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Napoli, un viaggio dantesco fra l’Armenia e la Palestina a cura della Federico II

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Nel calendario di iniziative e seminari che hanno caratterizzato questo coinvolgente anno accademico dell’Università Federico II, non possiamo fare a meno di ricordare l’esperienza  dell’evento “Dire l’inferno con (e oltre) Dante”, presso l’aula Piovani della sede di via Porta di Massa, 1 dell’università partenopea.

di Antonio Bassano

La conferenza, a ingresso libero, si è svolta giovedì 4 aprile, dalle ore 14:00 alle ore 19:30, in diverse fasce orarie sul modello delle numerose iniziative tenutesi nel corso degli anni nelle più prestigiose città italiane, volte a commemorare il genocidio armeno.

L’incontro ha visto la partecipazione di molti docenti i cui chiari interventi scanditi da vivida e coinvolgente memoria, hanno toccato la sensibilità dei presenti che hanno avvertito quello spirito armeno che soffre ancora per le vicende consumatesi negli anni della Prima Guerra Mondiale.

Al centro del dibattito:  la convergenza fra gli orrori del genocidio e l’Inferno del sommo poeta Dante Alighieri  che, nei sui Canti ha rappresentato gli orrori e gli strazi delle anime dannate.

Fin dai primi dell’Ottocento è nata una ricca tradizione dantesca in lingua armena. Molti studiosi hanno sviluppato un ricco filone culturale di rilettura e reinterpretazione dei Canti della Divina Commedia che ha portato alla nascita di nuove creazioni poetiche fatte dai rivoluzionari armeni.

L’influenza dantesca negli scritti dei più importanti poeti armeni del XX secolo ha dato il via a varie interpretazioni sull’opera: si tratta, infatti, di momenti in cui l’inferno di Dante è stato armonizzato alla situazione politica e alle grandi lotte rivoluzionarie armene dell’epoca.

I poeti armeni hanno, dunque, scritto una serie di poemi “danteschi” per parlare dei massacri subiti dalla loro gente, creando così una tradizione letteraria ispirata all’inferno, momenti letterari dove la descrizione “dell’inferno terrestre” spunta nelle opere di Siamanto, Yeghishe Charents, Hovhannes Shiraz e tanti altri, alcuni di questi sono divenuti vittime del genocidio (Siamanto) o delle grandi purghe del regime stalinista (Yeghishe Charents).

La drammatica storia

Dante compare nella poesia armena fra Ottocento e Novecento, periodo in cui  l’Impero Ottomano si estendeva sulla parte occidentale del territorio e i possenti artigli dell’Impero russo sulla parte orientale.

Dal fronte occidentale, gli armeni sono costretti a subire disumane repressioni e assalti, mentre in quello orientale, malgrado la politica zarista di assimilazione, che garantiva comunque una certa tolleranza, non vivono in condizioni ottimali.

Siamo dinanzi a periodi sociopolitici di grande cambiamento, gli stessi che poi hanno causato conseguenze irreversibili per molti popoli, anche per gli armeni che di lì a poco sarebbero stati vittime di sanguinosi eventi che portano con sé morte e distruzione in entrambe le realtà territoriali.

Fra il 1894 e il 1896, nell’Impero Ottomano si consumano i massacri hamidiani ai quali segue il genocidio armeno perpetrato dai Giovani turchi durante la Prima guerra mondiale (1914).

Conseguentemente i territori dell’Armenia occidentale vengono svuotati dalle loro genti con la successiva distruzione anche dei loro monumenti architettonici. Nella parte orientale, invece, in seguito alla rivoluzione russa (1917), avviene la guerra armeno-turca che dà vita alla prima repubblica armena (1918), la quale non è destinata ad essere indipendente. Due anni dopo, nel 1920, la neonata repubblica viene annessa alla nascente Unione Sovietica. Alla sovietizzazione seguono poi le purghe staliniste degli anni Trenta.

Un breve excursus sull’evento

Nel corso dell’evento sono state presentate diverse opere letterarie che hanno affrontato, su più punti, il tema del genocidio.

Dopo una breve introduzione, moderata da Andrea Mazzocchi e Gennaro Ferrante, è seguita una produttiva conversazione con gli autori de “L’incidente di Caccia” (David L. Carlson e Landis Blair) sull’inferno di Dante e sul potere salvifico dell’immaginazione.

Successivamente si è fatto strada il dibattito di Alfonso Pampanella e Anush Torunyan (moderato da Kristina Lands dell’Università di Bologna e da Vittorio Celotto della Federico II) sulla “Leggenda dantesca” di Yeghishe Charents (poeta la cui vita è strettamente legata alla situazione sociopolitica dei primi decenni del Novecento, soldato dell’Armata Rossa prima e bersaglio delle purghe staliniste poi, è definito dai suoi contemporanei il “Dante della letteratura armena”).

Con le opere “Leggenda dantesca” e “Libro della via” Charents ha spianato la strada a chi ha saputo raccogliere la sua eredità letteraria, divenendo così un faro per tutti coloro che, nel mondo, hanno un ruolo attivo nell’eterna battaglia tra oppressi e oppressori.

Nel primo pomeriggio c’è stato l’intervento di Martina Riccucci dell’Università di Pisa intitolato “Voci dall’inferno. Testimonianze dei sopravvissuti ai lager”, seguita poi da una brevissima pausa pranzo e un interessante dibattito sui testi.

L’evento ha avuto modo di sfociare nel contemporaneo caso palestinese, affrontando così una situazione geopolitica contemporanea dibattendo sull’opera “Gaza Writes Back” (di Rafat Alaarer) con l’autore dell’edizione italiana Luigi Caruso e i moderatori Monica Ruocco e Hasfa Marragh dell’Università L’Orientale di Napoli.

Dopo c’è stata l’anteprima nazionale del film “Il canto dei vivi” a cura della regista, documentarista e reporter di guerra (fondatrice dell’ONG “Limbo”) Cécile Allegra, che ha portato la propria testimonianza ne “Il limbo dei sopravvissuti”.

Con il dibattito conclusivo abbiamo avuto la possibilità di avere un confronto con la psicanalista Virginia De Micco, Elisabetta Abignente, Chiara De Caprio, Barbara De Rosa e Valerio Petrarca (della Federico II).

Link

https://www.dante.unina.it/public/pagine/novita

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