Sulla guerra in Ucraina in troppi si sono giocati la reputazione. Sulla pelle dei civili, degli ucraini, si sta giocando una triplice partita.
La guerra in Ucraina verrà sicuramente ricordata, e passerà alla storia, come uno dei conflitti scoppiati in tempo di pace. Dalla seconda Guerra Mondiale in poi non è certamente stato un evento così raro tanto che i paragoni con questi conflitti si sono ampiamente sprecati. Dal Coree all’Iraq, passando per il Vietnam e l’Afghanistan, ma tanto varrebbe anche citare il Kosovo e la Siria.
La tipologia di guerra, oggi definita per “procura”, ha svestito i panni di una guerra ideologica com’era durante il lungo periodo della Guerra Fredda ed è divenuta una battaglia al nemico invisibile.
L’individuazione del nemico è sempre stato il principale stratagemma per giustificare un intervento militare. Non fa eccezione la guerra in Ucraina, e nei giorni della cosiddetta “controffensiva ucraina”, tutto appare tristemente drammatico. L’impressione, sempre di più, è che intorno a questo conflitto ruotino più sfere argomentative ed il rischio è che questo conflitto, come altri, non abbia una breve soluzione.
La guerra in Ucraina: il Vietnam di Putin
Una strategia interventista i grandi imperi moderni e contemporanei l’hanno sempre adottata. Molto spesso le ragioni erano differenti, anche perché era diverso il clima politico e geopolitico. Quando si pensa alla guerra, in senso generico, ognuno immagina un periodo storico. Dall’età del bronzo all’epoca antica, dal medioevo all’età moderna, da Napoleone ai totalitarismi del ‘900 ogni epoca aveva le proprie regole ed il proprio modo di fare la guerra. Spesso gli storici insegnano che la guerra è un fatto d’abitudine in alcune epoche storiche, mentre in altre era quasi una “ragion di Stato”.
E’ utile constatare che quest’epoca sembra quella dei principi. Accade spesso quando al potere si trovano uomini soli (o presumibilmente tali) al comando. Succedeva nel primo ‘900 ed accade ancora adesso con la Russia di Vladimir Putin (per cui le elezioni sembrano una formalità).
Prima di approfondire questo aspetto è bene parlare di ciò che si dice, non troppo distante dalla realtà, quando si paragona l’Ucraina al Vietnam. Beninteso: momenti storici e ragioni completamente diverse ma in alcuni punti somiglianti.
Il Vietnam fu, infatti, una cosiddetta guerra ideologica in cui gli Stati Uniti impegnarono le proprie forze per combattere la “rivoluzione”, banalmente l’espansione del Comunismo e della conseguente sfera d’influenza dell’Unione Sovietica (sempre più il faro di quell’area ideologica) e dell’emergente Cina. La guerra in Ucraina presenta aspetti molto più cinici, che da questo punto di vista poco hanno a che vedere con il Vietnam. La cosa che è molto più interessante, invece, è capovolgimento di prospettiva.
Ucraina-Vietnam: i pantani dei grandi Imperi
Nel Vietnam gli Stati Uniti invasero la regione per difendere la Repubblica del Vietnam (Vietnam del Sud) e l’Urss si trovò a supportare indirettamente il governo rivoluzionario vietnamita. In Ucraina la situazione è capovolta: gli Stati Uniti (ed il blocco Occidentale) si trovano a supporto indiretto dell’Ucraina invasa dai Russi.
L’aspetto in cui più si somigliante tra queste due guerre è il modo in cui gli attaccanti si sono incagliati. L’Ucraina è divenuta un pantano militare per la Russia che credeva di poter vincere agevolmente, com’era avvenuto già in Crimea nel 2014. E’ così che Putin si è trovato il proprio Vietnam, incastrato in una guerra che pensava di vincere con facilità.
Pace ancora lontana in Ucraina: gli interessi e le contraddizioni della guerra
A febbraio 2023 è sopraggiunto il triste anniversario della guerra (il primo). La possibilità che non sia l’unico è plausibile. La pace, infatti, sembra ancora lontana perché nessuno dei due contendenti ne ha ancora abbastanza. La guerra ha, in effetti, rivelato una serie di contraddizioni non solo dal punto di vista dei rapporti tra i Paesi dell’Europa e la Russia ma anche economici.
In effetti, la scelta di appaltare completamente la fornitura energetica ad un solo Paese, cioè la Russia, li rendeva nella prospettiva di Putin ricattabili. A quanto pare, però, l’Unione Europea ha funzionato ed ha saputo tenersi compatta nonostante le difficoltà. Certo tra sanzioni imposte da tutto il blocco Occidentale e la fine del florido commercio di gas con l’Europa, la Russia ha perduto moltissimo. Il costo per la Russia è stato esorbitante, in termini sia di rapporti esteri che economici. Putin da questo punto di vista ha tentato un vero e proprio all in dal quale finora esce sicuramente molto ammaccato.
La guerra ha anche risollevato un’opposizione che, tutto sommato, era riuscito quasi a spegnere del tutto. Di problemi ce ne sono stati anche sul fronte della NATO, in particolar modo riaccendendo i focolai anti-atlantisti. Dal punto di vista economico la partita si è giocata tutta in Europa e la guerra è ricaduta sulle spalle dei cittadini che hanno visto, per lungo periodo, aumenti spaventosi dei costi dell’energia.
Dal canto proprio, la Russia aveva intenzione non solo di assorbire le regioni di Donetsk e Luhansk come dichiarato. Che l’intento fosse quello di andare oltre lo si capito dal primo giorno, da quando i russi hanno dato battaglia agli ucraini a Kiev. L’intento probabile, mai dichiarato dalla Russia, potrebbe essere quello di mettere le mani su una risorsa importantissima: il grano.
L’Ucraina era ritenuta il granaio dell’Urss ed era divenuta col tempo il granaio d’Europa. Mettere le mani su quella miniera d’oro avrebbe dato alla Russia un peso diverso anche nei confronti dell’Ue.
Una guerra fatta di principi da cui nessuno può (per ora) svincolarsi
Che sia una guerra di principi è sotto gli occhi di tutti. Nessuno dubita, visti i forti segnali d’apertura, che entrambe le parti vorrebbero svincolarsi (parliamo di Russia e Usa). Sfortunatamente, le cose non sono così semplici. L’impegno della Russia nel mettere a ferro e fuoco un vicino ha fatto si che si entrasse in un braccio di ferro da cui non si può uscire semplicemente arrendendosi. In un certo senso è una questione di reputazione. La Russia ha sempre sofferto la reputazione di “gigante dai piedi di cristallo”, e con l’ascesa dell’influenza cinese ha sentito arrivare dall’Asia un vento di forte pressione.
Non è un caso che l’alleato cinese (almeno amichevole alla Russia sulla carta) lanci segnali contrastanti riguardo la guerra in Ucraina. In un certo senso alla Cina conviene vedere l’Europa indebolita per continuare ad invadere quel florido mercato. Inoltre, la distrazione che questa questione internazionale comporta distoglie l’attenzione degli Usa sui dossier Taiwan e Africa.
Per tornare a Putin, come molti analisti geopolitici ammettono, egli sarebbe ben lieto probabilmente di mettere la parola fine alla guerra ma così facendo perderebbe la faccia. In questo momento, non è pensabile che l’oligarchia russa lo sostituisca, cert’è che il suo disegno imperialista ha subito una brusca frenata. Se dopo essersi inimicato mezzo mondo non riuscisse a vincere nemmeno la guerra per lui sarebbe una vera e propria sconfitta sotto tutti i punti di vista. La sensazione è che la direzione imboccata sia propria quella e che la strategia sia cambiata: ora la Russia cerca di sfinire il nemico per portarlo al tavolo delle trattative in una condizione favorevole.