Sull’autonomia differenziata c’è una sorta di omertà, di silenzio. La conseguenza è che la questione inizia ad apparire come uno scontro Nord-Sud.
di Paolo Mandoliti
L’assenza di dibattito sul tema dell’autonomia differenziata fa si che la questione assuma una deriva pericolosa e fuorviante. In tanti possono pensare che sia l’ennesimo piagnisteo dei cittadini del Sud che nell’autonomia vedono l’ennesimo percorso volto a tagliare le risorse a favore delle regioni del nord. E quindi spingere affinché si compia.
La narrazione, specialmente leghista, è sempre la stessa: voi (amministratori del sud) non siete capaci di amministrare, ma siete bravissimi a lamentarvi.
Dimenticando di aggiungere che, mediamente, la spesa pubblica per un cittadino del nord è stata di 3 mila euro l’anno pro-capite più alta rispetto a un cittadino del mezzogiorno.
In soldoni, oltre 100 miliardi di euro l’anno in più elargiti dallo stato per istruzione, sanità, trasporti, ecc.
Senza contare il vincolo del 34% mai attuato e che quando va bene si ferma al 28%.
Autonomia differenziata: il rumoroso silenzio del Nord
E senza contare il criterio della spesa storica che decurta di 60 miliardi l’anno il trasferimento di fondi agli enti locali del mezzogiorno per dirottarli a quelli del centro-nord.
Con queste condizioni anche un bambino saprebbe essere un bravo amministratore locale!
Il silenzio, appunto, nel dibattito, al nord e il contestuale tam tam di associazioni, movimenti, sindacati, al sud, fa sembrare che la partita sia dualistica tra un nord favorevole e un sud contrario, a causa degli effetti negativi esclusivamente per il sud.
Ma se scendiamo nel dettaglio ci accorgiamo che non è proprio così.
Prendiamo l’istruzione, per esempio. Sono consapevoli i genitori del nord che avranno, per i propri figli, professori scelti attraverso un concorso regionale con criteri regionali e addirittura programmi scolastici regionali (che magari invece del latino introdurranno il longobardo, e che invece del Manzoni faranno studiare le gesta leggendarie di Alberto da Giussano)?
Sanità, i dubbi più grandi
Andiamo alla sanità. La recente gestione pandemica ha dimostrato che 21 sanità (seppur nell’ambito di un sistema sanitario nazionale) non hanno funzionato benissimo. Cosa accadrebbe con un sistema sanitario esclusivamente regionale, fuori quindi dal SSN, con una gestione che aumenterebbe la depauperazione dell’assistenza sociosanitaria territoriale a dispetto di politiche legate al PNRR che vanno invece verso una rete nazionale di case della salute e ospedali di comunità? Siamo sicuri che, nella sciagurata ipotesi di una nuova pandemia, un sistema sanitario esclusivamente regionale non registri tassi di mortalità più bassi di quelli registrati nelle regioni che si definiscono virtuose (le stesse che chiedono maggiore autonomia oggi) e che hanno, purtroppo, eccelso per i tassi di mortalità altissimi durante la pandemia?
Ecco che, attraverso questi due esempi (ma se ne potrebbero fare altri, sull’energia, sull’ambiente, sulle reti infrastrutturali – strade e ferrovie) ci accorgiamo che il tema principale non è soltanto una questione finanziaria, nel senso di trattenere più risorse finanziarie possibili togliendole alla parte più debole del Paese, come da costante tradizione leghista, o territoriale, facendola passare come un vantaggio per tutti i cittadini del nord.
Si tace, ad esempio, del rafforzamento incredibile che avrebbero le classi dirigenti regionali a svantaggio di quelle cittadine. E infatti molti Sindaci sono contrari. L’assioma “regioni più forti, cittadini più contenti” è privo di ogni riscontro teorico, scientifico e fattuale.
La questione finanziaria non dev’essere l’unico criterio
La questione finanziaria ci aiuta a fare comprendere come il rischio di depauperamento di risorse esiste non solo per le regioni del sud, ma anche per le aree meno ricche della Lombardia, del Veneto o dell’Emilia Romagna.
Se il portafoglio è l’unico criterio che conta, chi ci assicura che le province più ricche di Torino, Milano, Venezia, o di Bologna non utilizzino lo stesso criterio per sottrarre risorse alle province di Alessandria, Pavia, Belluno o Rimini?
Siamo sicuri che la teoria del “residuo fiscale” (nata in America per perequare dagli stati più ricchi a favore di quelli più poveri e ripresa in Italia per i motivi opposti) non venga presa a pretesto per creare nuove aree di Mezzogiorno anche nel nord del Paese?
E la definizione dei LEP (e il loro conseguente finanziamento) è davvero un provvedimento esclusivamente a favore degli sfortunati meridionali?
Nell’ottica appena descritta, posso affermare, senza timore di essere smentito, che sarebbe un provvedimento a sfavore di tutte le aree a minore capacità fiscale del Paese. Anche di Carvagna. Comune con il più basso reddito pro-capite d’Italia, che stranamente non è in provincia di Vibo Valentia, ma in quella di Como.
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