La Corte Costituzionale ha compiuto un’importante revisione delle norme che regolano l’applicazione dei benefici penali, dichiarando l’illegittimità di due disposizioni del codice di procedura penale che limitavano la concessione di misure come la sospensione della pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale. La Corte ha sottolineato la funzionalità alla finalità rieducativa della pena dei benefici in esame, entrambi di antica tradizione nel nostro ordinamento. In particolare, la sospensione condizionale mira, da un lato, ad evitare gli effetti criminogeni e desocializzanti della pena detentiva breve.
Le modifiche delle due disposizioni del codice di procedura penale
Art. 442, comma 2-bis, CPP: La Corte ha ritenuto incostituzionale la parte di questo articolo che impediva al giudice dell’esecuzione (ossia il giudice che si occupa dell’esecuzione della pena) di concedere la sospensione della pena e la non menzione della condanna nel casellario, quando il giudice che ha emesso la sentenza di condanna (giudice della cognizione) non avesse potuto farlo. Questo accadeva se la pena inflitta superava i limiti di legge necessari per concedere tali benefici (sospensione e non menzione). In sostanza, se la pena inizialmente determinata era troppo alta, il giudice della cognizione non poteva disporre la sospensione della pena o la non menzione, ma il giudice dell’esecuzione, secondo la Corte, dovrebbe avere la possibilità di intervenire anche in questi casi, se sussistono le condizioni per concedere i benefici.
Art. 676, comma 3-bis, CPP: In modo consequenziale, la Corte ha dichiarato incostituzionale anche questo articolo, che trattava una situazione simile. Esso, infatti, non prevedeva che il giudice dell’esecuzione potesse concedere la sospensione della pena e la non menzione della condanna nel casellario quando il giudice della cognizione non aveva potuto farlo per via della pena superiore ai limiti di legge. La Corte ha esteso la sua pronuncia anche a questa norma, riconoscendo che la possibilità di concedere tali benefici non dovrebbe essere limitata esclusivamente al giudice che emette la sentenza di condanna.
La rieducazione come principio costituzionale
La Corte ha ritenuto che questa limitazione fosse incompatibile con i principi costituzionali, in particolare con l’articolo 27 della Costituzione, che sancisce la finalità rieducativa della pena. Secondo i giudici costituzionali, la possibilità di concedere benefici penali non può essere esclusa solo in base alla durata della pena inflitta, soprattutto quando esistono le condizioni per favorire il recupero del condannato. Con questa decisione, infatti, viene sancito che il giudice dell’esecuzione, qualora sussistano i presupposti, può concedere la sospensione della pena e la non menzione della condanna nel casellario, anche nel caso in cui la pena inizialmente inflitta superi i limiti previsti dalla legge.
Le implicazioni della sentenza
L’intervento della Corte non solo amplia le possibilità di applicare misure di clemenza, ma ribadisce anche l’importanza di un sistema penale che privilegi la rieducazione e il reinserimento del condannato nella società, piuttosto che una mera applicazione automatica delle sanzioni. Questo passo segna una significativa evoluzione nella giurisprudenza penale italiana, puntando a una maggiore umanizzazione del trattamento penale e a una personalizzazione delle pene. La decisione, che entra in vigore immediatamente, potrebbe avere importanti ripercussioni pratiche sul sistema giudiziario italiano, ampliando le possibilità di accesso a misure di attenuazione della pena anche per i condannati a pene severe, ma che dimostrano segni di recupero e reintegrazione.