Dopo un periodo di tre anni, si è infiammato nuovamente il conflitto tra l’Azerbaigian e l’Armenia riguardo al Nagorno-Karabakh. I separatisti hanno richiesto al governo azero di sedersi al tavolo dei negoziati e di proclamare un cessate il fuoco.
Il governo armeno ha intanto fatto appello al Consiglio di Sicurezza dell’Onu affinché adotti misure adeguate per fermare questa offensiva.
In questa recente escalation, le forze provenienti da Baku hanno lanciato intensi bombardamenti sull’enclave armena e, secondo le accuse avanzate da Erevan, hanno avviato un’operazione terrestre mirante a prendere il controllo dei centri abitati nella regione.
Baku sembra però non essere disposta a cessare l’operazione, a meno che i separatisti depongano le armi e il “regime illegale” del Nagorno-Karabakh venga dissolto.
Intanto il governo russo mostra preoccupazione per “l’improvvisa escalation” e le ragioni sembrano essere molteplici. Nella regione del Karabakh la Russia ha 2000 peacekeeper a seguito della mediazione per un cessate il fuoco che pose fine alla guerra tra Azerbaigian e Armenia del 2020.
Tuttavia, nell’ultimo periodo i rapporti tra Mosca e il governo armeno si sono rapidamente raffreddati, a partire dalla ratifica, da parte del parlamento di Erevan dello Statuto della Corte Penale Internazionale, che obbligherebbe le autorità armene ad arrestare Putin qualora dovesse entrare nel Paese.
In più da dieci giorni le forze armate armene hanno avviato un’esercitazione congiunta con gli Stati Uniti.
Il ministro degli Esteri russo Lavrov ha convocato l’ambasciatore armeno definendo queste azioni come “scortesi”. In risposta a ciò le autorità armene lamentano un isolamento da parte del Cremlino.
In più, oggi alcuni peacekeeper russi sarebbero stati uccisi in un agguato nel Nagorno Karabakh.
L’Azerbaigian ha assicurato di aver preso di mira nei suoi bombardamenti solo infrastrutture militari, giustificando l’attacco come un’operazione anti-terrorismo. Un’accusa respinta da Erevan, che anzi parla di almeno venticinque persone uccise e decine ferite, tra cui anche civili.
L’Armenia lamenta quindi un tentativo di “pulizia etnica” da parte azera, ma per il momento l’Azerbaigian ha riaperto, grazie anche all’aiuto dei peacekeeper russi, il corridoio (chiuso nei giorni precedenti) di Lanchin, l’unico collegamento tra l’Armenia e il Nagorno-Karabakh.
Il conflitto
Il Nagorno-Karabakh, con una popolazione di 120000 abitanti, è una regione di etnia armena dell’Azerbaigian, fonte di conflitti e tensioni fin dal crollo dell’Unione Sovietica.
La regione è sotto il controllo delle forze separatiste armene dal 1994, ma nel 2020 il governo di Baku ha ripreso il controllo di alcune zone, provocando quasi 100.000 sfollati e la richiesta di un cessate il fuoco.
A dicembre la tensione sembrerebbe essere riesplosa, quando l’Azerbaigian ha bloccato la strada che collega il Nagorno-Karabakh con l’Armenia (corridoio di Lachin) accusando gli armeni di usarlo per contrabbandare armi.
Il blocco ha causato gravi carenze alimentari e medicinali nella regione, il che ha portato il governo di Erevan ad accusare Baku di genocidio.
In più, la regione ha una notevole importanza economica ed energetica grazie a due oleodotti che trasportano petrolio e gas dall’Azerbaigian attraverso il Caucaso, passando a soli 60 chilometri dal Nagorno-Karabakh.
Le reazioni mondiali e l’impegno per il cessate il fuoco
Al riaprirsi del conflitto moltissime nazioni e istituzioni, al di fuori della Russia hanno espresso preoccupazione e tentato di arrivare ad una soluzione non violenta.
Il segretario di Stato americano Anthony Blinken ha avuto colloqui separati con entrambe le parti per porre fine ad “un’operazione vergognosa dell’Azerbaigian”.
Macron ha avuto una conversazione telefonica con il primo ministro armeno Nicol Pashinian, denunciando l’azione militare. In risposta a ciò Baku ha dichiarato la politica francese “islamofoba e anti-azera”.
Al contrario la Turchia, da sempre vicina all’Azerbaigian ha lanciato un appello per un cessate il fuoco, giudicando comunque necessaria l’operazione azera.
Intanto nella capitale armena centinaia di manifestanti si sono riuniti dinanzi al palazzo del governo chiedendo a gran voce le dimissioni del premier, accusato di non aver difeso la popolazione armena del Nagorno-Karabakh.
La reazione italiana
Nella giornata di martedì 19 settembre, il vicepremier e ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha incontrato a a New York, in incontri separati, i ministri degli Esteri dell’Azerbaigian, Jeyhun Bayramov, e dell’Armenia, Ararat Mirzoyan. «Ho invitato l’Azerbaigian a cessare immediatamente l’azione militare. È necessario ritornare a un dialogo costruttivo per trovare una soluzione diplomatica in Nagorno Karabakh. Ho offerto la mediazione di Roma e anche proposto di valutare il modello di successo dell’Alto Adige». «L’Azerbaigian», ha aggiunto Tajani, «è un partner anche in campo migratorio, con il quale vogliamo intensificare la collaborazione nella lotta contro i trafficanti di esseri umani».
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