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È morto Jimmy Carter, aveva 100 anni

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Jimmy Carter, il presidente più longevo della storia è morto all’età di 100 anni. Da tempo sotto cure palliative, l’ex presidente democratico ha governato gli Stati Uniti in un periodo di lentezza economica e malessere sociale, entrando nella storia per aver tentato di rendere la politica un po’ più umana.

Il presidente più longevo della storia americana

Jimmy Carter fu il 39° presidente degli Stati Uniti tra il 1976 e il 1981, alla fine della cosiddetta seconda distensione della Guerra Fredda. Crisi energetica, problemi economici, colpi di stato sono solo alcune delle tante sfide che  Carter dovette affrontare durante il suo singolo mandato. Infatti, egli fu uno di quei presidenti a non essere rieletto per un secondo mandato, come George H. W. Bush.

Nonostante non era conosciuto a livello nazionale, Carter riuscì non solo a vincere le primarie del suo partito, ma riuscì anche a sconfiggere il suo avversario repubblicano Gerald Ford, presidente in carica dopo le dimissioni di Richard Nixon inseguito allo scandalo Watergate.

Fu proprio lo scandalo Watergate ad avvantaggiare la corsa di Carter alla Casa Bianca, favorito anche dall’amnistia che il presidente Gerard Ford, succeduto a Nixon, concesse a quest’ultimo e che il popolo americano non condivise. Carter si concentrò nei suoi discorsi molto sulla necessità di cambiare il modo in cui si pensava e si faceva politica, percorrendo la via dell’onestà e della rettitudine. Ciò che gli permise la vittoria fu il fatto di essere diverso dagli altri: un outsider, un imprenditore prestato alla politica. Carter aveva adottato un approccio improntato sulla realpolitik, concetto non aveva mai caratterizzato il sistema di valori democratici americano.

Dopo la sua elezione Carter assicurò alla nazione che avrebbe ristabilito i principi morali e i diritti umani come idee guida fondamentali della sua politica estera. Tuttavia, la sua vittoria agitò notevolmente Mosca e le sfere alte dell’URSS, soprattutto dopo la richiesta del neoeletto presidente americano di permettere ad Andrei Sakharov, dissidente russo censurato e perseguitato, di parlare in pubblico liberamente.

La rivoluzione iraniana e la fine della Presidenza Carter

Nel novembre del 1979, mentre Stati Uniti e Unione Sovietica portavano per le lunghe le ultime fasi degli accordi Salt II sul controllo delle armi strategiche, i seguaci del leader iraniano l’Ayatollah Khomeini assaltarono l’ambasciata americana a Teheran e presero in ostaggio 66 americani, di cui 52 di essi non vennero rilassati fino al 1981. In quel momento i fondamentalisti islamici avevano ormai consolidato il proprio controllo in Iran. L’impatto della rivoluzione iraniana decretò la «morte politica» di Jimmy Carter, avvalorando l’idea che fosse un presidente troppo debole per guidare una nazione chiamata a combattere il comunismo. La vicenda degli ostaggi contribuì infatti in larga misura alla vittoria di Ronald Reagan nelle elezioni presidenziali del 1980.

L’eredità politica di Jimmy Carter

Per la maggior parte degli storici americani, Carter è stato uno dei presidenti più sottovalutati dell’ultimo secolo per il ”fallimento” della sua presidenza, quando in realtà fu più significativa di quanto sembri. Tuttavia, grazie a Jimmy Carter si ebbero gli accordi di pace tra Israele ed Egitto a Camp David, l’accordo SALT II, la normalizzazione delle relazioni diplomatiche e commerciali con la Cina, la riforma dell’immigrazione. Fu lui che rese il rispetto dei diritti umani un principio cardine della politica estera americana e contemporanea.

Dopo la sua presidenza Carter si dedicò al sociale, all’aiuto dei meno ambienti e dei più sfortunati, americani e non americani. Di solito i presidenti americani dopo la fine della loro Amministrazione si ritirano a vita privata scrivendo le proprie memorie, Carter invece costruì case per i poveri negli Stati Uniti e all’estero e continuò a monitorare le elezioni in alcuni dei paesi più turbolenti e travagliati del mondo.

Nel 2002 Carter ricevette il Premio Nobel per la Pace grazie al suo «sforzo decennale nel trovare soluzioni pacifiche a conflitti internazionali».

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