Ieri pomeriggio nella splendida cornice del Grand Hotel di Telese Terme la prima giornata della tre giorni di lavori della “Law Summer School 2024”, su “Le nuove frontiere del Diritto”, che è proseguita nella giornata di oggi e si concluderà sabato prossimo.
Il seminario è stato organizzato dall’Università degli Studi del Sannio, con il Comune di Telese e con la collaborazione della Scuola di Formazione della Camera Penale di Benevento. Nel comitato scientifico che ha promosso l’interessante ciclo di incontri il prof. Vincenzo Verdicchio, il prof. Ennio Cavuoto, la prof.ssa Antonella Marandola, il prof. Nicola Ruccia, l’Avv. Vincenzo Regardi e l’Avv. Filomena Di Mezza, molti dei quali diretti partecipanti ai lavori, come relatori e moderatori del dibattito.
Assoluto protagonista dell’evento, Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli.
I saluti istituzionali nella prima giornata di ieri (giovedì 19 settembre) sono stati rivolti dal prof. ing. Gerardo Canfora, Magnifico Rettore dell’Università degli Studi del Sannio, dal Sindaco di Telese Terme, Giovanni Caporaso, dal prof. Vincenzo Verdicchio, Presidente del Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza dell’Unisannio e, per la Confindustria, dal Vice- presidente Clementina Donisi.
Ancora una volta, l’ateneo sannita si conferma, formidabile motore propulsore della cultura e della ricerca scientifica di qualità, anche in campo giuridico, provando ad esplorare le nuove frontiere del diritto, con le sfide lanciate dalle nuove tecnologie dell’intelligenza artificiale, soprattutto nell’ambito del processo penale. I temi proposti nel ciclo di incontri della “Law Summer School” riguardano, infatti, la “Criminalità organizzata e le nuove tecnologie”, che ha costituito il focus della prima giornata di ieri, la “Sostenibilità e l’ambiente”, nella giornata di oggi, e le “Neuroscienze e il processo”, nell’approfondimento finale di sabato 21 settembre.
Si tratta, evidentemente, di argomenti che impattano profondamente già oggi sul diritto penale e sul processo; basti pensare alle nuove metodologie e agli strumenti d’indagine nel mondo digitale (cyber-detective) per il contrasto alla criminalità organizzata, alla giustizia predittiva, ai nuovi scenari della criminalità informatica, al tema delle intercettazioni e all’interazione tra neuroscienze e processo penale.
Il seminario ha registrato la partecipazione attiva di oltre 70 giovani studenti del Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza dell’Unisannio; presente anche il prorettore dell’ateneo sannita, prof. Giuseppe Marotta.
L’intervento a tutto campo di Nicola Gratteri
Ma torniamo all’apertura della tre giorni, iniziata ieri pomeriggio, con l’introduzione dei lavori da parte del Procuratore Nicola Gratteri che si è intrattenuto sulle nuove forme di criminalità organizzata al tempo delle nuove tecnologie, in particolare, dell’intelligenza artificiale e delle importanti questioni e prospettive che si pongono sul fronte del contrasto alle mafie.
A dire il vero, l’intervento di Gratteri, come è suo solito, è stato senza filtri e a tutto campo, partendo dall’analisi delle origini e cause dei fenomeni della criminalità organizzata nel nostro Paese, che siamo abituati ad identificare con il termine di mafie. Il richiamo al dato storico, a partire dalla seconda metà dell’800, quindi dal periodo post unitario fino ai giorni nostri, consente – effettivamente – di comprendere ed inquadrare meglio il contesto, i caratteri e le dinamiche del fenomeno delle mafie, che, nel tempo, in modo sempre più pervasivo, si sono infiltrate nella società civile. Spesso, sono state favorite e legittimate dalla “distrazione” della politica e delle istituzioni nazionali, in continua trasformazione ed evoluzione ad un ritmo superiore alla capacità, di volta in volta, messa in campo dallo Stato per contrastarle. E così, ha detto Gratteri, già tra la fine dell’ ‘800 e i primi del ‘900, al tempo in cui c’era ancora il latifondo, la “picciotteria” veniva legittimata dalla stessa classe dirigente locale che a questa si rivolgeva, a scapito dello Stato e delle sue istituzioni, che, quindi, perdevano progressivamente credibilità: “il popolo, i contadini intendevano il picciotto come loro interlocutore e non i Carabinieri”. Il Procuratore della Repubblica di Napoli, a tal proposito, ha voluto ricordare episodi concreti del passato, raccontando, ad esempio, quello che avvenne con il rovinoso terremoto di Reggio Calabria e Messina del 1908 (che causò la morte di circa 100.000 persone), quando per la ricostruzione il governo dell’epoca stanziò ben 175 miliardi di lire, elargendo contributi ai terremotati pari al 70% del costo stimato per le nuove costruzioni; tuttavia, allora non si tenne conto del fatto che quelle famiglie di sopravvissuti erano composte da disperati che non avevano più nulla e non potevano certo disporre della restante parte (30%). Il provvedimento del governo si rivelò, quindi, sbagliato perché fece sì che intervenisse (in aiuto di questi disperati) la mafia americana, composta soprattutto da oriundi calabresi, campani e siciliani, con l’apertura in quelle terre (tra Palmi e Reggio Calabria) di numerose banche ed agenzie, nate proprio con lo scopo di finanziare, con prestiti usurari, la ricostruzione. In quel caso: “…una legge sbagliata dello Stato alimentò lo sviluppo della criminalità organizzata”.
Dopo una lunga disamina sulle origini e cause del fenomeno, Gratteri è tornato al racconto della criminalità organizzata per come è diventata e si muove ai tempi nostri, ricordando che le mafie non sono una struttura statica (se così fosse, il problema sarebbe facilmente risolvibile), bensì organizzazioni che mutano ed evolvono, come del resto fa la società: “per esistere hanno bisogno di consenso popolare e si comportano esattamente come un’azienda, cercando pubblicità … (nella seconda metà del ‘900 lo facevano comprando, ad esempio, delle squadre di calcio, ristrutturando le facciate delle chiese …), per ottenere il consenso della classe dirigente e dei professionisti locali per arrivare al compiacimento del popolo…”.
Con l’avvento di internet, dei social e di una certa cinematografia, ha sottolineato il magistrato calabrese, le mafie hanno cercato di apparire come “modelli vincenti”, mirando al consenso di quelle persone (soprattutto giovani), non sufficientemente strutturate da un sistema di solidi valori. In Italia – ha aggiunto – la prima mafia ad utilizzare facebook è stata la Camorra; con la nascita di TikTok le mafie si sono, quindi, spostate su questo social, maggiormente seguito dai giovani, a cui la criminalità organizzata guarda con molto interesse, al fine di arruolarli tra le proprie fila. A questo punto, Gratteri ha raccontato come un intero capitolo del suo ultimo libro che si occupa di questi temi sia stato dedicato proprio al fenomeno dei social, denunciandone l’uso improprio e pericoloso che ne fa la criminalità organizzata; per le considerazioni qui espresse è stato contattato qualche mese fa dai dirigenti di Dublino di TikTok che volevano conoscere i motivi delle doglianze. A seguito di un incontro chiarificatore, ha ottenuto di far cancellare dalla piattaforma circa 36.000 contenuti/video che inneggiavano a vario titolo alle mafie, alla violenza e alla droga. Il magistrato ha, quindi, ricordato che – oggi – le mafie utilizzano meglio di tutti le nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale, addirittura facendosi costruire proprie piattaforme di comunicazione, che, benché la circostanza possa sembrare assurda, non sono sottoposte ad alcun controllo da parte delle istituzioni degli Stati, creando banche on line per svolgere attività illegali, operando sui mercati finanziari con le criptovalute, entrando nel dark web per comunicare e scambiare illegalmente ogni tipo di merce.
Sul fronte della capacità investigativa, che più lo riguarda da vicino, Nicola Gratteri ha raccontato, con amarezza, agli studenti della Law Summer School la situazione di difficoltà e disagio vissuta oggi dalla polizia giudiziaria italiana. Fino agli inizi del 2000, era sempre stata riconosciuta da tutti, anche all’estero, come la migliore del mondo, ma in questi ultimi anni ha perso molta della sua capacità tecnico-operativa, rispetto alle polizie di altri Paesi, non potendo più disporre delle risorse e degli strumenti necessari: “…senza che nessuno neppure si preoccupi di questo, da qui a cinque anni, per il contrasto efficace alle mafie”.
A questo punto, Gratteri ha rivolto una dura critica alle riforme Cartabia e all’ultima di Nordio, che di fatto – a suo dire – hanno indebolito fortemente la capacità dello Stato e degli investigatori nell’azione di contrasto alle mafie. Si pensi al tema delle intercettazioni, di cui da tempo si discute soltanto in termini di costo, ritenuto eccessivo, senza – però – considerare gli enormi introiti che le stesse contribuiscono a far conseguire allo Stato, attraverso i proventi dei sequestri dei beni, disposti dall’autorità giudiziaria; oggi si torna a dire come queste pesino ancora troppo sul bilancio dell’amministrazione della giustizia: “Il ministro ha detto che bisogna tornare ai pedinamenti“. Gratteri ha sottolineato come, se è vero che le intercettazioni costino allo Stato circa 170 milioni di euro all’anno, non si tiene conto di quanto le stesse consentano allo Stato di incassare: “Faccio un esempio: la Procura di Napoli ha speso circa 5 milioni di euro nell’ultimo anno per le intercettazioni e nello stesso anno – però – grazie soprattutto a queste ha sequestrato beni per circa 250 milioni di euro; è evidente, quindi, che esse, sul piano economico, costituiscano un affare per lo Stato”. L’esperto magistrato, dal punto di vista operativo e dell’efficienza dell’azione amministrativa, ha poi suggerito di trasferire da subito i beni immobili confiscati all’Agenzia dei beni confiscati (da riorganizzare con professionisti ed esperti di settore), piuttosto che, come accade oggi, affidarli ad amministratori giudiziari con l’intervento di magistrati (che poi non si occupano di gestione di aziende); si tratta, per la generalità dei casi, di beni immobili e di imprese – ha evidenziato il Procuratore della Repubblica di Napoli – che, se stessero sul mercato alle condizioni normali, non avrebbero alcuna reale redditività e, quindi, possibilità di rimanerci.
Sempre sul tema delle intercettazioni, Gratteri è ritornato sulla questione dei reati di corruzione, concussione e peculato, chiedendosi quali siano le effettive prospettive disegnate dalle riforme di questi ultimi anni: “io voglio sapere cosa si intende fare, cioè se io posso utilizzare la stessa tecnologia (troyan, ambientali, internet,) che già uso per i processi di mafia, anche per i reati che riguardano la pubblica amministrazione … pensate anche a qual capolavoro dell’improcedibilità (dell’azione penale in caso di mancata definizione del giudizio di appello entro due anni…)” ; la Cartabia, infatti, ha previsto limiti predeterminati di durata delle impugnazioni e, per il grado di appello, la durata è di due anni, destando la preoccupazione dei procuratori generali (presidenti di Corte di Appello) di tutta Italia, che rilevano come, con questo sistema, il 50% delle condanne in 1° grado verrebbe annullato.
In chiusura del suo accorato intervento fiume, sollecitato dalla prof.ssa Antonella Marandola sulla questione dei controlli per gli appalti del PNRR, Nicola Gratteri ha ricordato come, rispetto al moltiplicarsi degli appalti da monitorare, le forze in campo rappresentate dalla polizia giudiziaria siano le stesse di ieri e, quindi, in numero assolutamente insufficiente. Sulla questione dei sub-appalti, il magistrato calabrese ha criticato quanto rimproverato dall’Europa all’Italia per aver (giustamente il nostro Paese) limitato il sub-appalto: ”E’ una follia, è proprio nel sub-appalto che ci sono gli spazi, gli interstizi, per la corruzione”.
A seguire, sempre per rispondere ad una domanda della prof.ssa Marandola sulla eventuale necessità di muoversi sul piano della cooperazione internazionale per contrastare le mafie e regolamentare anche le questioni riferite ai sistemi (tecnologici) di comunicazione, Gratteri ha aggiunto: “ dal mio osservatorio io penso che il mondo sia comandato dalle multinazionali e da due/tre/quattro Stati; per il resto siamo delle semplici comparse, compreso l’ONU”; sono le multinazionali che scelgono dove andare per pagare meno tasse e lo stesso accade nella stessa comunità europea, dove non si è in grado neppure di discutere su chi debba pagare le tasse e in che misura … è il mondo economico che condiziona tutto il resto e qualsiasi decisione politica “.
Infine, il Procuratore della Repubblica di Napoli ha affrontato tante altre questioni che oggi sono al centro del dibattito pubblico: dall’intelligenza artificiale e della sua necessità di regolamentazione, da quella delle carceri, sovraffollate (soprattutto per la presenza di tossicodipendenti per reati di piccolo spaccio), sebbene non ne siano state costruite di nuove, dove – comunque – molti detenuti riescono a procurarsi addirittura i telefonini per comunicare all’esterno; per finire, al tema delle competenze, che spesso mancano in ruoli apicali dell’amministrazione pubblica e in chi fa riforme della giustizia, come nel caso di quella Cartabia, senza neppure essere mai entrato in un tribunale o in un carcere.
L’intervento di Ortensio Zecchino
A seguire, l’intervento del Senatore Ortensio Zecchino, storico del diritto e già (per tre volte) Ministro dell’Università e della ricerca. L’autorevole ospite è stato presentato dall’Avv. Vincenzo Regardi, che ne ha ripercorso il profilo professionale, ricordando come sia stato uno dei principali protagonisti della stagione che portò all’istituzione dell’Università degli Studi di Benevento, nata per gemmazione da quella di Salerno all’inizio degli anni ’90 e, qualche anno dopo, diventata autonoma (con decreto del 1° gennaio 1998). Ortensio Zecchino, coadiuvato dal prof. Vincenzo Verdicchio, Presidente del Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza dell’Unisannio, ha, quindi, avuto l’onore di presentare la Summer School e le attività che da questa vengono svolte nel campo degli studi giuridici.
Zecchino, da par suo, ha poi svolto il suo intervento, partendo da una chiara ed efficace “cavalcata” storica sull’evoluzione del diritto, da quello romano al tempo dell’Antica Roma, fino alla Costituzione Repubblicana, quella che afferma i “diritti sociali” e il diritto c.d. “giurisprudenziale”, in cui si declinano principi e si interpretano valori, mettendo in discussione il sistema precedente, esclusivamente “legislativo”. L’insigne giurista ha voluto, comunque, sottolineare due “ipocrisie” che, a suo giudizio, permangono ancora nel nostro sistema; si pensi all’art.101 della stessa Costituzione “… I Giudici sono soggetti soltanto alla legge”, quando, invece, sappiamo che non c’è solo la legge ma anche la possibilità e la necessità di interpretarla, pensando, ad esempio, proprio ai diritti sociali, al fine di trovare un più giusto equilibrio e contemperamento degli opposti interessi in gioco. La seconda grande ipocrisia dell’attuale sistema, segnalata dall’illustre Senatore, starebbe nel permanere dell’obbligatorietà dell’azione penale, principio che potrebbe essere rivisitato in ragione delle necessità e degli interessi sociali comunque da considerare. Zecchino, quindi, ha invitato gli studenti presenti a tener conto del fatto che si è passati dal secolo precedente, quello del diritto esclusivamente “legislativo”, a quello attuale c.d. “giurisprudenziale”, e che la separazione dei poteri, affermata da Montesquieu, se non risulta in grado di garantire un giusto equilibrio tra gli stessi, rischia di non far evolvere, come invece dovrebbe, il diritto.
Le nuove frontiere del diritto
Sulle nuove frontiere del diritto, assai efficaci ed interessanti le relazioni delle prof.sse Antonella Marandola, ordinario di diritto processuale penale presso l’Università del Sannio e Donatella Curlotti, ordinario di diritto processuale penale presso l’Università di Foggia.
Antonella Marandola, oltre a moderare alcune sessioni del seminario, ha tenuto un’approfondita relazione sugli “strumenti d’indagine per il contrasto alle nuove mafie”, molto apprezzata dall’uditorio, evidenziando come occorra favorire un nuovo approccio al diritto penale, formando una nuova classe di giuristi capaci di conoscere ed utilizzare le tecnologie e l’informatica, consapevoli che le neuroscienze sono già parte del processo penale.
Donatella Curlotti, forte della sua esperienza in campo didattico e in ambito processuale, ha dedicato la sua relazione su “A.I. e prova penale: dietro le illusioni e le paure”, alle nuove frontiere aperte dall’intelligenza artificiale, che ha cambiato completamente la prospettiva sul concetto della “percezione del sé” (di sé stessi, oggi condizionata in modo crescente dal web e dai social) ed anche di quello di “presenza”, che oggi può anche non essere solo più semplicemente fisica (in rete, on line). Per i giovanissimi, ad esempio, la presenza fisica o in rete già sono la stessa cosa. Si tratta di due modi di vivere le dimensioni personali completamente diverse; cambiamenti epocali formidabili, veloci, continui ed incessanti, mai avvenuti prima, che ci hanno improvvisamente catapultati in un altro mondo (informazionale): “quello che i filosofi chiamano ambientalismo digitale, in una realtà che è molto meno vera, apparentemente, di quello che pensate; cioè la realtà digitale è quanto di più falso che ci sia; la realtà è artificiale, fatta di dati artificiali, in una dimensione artificiale; il tempo vi dimostrerà che la tecnologia più avanzata produce realtà apparentemente vere ma che non hanno nulla di vero, nella misura in cui ciò quello che arriva è modificabile alla velocità della luce”.
Siamo davanti, secondo Curlotti, ad una rivoluzione epocale (la 4°), in un tempo contraddistinto da “una rinnovata antropologia”, che ci induce a rivedere tutto: “perché se il tempo e lo spazio non sono più quelli fisici, tutto ciò che gli gira intorno deve cambiare, perché il mondo è fatto di dimensioni nuove; l’uomo ha la possibilità di rimaner e al centro del mondo, solo se ha la consapevolezza che, forse, potrebbe esserne scalzato”. Tutto ciò si riverbera, evidentemente, anche sulle categorie del diritto: “ con una nuova antropologia processuale… Siamo al cospetto di una quarta enorme rivoluzione (dopo quella copernicana, quella poi di Darwin, quella freudiana), che avevano in comune quello di porre al centro del mondo l’uomo e il suo pensiero; a differenza di quelle di ieri, oggi, con l’A.I., accade che l’essere umano ha un competitor nelle macchine computazionali, che provano a simulare il ragionamento dell’uomo”. Insomma, gli scenari prospettati dalla prof.ssa Curlotti, se da un canto affascinano, dall’altro intimoriscono; si tratta – però – di sfide che non possiamo eludere e, quindi, anche nell’ambito del rinnovato processo penale occorre considerare.
In conclusione, l’Avv. Vincenzo Regardi, responsabile della Scuola di formazione della Camera penale di Benevento, ha ribadito la necessità di affrontare e sviluppare il rapporto tra neuroscienze e diritto, consapevoli dei contributi che le neuroscienze possono dare al processo penale. L’Avv. Filomena Di Mezza, del comitato scientifico ed organizzatore dell’evento, si è detta felice dell’iniziativa che ha richiamato sul territorio decine di studenti, operatori del diritto e del mondo accademico in una tre giorni molto partecipata.
La sessione di oggi su “sostenibilità e ambiente”
L’appuntamento di oggi è stato dedicato al tema “Sostenibilità e ambiente”, con l’intervento di illustri rappresentanti del mondo scientifico, tra cui la prof.ssa Patrizia De Pasquale (ordinario di Diritto della UE – Università di Napoli, Federico II°), del prof. Nicola Ruccia (ricercatore di Diritto della UE dell’Unisannio), del prof. Oreste Pallotta (Associato di Diritto dell’UE – Università di Palermo), della prof.ssa Francesca Ruggieri (ordinario di Diritto processuale – Università dell’Insubria), dell’ing. Michele Vitiello, della Dr.ssa Giulia Barone, del Dr. Angelo Correra e del prof. ing. Aaronn Visaggio, sempre dell’Unisannio.
La sessione di domani su “neuroscienze e processo”
Domani, sabato, i lavori continueranno sul tema delle “Neuroscienze e processo”, con gli interventi dell’Avv. Vincenzo Regardi, che svolgerà una relazione su “Neuroscienze e processo: la difficile interazione e gli ostacoli sulla strada della rifondazione del diritto penale”, della prof.ssa Silvia Pellegrini (ordinario di Biochimica clinica – Università di Pavia), del prof. Pietro Pietrini ( ordinario di Biochimica clinica IMT Lucca), del prof. G. Spangher (emerito di diritto processuale penale – La Sapienza di Roma) che relazionerà su “Neuroscienze e profili processuali” e “Verso un nuovo statuto della prova” e del Dott. Agostino Ghiglia dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali.
Le conclusioni della tre giorni telesina saranno affidate all’Avv. Filomena Di Mezza, Assessore del Comune di Telese Terme.