Il Pd si invola verso il congresso. Un appuntamento politico che, normalmente, sarebbe importante ma che viene ridotto ad una bazzecola dai protagonisti.
Pd: la strada per il congresso lastricata di cattive intenzioni
Il Pd è sempre stato, da quando è nato, un’entità parecchio sui generis. Non si usi l’aggettivo più scorretto, ma il senso è certamente comprensibile. Il Partito Democratico uscì da una improbabile gestazione che però aveva dato i suoi frutti. Senza risalire troppo alla genesi, perché appunto molto nota in tal senso, ma è necessario tornare indietro di un po’ per capire il presente. Quando il Pd nacque era un concerto vivente: non c’era una direzione maestra ma tante entità, tutte di sinistra. Dunque esisteva, almeno in origine, un’idea. Ci si potrebbe chiedere, quindi, come si possa essere arrivati fino a questo punto.
Chiariamoci: il partito gode di una discreta salute, non è in sfaldamento come raccontano molti. E’ un progetto che perde voti, ma che alle politiche sfiora sempre il 20% dei consensi tra i votanti. Il punto è la direzione quella che, appunto, il congresso dovrebbe dare ma che si riduce ad una fiera del protagonismo. Troppi galli a cantare. Quindi una strada non c’è davvero, almeno non esiste una direzione unica. Con Renzi il partito era una cosa, con Prodi prima e Bersani dopo un’altra, con Gentiloni un’altra ancora mentre con Letta ha avuto un’identità diversa. Resta da chiedersi cosa ne sarà di questo partito.
Bonaccini il favorito: viene meno l’orgoglio di sinistra
D’altronde non sarebbe una sorpresa vedere Stefano Bonaccini segretario del Pd. Con Elly Schlein l’accordo è tacito: uno dei due resterà in Regione Emilia-Romagna, a dirigere, e l’altro si prenderà il partito per un quinquennio (o meno). Bonaccini è il favorito, ma non è orgogliosamente di sinistra e la direzione che darebbe al Partito Democratico sarebbe simile a quella data da Renzi.
Il grande problema della sinistra italiana, se ancora così vogliamo definirla, è che ha dato la sinistra italiana (e quindi presumibilmente sé stessa) per spacciata. Non ci credono più. Almeno non credono più in quella direzione, ma sono distanti dal Paese e dall’elettorato che, invece, di sinistra ha una gran voglia (ed infatti perdono voti). Stefano Bonaccini, che è un politico di spessore e molto abile anche nella retorica, potrebbe completare il processo di accentramento. Così come potrebbe farlo Vincenzo De Luca, il Presidente della Campania, che attualmente sembrerebbe fuori dai giochi ma mai dire mai.
Dario Nardella, invece, è un’incognita ma sembra che la sua possibile candidatura sia bruciata per paura. Più facile saltare sul carro di Bonaccini e portarlo in trionfo. Con loro si creerebbe una leadership molto forte ma che, sostanzialmente, agli elettori di sinistra non farebbe né caldo né freddo.
Le candidate: Elly Schlein e Paola De Micheli sono vittime del dibattito
Ci sono poi loro: le candidate donne. Essere donna nella sinistra italiana significa avere una spada di Damocle infilzata sul collo. Quando restano un passo indietro tutti le stimano, quando fanno un passo avanti fanno il pelo e il contropelo (e visto che ci avviciniamo al periodo abbiamo citato anche Sanremo).
Andiamo in ordine sicuramente per rispettare la gerarchia: Paola De Micheli è una donna importante del Pd. Politica di primo piano già da diversi anni è stata la prima a sciogliere la riserva annunciando di volersi prendere il partito. Perché si parla così poco di lei? E’ vero che la sua esposizione politica la rende una delle donne più importanti del partito ma è vero anche che paga alcuni scotti interni. Sarebbe troppo adesso parlare delle varie correnti, ma fatto sta che non sembra avere un sostegno forte della base. Non è mai stata la favorita nonostante sia stata la prima a candidarsi. De Micheli paga lo scotto mediatico di aver cambiato spesso idee ed amicizie nel Pd, ma le si riconosce di non aver mai cambiato direzione.
Il problema di tutto questo dibattito interno è capire quanto il prossimo leader del Pd sarà a sinistra o meno. Su Paola De Micheli ci sono dei dubbi: è una guerriera, non ci piove, porta avanti idee progressiste ma non sembra avere un’anima fortemente di sinistra. Per questo motivo Elly Schlein l’ha superata come candidatura femminile e, almeno mediaticamente, si è portata a sfidare Bonaccini. Il motivo è molto semplice: lei ed il suo Presidente di Regione arrivano da un territorio che vota ampiamente il partito e quindi sono già iniziati i conti della serva.
Elly Schlein ha in sé una soluzione ed un problema. La soluzione è che ha un’anima fortemente di sinistra: l’attenzione che pone sui diritti, ed il consenso che l’accompagna, la potrebbero rendere il partito più amato. Poco fa ha annunciato ufficialmente la candidatura, ma non c’erano grandi dubbi a riguardo. Ciò che si dubita di lei è che, proprio perché è di sinistra, ha lasciato il Pd ed infatti non risulta iscritta. La domanda sorge spontanea: davvero il Pd ha bisogno di lei? Ecco questo è il vero punto, ed è ciò che fa dire e scrivere di un partito in crisi. Un partito che ha bisogno di prendere i personaggi del momento, che candida i non iscritti, che alle politica presenta personalità civiche, è un partito che non ha identità.
Cercare una giusta direzione ma coinvolgere la base
Elly Schlein dovrà smentire chi dice che non ha la stoffa della leader, ma sicuramente lei col Pd attuale c’entra poco, anzi nulla. Lei rappresenta l’ennesimo sgarro alla base, proprio quella base che soffre di incomprensione e che, proprio a Bologna, ha sofferto Casini. Così come chi ha sofferto i candidati virologi proprio nel Pd (e non si tratta di essere anti-scientifici).
Si doveva premiare la base ed invece si favorisce il modello Elly Schlein. La strada per il congresso del Partito Democratico è lastricata di cattive intenzioni e, così facendo per l’ennesima volta, ha perso la base.
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