Settore giovanile e calcio: intervista al Mister Mauro Papaccio. Ex portiere, con alle spalle un bagaglio ricco di formazione ed esperienza.
Dal Novara calcio, per poi collaborare con Inter e Milan, fino ad arrivare al CSKA di Sofia. Attualmente, allenatore del settore giovanile della prestigiosa scuola calcio “Emanuele Troise”, fiore all’occhiello del Sud Italia. Tutto questo è Mauro Papaccio. Che, in esclusiva, si racconta ai microfoni di CentroSud24. Ponendo, inoltre, un faro sul calcio giovanile. Settore poco valorizzato, nel panorama del calcio italiano.
La scuola calcio “Emanuele Troise”: fiore all’occhiello del Sud Italia
La scuola calcio E. Troise nasce nel 2013, dal noto ex difensore del Napoli, Emanuele Troise. Affiancato dai fratelli Alessandro e Francesco. Sita nel paese vesuviano di Volla, la scuola calcio Troise vanta più di 300 iscritti. Quattro campi interni, uno esterno e ben 14 categorie, accogliendo giovani calciatori dal 2008 al 2017. Il tutto, affiancato da uno staff ed attrezzature all’avanguardia. Un vero e proprio punto di riferimento, nonchè polo d’eccellenza, per il calcio giovanile del Sud Italia.
Di recente, la scuola calcio Troise, è stata ospite dell’emittente RTN TV – TLC canale 90. Assieme agli allenatori Mauro Papaccio e Luigi Romano. Nella trasmissione “Rabona – il calcio è passione”, condotta da Massimo Valore. Di seguito, il link della puntata: RABONA – TLC – YouTube
Mauro Papaccio: “Il calcio è una materia che va studiata”
Mister Papaccio, attualmente lavora presso una scuola calcio rinomata e di spessore. Quale la Emanuele Troise di Volla. Ci racconti di questa sua esperienza.
Attualmente, sono allenatore della categoria 2011 – 2012 della scuola. Nonchè direttore dell’attivita’ di base, della stessa società. Che ringrazio, in quanto mi hanno concesso massima fiducia. Sono onorato di far parte di questa società, che mastica davvero calcio. Il calcio, inteso nel suo significato più profondo, è una materia che va studiata. In continua evoluzione, volta alla cura di ogni minimo dettaglio. Si è abituati – per chi non è del settore – a guardare al calcio come semplice prodotto finale. Senza però conoscere una serie di dinamiche, che aleggiano dietro al prodotto finale. Vale a dire l’approccio con il bambino: carpirne, in generale, il suo carattere. Poi, di volta in volta, anche il suo stato emotivo. Oltre che allenatori, in qualche modo, bisogna fungere anche da “psicologi”.
Come ogni cosa, partiamo dalle basi. Come nasce la sua passione per il calcio e quando inizia, invece, a giocare?
La mia passione per il calcio nasce grazie a mio padre, da sempre tifoso del Napoli. Nonché del Casoria, mio paese natio, che all’epoca era in serie C. Mio padre, ad ogni partita, mi portava con se. Per cui, all’eta di tre anni, già ero uno spettatore di calcio. Il mio esordio come giocatore, invece, risale all’eta’ di dieci anni. Ai miei tempi era diverso da ora: si iniziava a giocare più tardi, siccome non vi erano le scuole calcio.
Lei è di origine campana, come ci diceva in precedenza. Lo sport, però, l’ha portata a trasferirsi, per diversi anni, al Nord Italia. A Novara, per l’esattezza. Dove termina anche la sua carriera professionistica di portiere. Cosa l’ha spinta, successivamente, ad intraprendere la carriera di allenatore?
Ho smesso di giocare in giovane età, in quanto avvertivo il desiderio di stare sempre in campo ed allenare. Volevo insegnare e tramandare ai ragazzi la passione, i valori e princìpi di questo sport. Ricordo quando il mio procuratore voleva portarmi in Francia, in seconda divisione. La mia risposta fu: “meglio un allenatore giovane, che un giocatore vecchio”. Da quel momento in poi, iniziò la mia formazione per diventare un allenatore professionista. Feci il mio primo concorso Coni FIGC, che ad oggi non esiste più. Infine, venni definitivamente ammesso al corso UEFA B.
Il suo, è un compito tanto nobile quanto carico di responsabilità. Formare giovani talenti, che, si spera, diverranno il futuro del calcio. Quale ritiene sia la parte più difficile del suo lavoro?
La parte più difficile, del mio lavoro, non riguarda tanto i giovani che alleno. Bensì i loro genitori. Mi spiego meglio. I genitori, purtroppo, tendono a proiettare i propri figli in un’ottica futuristica. Immaginando, fin fa subito, ciò che potrebbe essere la loro carriera. Per cui, il genitore è concentrato sul solo risultato, premendo affinché le partite vengano vinte. L’aspetto che invece si tende a trascurare, ma che in realtà risulta essere fondamentale, riguarda la crescita calcistica del bambino.
Mauro Papaccio: “I giovani talenti vanno allenati, non usati”
Collegandomi a quanto detto sui genitori, lo stesso vale per molti allenatori. Troppi allenatori non coltivano il talento dei bambini, bensì lo sfruttano per le vittorie. Poi ci chiediamo come mai la nazionale non si qualifica ai mondiali. Come mai, in Italia, non crescono più talenti. Mi piace ricordare, nel mio caso, la storia di tanti giovani calciatori che ho allenato. Attualmente, ricoprono tutti ruoli importanti, in diverse società. Questa, secondo il mio parere, può considerarsi una reale vittoria di campionato.
Il mio, è un invito rivolto a tutte le società: bisogna curare i talenti e farli emergere. Insegnare loro la qualità della tecnica di base, la qualità del primo controllo, del palleggio. Del gesto tecnico, della finta. Lavorare sull’uno contro uno, due contro uno. Insomma, curare il minimo particolare per ogni singolo atleta. Nei settori giovanili, invece, manca la fantasia motoria. I bambini non riescono ad esprimersi al meglio. Oltre alla fantasia, è importante allenare anche la velocità di pensiero, di un bambino. Cosí come la sua intensità di giocata.
Lei ha allenato in squadre italiane del calibro di Inter e Milan, ma non solo. Inoltre, ha avuto una breve esperienza all’estero, in Bulgaria. Ripercorriamo la sua cronistoria professionale, che direi essere ricca.
Quando non ero ancora in possesso del patentino da allenatore, iniziai ad allenare in una società di oratorio. “Centro giovanile Cerano”, ero il secondo allenatore in una seconda categoria. Successivamente, ho allenato in una società élite nel novarese, sempre dilettantistica. Il “San Giacomo Novara”.
Da quel momento in poi, iniziarono ad ingaggiarmi sempre più squadre rinomate del Novara. Fino ad approdare al “Novara Calcio”, nel settore professionistico. Divenendo anche direttore dell’ “Academy Novara”, creata in un secondo momento.
Inoltre, sono stato allenatore dei settori professionistici di Milan ed Inter. Per poi arrivare ad allenare gli under 16 nazionali al CSKA di Sofia, in Bulgaria.
Per lei si prospettava un futuro roseo. Qual è stato il motivo che l’ha portata di nuovo qui, in patria? Soprattutto in Campania, la sua regione d’origine.
In Bulgaria stavo per fare il grande passo. Il presidente del CSKA mi propose di prendere la prima squadra l’anno successivo, visto l’ottimo lavoro svolto. Ma, purtroppo, mio padre si è ammalato di alzheimer e così ho deciso di stargli accanto. Dal mio ritorno, ho sempre continuato a lavorare nel settore giovanile campano. Senza difficoltà alcuna, anzi.
Avendo avuto diverse esperienze, come ci raccontava, una domanda è d’obbligo. Circa le differenze, ai fini calcistici, che intercorrono tra il Sud – Nord Italia e l’estero. Inoltre, se e quanto, tali differenze, influiscano sul risultato finale.
Sicuramente vi sono delle differenze circa le infrastrutture e la cultura. Che, ovviamente, incidono sul risultato finale. Direi anche molto. Per quanto riguarda le infrastrutture, al nord troviamo centri già in sintetico. A norma di legge e dunque fatti proprio bene. Diversamente dal sud. Ad onor del vero, c’è da dire che al nord vi sono sovvenzioni comunali. Le società calcistiche, dunque, vengono aiutate. Cosa che, invece, qui al sud non avviene. Non parlando della Bulgaria. Lì sono dieci anni avanti. Ricordo di un allenamento fatto a -20°, con campo riscaldato. In Italia, a meno che non sia un club privato a farlo, questo non avviene.
Anche a livello culturale, le differenze sono abnormi. A partire dal semplice allenamento. Al nord, i genitori accompagnano i propri figli e vanno a vedere l’allenamento in tribuna senza mormorare. Le tribune sono maggiormente vuote, a differenza della domenica, in cui ci sono le partite. Diversamente accade al sud, col genitore fisso alla rete. Incitando i propri figli, addirittura fornendo nozioni di gioco. Eclissando la figura dell’allenatore. Ebbene, tutto questo incide sul percorso di crescita dei giovani calciatori.
Mauro Papaccio: “Tra qualche anno smetterò, col settore giovanile”
Concluderei l’intervista chiedendole cosa si auspica, per il suo futuro professionale?
Sicuramente ambisco a qualche grande panchina. Ma questo dipenderà soltanto dal duro e costante lavoro. Anticipo che tra qualche anno, magari anche il prossimo, smetterò col settore giovanile. Ho bisogno di nuovi stimoli e di sfide nuove, come tutti gli allenatori. Il mio obiettivo è quello di allenare qualche prima squadra. Costruendo, magari, la mia carriera di allenatore anche da una Serie D.
Ad oggi, col settore giovanile, sento di essere quasi arrivato. Avendo dato tutto me stesso. E’ stato un mondo bellissimo ed affascinante, che mi ha arricchito tanto. Ringrazio tutte le societa’ che in questi anni mi hanno dato fiducia. Riguardo alla Troise, per cui attualmente lavoro, mi auguro che quanto fatto in questi anni rimanga. Penso di aver dato una giusta impronta per chi, poi, mi succedera’ nel corso del tempo.
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