L’emigrazione dal Sud Italia: una crisi inascoltata

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Le recenti proiezioni demografiche offrono uno sguardo allarmante sul futuro del Mezzogiorno: secondo un recente rapporto dell’ISTAT, si prevede che entro il 2080 la popolazione nelle regioni meridionali scenderà di ben 8 milioni di unità. Negli ultimi vent’anni, la perdita di residenti ha già superato il milione, e questa spirale di emigrazione sembra destinata ad accelerare. L’Unione Europea ha cercato di contrastare questo fenomeno attraverso ingenti investimenti, ma le opportunità offerte rischiano di essere sprecate.

A rendere complesso il quadro è il profilo dei migranti: se fino a poco tempo fa solo il 26% di coloro che si trasferivano al Nord possedeva un titolo di studio superiore, oggi la situazione è cambiata drasticamente. Nel 2022, il 42% dei giovani che hanno lasciato il Sud era laureato, evidenziando una preoccupante emorragia di talenti e competenze. Nonostante alcune realtà imprenditoriali di successo, come quelle in Campania e Puglia, la mancanza di opportunità lavorative qualificate continua a spingere i giovani verso altre regioni.

Il rapporto ISTAT mette in luce un paradosso: sebbene l’occupazione sia cresciuta tra il 2020 e il 2023, il numero di persone in povertà assoluta al Sud è aumentato di 250.000 unità, mentre al Centro-Nord è diminuito. Questo scenario è aggravato dal calo del lavoro nei settori chiave dell’economia, in particolare nel manifatturiero, mentre alcune aziende emergenti rimangono isolate in un contesto di stagnazione.

Un altro aspetto critico è rappresentato dalle infrastrutture, dove le scelte politiche restano insufficienti. Il turismo, spesso visto come una potenziale leva per la crescita, non ha ancora raggiunto il suo potenziale. Con solo 1,3 presenze turistiche per abitante, il Sud si colloca all’ultimo posto tra i Paesi OCSE, mostrando un divario significativo rispetto a regioni più sviluppate. Questo gap si fa ancora più evidente considerando che le regioni meridionali faticano a recuperare il calo delle presenze turistiche subìto nel 2020.

Il tema dei servizi sociali è un altro punto dolente. L’Europa ha più volte esortato l’Italia a migliorare l’accesso ai servizi per l’infanzia, ma la situazione al Sud è critica. Nonostante le risorse stanziate dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), le regioni meridionali rimangono sotto la soglia critica del 30% per quanto riguarda i posti negli asili nido. In Sicilia e Campania, l’offerta si attesta attorno al 16%, un dato inaccettabile per una società moderna.

Anche il tempo pieno scolastico, richiesto come obiettivo dall’Unione Europea, resta un miraggio per molti. A Palermo, ad esempio, il 73% dei bambini tra i 6 e i 10 anni non ha accesso a questo servizio.

Senza scelte politiche concrete e investimenti mirati, il Mezzogiorno rischia di continuare a spopolarsi, tranne che per qualche rara eccezione. È essenziale che le istituzioni si impegnino a promuovere politiche di sviluppo che possano realmente trasformare questa crisi in un’opportunità, ponendo le basi per un futuro sostenibile e inclusivo. Solo allora il Sud potrà sperare di fermare il suo inesorabile declino demografico e sociale.

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