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