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Pnrr, scippo al Sud nel silenzio tombale

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Il Sud sta subendo uno scippo inaudito, nel silenzio generale. Miliardi e miliardi del PNRR destinati alle aree fragili del Paese, infatti, verranno drenate verso altre regioni, con un trucco di cui si sta parlando pochissimo.

Editoriale del condirettore Luca Antonio Pepe

Ma facciamo un passo indietro e poniamoci una domanda: fatta 100 la dotazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, qual è l’importo previsto per il Mezzogiorno? Questo quesito necessita di una parentesi puntuale.
Tutti i documenti della Commissione Europea in materia di Recovery Fund evidenziavano l’importanza ricoperta dagli obiettivi di coesione territoriale e sociale. Temi, questi, sottolineati soprattutto dalla ‘Guida ai Piani di Ripresa e Resilienza degli Stati Membri’ (Bruxelles, 17.09.2020 SWD (2020)205 final).
Dopo settimane di trattative, nel 2020, si arrivò ad un testo condiviso dalla Commissione Europea, il documento “Com (2020) 408 Final” del 28/05/2020”, la cui pagina 8 riportava i criteri che l’Unione Europea avrebbe adottato per il calcolo dei contributi previsti per gli Stati membri. In particolare, si leggeva:
“L’importo massimo per Stato membro sarà stabilito in base a un criterio di ripartizione definito. Tali importi saranno calcolati in base alla popolazione, all’inverso del prodotto interno lordo (PIL) pro capite e al relativo tasso di disoccupazione di ciascuno Stato membro.”

Che significa?

Che gli Stati più abitati devono percepire più fondi (criterio della diretta proporzionalità rispetto alla popolazione).
Che gli Stati più poveri devono percepire più fondi (criterio dell’inversa proporzionalità rispetto al livello del reddito pro-capite).
Che gli Stati che contano più disoccupati devono percepire più fondi (criterio della diretta proporzionalità rispetto al tasso di disoccupazione).

E’ logico ritenere che, alla luce delle suddette variabili, l’Italia ha ottenuto un importante quota (209 miliardi) soprattutto “grazie” alle Regioni meno sviluppate, che recano un Pil più esiguo e una minore occupazione. Insomma, senza la ‘zavorra’ meridionale, il nostro Paese non avrebbe mai ottenuto un quarto dell’intera dotazione prevista per tutti gli Stati membri.

Quindi, dietro quelle poche righe di pagina 8, si celava una chiara quanto complessa strategia europea, volta a potenziare il Sud. Ne deriva che per non stravolgere i Piani di Bruxelles, il nostro Paese avrebbe dovuto destinare alle aree fragili percentuali bulgare del Recovery Fund. Sì, ma quanto?
Certamente l’Unione Europea non avrebbe potuto imporre agli Stati Membri delle modalità di riparto interne, non potendo entrare nella politica nazionale. Ma – com’è avvenuto – ha lanciato un messaggio chiaro, deliberando una distribuzione degli 800 miliardi secondo la logica del Pil e del tasso di disoccupazione. Logica che avrebbe dovuto seguire anche l’Italia, stabilendo un riparto tra le varie regioni o macroregioni, secondo lo stesso criterio. E cioè, dare di più ai territori che contano maggiori disoccupati e che recano un Pil più basso. Ma non in maniera generica e a parole, ma proprio applicando le stesse formule, gli stessi criteri, gli stessi parametri che Bruxelles ha adottato per stabilire il riparto degli 800 miliardi a livello europeo.

Insomma, se l’Italia ha ottenuto un quarto dell’intero malloppo, lo deve ai criteri di Bruxelles che tengono conto della fragilità del Mezzogiorno. Quindi, sarebbe stato equo adottare anche per il riparto interno la stessa metodologia. Così non è stato.

Viene fuori che, se fossero stati applicati i 3 parametri:
L’Abruzzo avrebbe ottenuto 4,2 miliardi, il Molise: 1,4 miliardi, la Campania 43,6 miliardi, la Puglia 26,7 miliardi, la Basilicata 2,2 miliardi, la Calabria 16,8 miliardi, la Sicilia 41,1 miliardi.
Paradossalmente, questi criteri avrebbero giocato anche a favore di altre regioni settentrionali. E così l’Umbria avrebbe ottenuto 2,3 miliardi, le Marche 3,7 miliardi, la Sardegna 8,9 miliardi e il Piemonte 8,6 miliardi.

Ovviamente la “metodologia made in Bruxelles” non avrebbe avvantaggiato la Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna che mai e poi mai avrebbero permesso l’adozione dei parametri equi europei.

In conclusione, applicando le tre variabili adottate da Bruxelles al contesto regionale italiano, oltre il 65% delle risorse sarebbero andate al Mezzogiorno.

Successivamente, l’ex Ministro per il Sud, l’Onorevole Mara Carfagna, cristallizzò nella misura del 40% l’importo da destinare alle regioni meridionali. In particolare, sul portale del Ministero pubblicò una tabella recante le quote del Pnrr da destinare al Sud, materia per materia. Purtroppo, ad oggi, di questo riparto – che rappresentava comunque il minimo sindacale – non c’è traccia e s’è perso contezza delle percentuali da destinare al Meridione.

Inoltre, si registra un alto rischio di cui si sta sottacendo: pur di non perdere la dotazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, i cui fondi vanno utilizzati entro il 2026, il Governo traghetterà molti progetti dal PNRR verso il Fondo per lo Sviluppo e Coesione (FSC), la cui dotazione, però, è già prevista (ex lege) in misura quasi totalitaria per il Sud. Infatti, il Fondo per lo sviluppo e la coesione è, congiuntamente ai Fondi strutturali europei, lo strumento finanziario principale attraverso cui vengono attuate le politiche per lo sviluppo della coesione economica, sociale e territoriale e la rimozione degli squilibri economici e sociali in attuazione dell’articolo 119, comma 5, della Costituzione italiana e dell’articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
Che significa spostare i progetti dal PNRR verso i Fondi strutturali e FSC?

Vuol dire tagliare al Sud circa 16 miliardi. E’ matematico: se 16 miliardi di progetti non vengono finanziati più col PNRR ma con un fondo, l’FSC, che già è “previsto per il Meridione”, vuol dire effettuare una partita di giro con l’obiettivo di depauperare il Mezzogiorno dell’importo equivalente.

Dunque, quali sono le risorse previste per il Sud? Certamente non il 65% che avrebbe meritato, secondo i piani di Bruxelles. Né il 40% stabilito dal Governo Draghi. La verità è che non si sa, non c’è chiarezza e quest’ulteriore sforbiciata oblia ancor di più la verità e la trasparenza, rendendo questo nuovo Piano Marshall un affare prettamente settentrionale.

2 Commenti

  1. Bell’articolo quello di Luca Pepe, soprattutto utile e interessante per la “logica” furbesca che fa emergere riguardante il riparto (presunto?) dei fondi PNRR rispetto a quello in effetti previsto dalla UE che destina le maggiori risorse per il Sud, in ragione del deficit funzionale diffuso presente nel meridione. Sta di fatto che per riportare ed esigere con forza le percentuali destinate al Sud ai valori previsti per i destinatari (65%) occorre predisporre un sostenibile Piano strategico integrato che puntualmente dichiari la valenza sistemica degli investimenti tutti da redistribuire nelle diverse realtà, partendo dal ruolo “funzionale* del Meridione che può giocare nel territorio, dalle macroregioni, alle regioni, alle realtà
    locali. “Lavoro” da un lato politico e, dall’altro, puramente tecnico. Operazione ovviamente non di mera contrapposizione dialettica ma di confronto sostenuto da logica “sistemica”, in cui il ruolo della Italia emerga come realtà funzionale integrata, forte ed efficiente soprattutto nel rapporto estero non solo europeo.

  2. L’analisi è del tutto condivisibile, e c’è ben poco di cui meravigliarsi.
    Riflette l’ideologia della compagine che occupa Palazzo Chigi, che non governa ma comanda.
    E’ un’ulteriore evidenza di democrazia tradita: dopo aver accentrato tutte le decisioni sul PNRR, è venuto meno anche qualsiasi parvenza di dialogo con le parti interessate, come denota l’unanime levata di scudi dei Presidenti delle Regioni che chiedono un confronto con il Governo.
    Copione analogo per la soppressione del reddito di cittadinanza, che evidenzia l’incapacità di tenere fede agli impegni assunti quanto alle nuove misure.
    Purtroppo, nella nostra democrazia qualcosa sta andando storto, e sembra essere un problema strutturale, in linea, ahinoi, con quanto sostenuto da Franco Fracassi in “IV Reich”.

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